Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-05-2012, n. 7405 Regolamento di condominio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A.N.A. e S.A., proprietari di locali destinati ad esercizi commerciali, facenti parte del condominio sito in (OMISSIS), domandavano la condanna di quest’ultimo a porre in essere le misure necessarie al fine di impedire ai condomini l’uso di un’area di distacco tra la strada pubblica e gli immobili degli stessi attori, destinata al parcheggio delle autovetture della clientela durante l’orario di apertura dei locali. A sostegno della domanda deducevano un precedente tra le stesse parti, definito con sentenza del Tribunale di Roma n. 8912/96 che aveva dichiarato nulla una delibera condominiale relativa all’uso dell’area di distacco tra il fabbricato e la via pubblica.

Il condominio convenuto resisteva alla domanda sostenendo che la disposizione del regolamento condominiale in favore dei predetti esercizi commerciali era stata prevista in un tempo in cui l’orario di apertura di questi ultimi era compatibile con l’utilizzazione alternata dei posti auto, e che la situazione era cambiata in seguito all’insediamento da parte degli attori di attività commerciali vietate dal regolamento e che comportavano un orario di apertura degli esercizi commerciali eccessivamente ampio (sette giorni su sette), e tale da precludere le possibilità di parcheggio da parte dei condomini.

Il Tribunale di Tivoli rigettava la domanda, ritenendo che la norma regolamentare invocata ossia l’art. 3 lett. f), fosse contraria alla L. n. 1150 del 1942, art. 41 – sexies di fatto privando del posto auto le unità immobiliari destinate ad abitazione.

Gravata dagli attori, tale sentenza era riformata dalla Corte d’appello di Roma, che condannava il condominio appellato ad adottare i provvedimenti opportuni al fine di garantire in favore dei condomini A. e S. l’osservanza dell’art. 3, lett. f) del regolamento condominiale relativamente all’utilizzazione dell’area di distacco anzi detta. A base della decisione la Corte capitolina poneva il citato giudicato esterno formatosi sulla sentenza n. 8912/96 del Tribunale di Roma, giudicato che, a sua volta, era fondato sul fatto che la predetta norma del regolamento condominiale, di natura contrattuale, aveva costituito in favore dei condomini proprietari degli immobili a destinazione commerciale, posti al piano terra, una servitù di non uso dell’area comune scoperta posta tra questi e la via pubblica. Tale essendo la ratio decidendi della precedente decisione fra le medesime parti, si era prodotto l’effetto preclusivo del giudicato, avendo la sentenza n. 8912/96 statuito non incidentalmente su profili sostanziali e fondamentali della medesima questione costituente la causa petendi della domanda in esame.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre il condominio di via (OMISSIS), che formula due motivi d’impugnazione.

Resistono con controricorso A.N.A. e S. A., che hanno depositato, altresì, memoria.

Motivi della decisione

1. – In via pregiudiziale i controricorrenti eccepiscono l’inammissibilità del ricorso perchè proposto decorso il termine di cui all’art. 327 c.p.c., atteso che la notificazione è stata effettuata il 21.12.2010, mentre la sentenza impugnata è stata pubblicata il 4.11.2009. Aggiungono che la notificazione è stata eseguita a norma della L. n. 53 del 1994, la quale non prevede il meccanismo di anticipazione degli effetti della notificazione stessa per il notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, con la conseguenza che la scissione del momento perfezionativo della notifica per il notificante rispetto alla data in cui la notifica stessa si perfeziona per il destinatario, scissione prevista nel caso di notificazioni eseguite nei modi ordinali, non opera nell’ipotesi di notifica effettuata ai sensi della precitata legge.

1.1. – L’eccezione è infondata.

Essa ripropone una questione esaminata e risolta da vari precedenti di questa Corte, cui i controricorrenti non oppongono adeguate ragioni di contrasto.

E’ stato, infatti, ritenuto che in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, il principio, derivante dalla sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale, secondo cui la notificazione a mezzo posta deve ritenersi perfezionata per il notificante con la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, ha carattere generale, e trova pertanto applicazione anche nell’ipotesi in cui la notifica a mezzo posta venga eseguita, anzichè dall’ufficiale giudiziario, dal difensore della parte ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 1 essendo irrilevante la diversità soggettiva dell’autore della notificazione, con l’unica differenza che alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario va in tal caso sostituita la data di spedizione del piego raccomandato, da comprovare mediante il riscontro documentale dell’avvenuta esecuzione delle formalità richieste presso l’Ufficio postale, non estendendosi il potere di certificazione, attribuito al difensore dall’art. 83 c.p.c. alla data dell’avvenuta spedizione, e non essendo una regola diversa desumibile dal sistema della L. n. 53 del 1994. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto tempestivamente proposto un ricorso per cassazione spedito al sessantesimo giorno dalla notifica della sentenza, come da attestazione dell’ufficio postale apposta su "striscette" meccanizzate applicate alle buste recanti le copie del ricorso notificate ai controricorrenti e da questi prodotte) (Cass. n. 17748/09; nello stesso senso, Cass. nn. 24041/09 e 6402/04).

Nella specie, la sentenza impugnata, non notificata, è stata pubblicata il 4.11.2009, mentre il ricorso è stato spedito dall’ufficio postale, come risulta dall’apposita ricevuta, il 17.12.2010, di talchè, applicando il principio anzi detto, l’impugnazione risulta tempestiva.

2. – Col primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. nonchè l’erronea valutazione del giudicato esterno di cui alla sentenza n. 8921/96 resa fra le stesse parti dal Tribunale di Roma.

Sostiene al riguardo che dalla giurisprudenza di questa Corte emerge che l’effetto preclusivo del giudicato esterno presuppone che tra la questione decisa e quella che si vuole tacitamente risolta sussista un vincolo di dipendenza indissolubile, che determini l’assoluta inutilità di decidere la seconda questione, e pertanto non si configura quando la questione non decisa abbia una propria individualità perchè basata su diversi presupposti di fatto e di diritto.

Nello specifico, si sostiene, la sentenza n. 8921/96 neppure incidentalmente si era soffermata sulla validità o non della norma del regolamento di condominio di cui era stata prospettata la violazione, limitandosi a sancire l’impossibilità di modificare con delibera dell’assemblea condominiale un regolamento reso opponibile ai terzi in virtù di atto notarile. Pertanto, la questione di nullità dell’art. 3 lett. f) del regolamento di condominio non è mai stata oggetto di accertamento giudiziale nella precedente causa definita con detta sentenza, non costituendo esso un antecedente logico-necessario della domanda.

3. – Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia la mancata applicazione della L. n. 1150 del 1942, art. 41-sexies introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 8 in quanto detta norma pone un vincolo di destinazione efficace anche nei rapporti intersoggettivi ed avente carattere inderogabile. E la sentenza impugnata sarebbe, dunque, illegittima nella parte in cui consentirebbe di conferire validità ad un atto privato posto in essere in violazione di una norma imperativa di legge.

4. – Il primo motivo è fondato.

4.1. – Il caso in esame sollecita l’individuazione dei limiti oggettivi di ammissibilità del giudicato esterno per implicazione risalente, problema che si pone allorchè il giudicato si sia formato in maniera espressa su di una questione dipendente da altra, avente natura pregiudiziale, che forma oggetto della seconda causa.

L’ipotesi di un giudicato esplicito sulla questione dipendente che possa condurre alla tesi di un giudicato implicito risalente rispetto alla questione pregiudiziale, deve confrontarsi con la scelta legislativa, di senso diverso, espressa dall’art. 34 c.p.c., norma che non riguarda soltanto le modificazioni della competenza per ragione di connessione, ma che attiene anche alla latitudine degli effetti della pronuncia emessa dal giudice (cfr. Cass. n. 6532/95).

Alla situazione speculare, in cui il rapporto di pregiudizialità- dipendenza registra, invece, il giudicato esplicito sulla questione pregiudiziale, provvede direttamente l’art. 2909 c.c., in base al quale la cosa giudicata fa stato a ogni effetto, secondo l’icastica espressione adoperata dalla norma, e dunque opera sulle successive questioni dipendenti mediante un’implicazione di carattere discendente.

4.2. – Per comprendere la portata dell’art. 34 c.p.c. occorre distinguere, secondo l’insegnamento tradizionale, tra punto, questione e causa pregiudiziale, a seconda che l’antecedente del merito oggetto di decisione sia, rispettivamente, incontroverso tra le parti, controverso e da decidere incidenter tantum ovvero controverso e da decidere, per volontà di legge o esplicita domanda di una delle parti, con efficacia di giudicato. A tale piana esegesi, strutturata intorno all’elemento volitivo calato nella realtà del processo – perchè fa dipendere il giudicato sulla pregiudiziale (salvo l’ipotesi di accertamento principaliter imposto dalla legge) dal grado di deduzione, trattazione e decisione su di essa – corrisponde la nozione di pregiudizialità in senso tecnico, che ricorre allorchè un diritto si configura come componente costitutiva di un diritto diverso, di modo che il nesso tra le due situazioni attive suppone una dipendenza giuridica di tipo normativo.

Ad essa si giustappone, com’è noto, un’interpretazione sistematico- teleologica più articolata, che, a livello giurisprudenziale, si è tendenzialmente discostata dall’intento primigenio perseguito dalla dottrina processualcivilistica cui si deve la previsione dell’art. 34 c.p.c..

Ciò è dovuto dalla tensione tra il dato formale (o positivo) che predica la scelta normativa di escludere tendenzialmente il giudicato sulla pregiudiziale, e il dato sostanziale (o giuridico-primitivo) che esprime un’esigenza di coesione logica, e dunque di funzionalità, del sistema processuale, atteso che la circolarltà fra giudicato e oggetto del giudizio crea nozioni interdipendenti e soluzioni pratiche di cui deve saggiarsi la tenuta e la ragionevolezza. Da tanto scaturisce la pregiudizialità in senso logico-giuridico, che sottrae spazio all’ambito applicativo dell’art. 34 c.p.c..

4.3. – La giurisprudenza di questa Corte è solita affermare che nell’ipotesi di questione pregiudiziale in senso logico, l’efficacia del giudicato copre, in ogni caso, non soltanto la pronuncia finale, ma anche l’accertamento che si presenta come necessaria premessa o come presupposto logico-giuridico della pronuncia medesima, mentre con riguardo alla questione pregiudiziale in senso tecnico disciplinata dall’art. 34 c.p.c. ed indicante una situazione che pur rappresentando un presupposto dell’effetto dedotto in giudizio è tuttavia distinta ed indipendente dal fatto costitutivo sul quale tale fatto si fonda, detta situazione è oggetto solo di accertamento incidentale (inidoneo a passare in giudicato), tranne che una decisione con efficacia di giudicato sia richiesta per legge o per apposita domanda di una delle parti (cfr. ex pluribus, Cass. nn. 10027/09, 7667/06, 21490/05, 17632/02, 462/99,11195/97 e 2645/95).

Se è chiaro che alla pregiudizialità in senso logico corrisponde il giudicato implicito, maggiori incertezze, nella giurisprudenza di questa Corte, si registrano riguardo all’oggetto di tale giudicato, talvolta espresso come presupposto logico-giuridico indispensabile della decisione o con altre perifrasi equipollenti, o ancora come elemento costitutivo della pretesa azionata; tal altra indicato con l’ausilio di una formula diversa, pure di largo uso, come quella per cui "il giudicato copre il dedotto e deducibile" (cfr. fra le tante e più recenti, Cass. nn. 15343/09, 15093/09, 9544/08 e 14055/07).

Espressione, quest’ultima, il cui accostamento al giudicato implicito è, tuttavia, criticato (con ragione) da una parte della dottrina, che ne sottolinea il riferimento alla diversa tematica della preclusione derivante dal giudicato, la quale riguarda le eccezioni e le domande che si sarebbero potute proporre nel giudizio precedente, e che non possono più essere fatte valere in altra e successiva causa in quanto il loro accertamento positivo condurrebbe a negare la statuizione in cui si sostanzia il giudicato esplicito formatosi nella prima controversia.

4.4. – Un ulteriore avvicinamento ad un più esatto discrimine tra pregiudizialità in senso logico e in senso tecnico-giuridico, si coglie sia nelle sentenze che escludono il giudicato implicito relativamente alle questioni non espressamente decise che siano dotate di propria autonomia e individualità, per essere diversi i presupposti di fatto e di diritto rispetto alla questione decisa in maniera esplicita (v. Cass. nn. 13452/04, 8515/04, 11412/03, 10252/02, 4628/02, 9619/99, 2761/84 e 2459/81); sia nelle decisioni che sottolineano come l’art. 34 c.p.c. si riferisca al punto antecedente che assuma rilievo autonomo, in quanto destinato a proiettare le sue conseguenze giuridiche, oltre che sul rapporto controverso, su altri rapporti, al di fuori della causa, con la formazione, appunto, della cosa giudicata, a tutela di un interesse che trascende quello inerente alla soluzione della controversia nel cui ambito la questione è stata sollevata (v. Cass. nn. 16995/07, 14578/05, 11083/05, 3248/01, 3839/95 e 1173/73).

Il ricorso al concetto di rapporto giuridico (s’intende, sostanziale) si è mostrato utile anche per escludere che la pronuncia di rigetto costituisca giudicato implicito su questioni non trattate, laddove, in particolare, non siano state esaminate e valutate le questioni concernenti l’esistenza, la validità e la qualificazione del rapporto medesimo, come nelle ipotesi in cui la decisione abbia applicato il criterio della c.d. "ragione più liquida" (in base al quale la domanda può essere respinta sulla base della soluzione di una questione assorbente senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre) (v. Cass. n. 11356/06). Con il che si impongono a contrario due deduzioni: (1) che la cosa giudicata si forma in maniera implicita su tutti gli aspetti del rapporto la cui valutazione sia necessaria al fine di pervenire alla decisione di merito; e (2) che, diversamente, il giudicato implicito non può prodursi oltre e a dispetto dell’oggettiva sua necessità affinchè la decisione produca, e conservi intatti, i propri effetti nel rapporto sostanziale che il processo restituisce, depurato dei suoi profili controversi, alle parti.

4.5. – L’insegnamento tratto dalla tecnica di decisione in base al criterio della ragione più liquida ha il pregio di sottolineare i due elementi – rapporto sostanziale e decisione necessitata su di esso – da tenere specialmente in considerazione per distinguere tra pregiudiziale in senso logico e pregiudiziale in senso tecnico (l’attributo giuridico essendo comune ad entrambe, sia pure, per le considerazioni che seguono, con un portato distinto).

Infatti, quando si afferma che il giudicato copre anche l’indispensabile presupposto logico-giuridico della pronuncia, altro non si vuoi dire se non che è la logica interna al rapporto giuridico a qualificare come necessario il giudicato sui vari effetti che ne possono derivare, affrancandolo dall’esplicita richiesta della parte o dalla volontà di legge, sol che si consideri che la funzione del rapporto è, appunto, quella di tenere insieme conseguenze le quali, altrimenti, vivrebbero di vita autonoma nel mondo del diritto contraddicendosi e privandosi reciprocamente di giustificazione. Si tratta di un’implicazione (appunto logico-giuridica, o meglio) di logica giuridica (espressa dall’operatore logico "se a allora è"), che come tale per la sua intrinseca razionalità precede la stessa scelta legislativa di cui all’art. 34 c.p.c. limitandone ontologicamente l’ambito di applicazione.

La decisione, per contro, è parte della nozione di procedimento e dipende dalle cadenze e dai contenuti di questo. La sua efficacia oltre i limiti espliciti della domanda è necessitata solo dall’incidenza su di un rapporto giuridico e dalla coerenza dialettica che questo sottende. Pertanto, ove a monte non vi sia un rapporto giuridico fra le parti, ovvero se ne configuri altro estraneo alla causa petendi che assiste la pretesa azionata, non v’è ragione per ritenere che il giudicato esplicito formatosi a valle sulla questione dipendente possa risalire, per via implicita, alla questione pregiudiziale non espressamente trattata. Al contrario della pregiudiziale in senso logico, che nasce dalla nozione di rapporto giuridico sostanziale, quella in senso tecnico trae la propria giuridicità dal processo, che ne determina i gradi di rilevanza attraverso la scansione dell’art. 34 c.p.c..

5. – Nel caso in esame il precedente giudicato si è formato in maniera espressa sull’invalidità di una delibera dell’assemblea relativa all’uso dell’area condominiale di distacco, per contrasto con lo stesso art. 3, lett. f) del regolamento di condominio, senza, tuttavia, che in tale giudizio sia stata sollevata e trattata alcuna questione inerente alla validità della predetta disposizione regolamentare.

Orbene, la causa petendi della domanda d’impugnazione di una delibera condominiale non presuppone un rapporto giuridico tra il condominio e il condomino, per difetto di intersoggettività e di connessione relazionale (del tipo diritto/obbligo) fra situazioni soggettive contrapposte, ma evidenzia una richiesta di tutela ad rem che si esaurisce nel riscontro di legittimità dell’atto collettivo che sulla cosa stessa pretende di operare.

Non essendovi rapporto, manca la ragione di logica giuridica che motiva il giudicato implicito sulla questione pregiudiziale di validità della norma regolamentare invocata, a sua volta potenzialmente destinata ad operare tra le stesse parti, per il suo carattere astratto, in casi ulteriori e diversi rispetto a quello dedotto.

La conseguenza è che nella fattispecie non può ritenersi prodotto alcun giudicato implicito sulla validità della norma regolamentare la cui violazione aveva condotto, nel precedente giudizio, all’annullamento della delibera impugnata.

6. – E’ inammissibile, invece, il secondo motivo, di natura apparente poichè non censura una ratio della decisione impugnata, ma si limita a lamentare che, ove confermata, essa determinerebbe un effetto contrario ad una norma imperativa. Ma tale effetto sarebbe potuto derivare solo da una sentenza che avesse esaminato e deciso la relativa questione, lì dove, invece, nel caso di specie la sentenza impugnata si è arrestata ben prima, ritenendo erroneamente il giudicato implicito di cui sopra si è trattato.

7. – In conclusione va accolto il primo motivo, dichiarato inammissibile il secondo, e cassata la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che nel decidere la controversia si atterrà al seguente principio di diritto: "il giudicato implicito su di una questione pregiudiziale rispetto ad altra, di carattere dipendente, su cui si sia formato il giudicato esplicito esterno, deve escludersi allorchè la prima abbia ad oggetto un antecedente giuridico non necessitato in senso logico dalla decisione e potenzialmente idoneo a riprodursi fra le stesse parti in relazione a ulteriori e distinte controversie. Pertanto, l’annullamento con sentenza passata in giudicato di una delibera di assemblea condominiale impugnata da un condomino per violazione di una norma del regolamento di condominio, non determina, al di fuori dei casi e dei modi previsti dall’art. 34 c.p.c., il giudicato sulla validità della stessa disposizione regolamentare, la cui conformità o non a norme imperative di legge può essere oggetto di un successivo giudizio fra le medesime parti". 7.1. – Il giudice di rinvio provvedere anche sulle spese del presente procedimento di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibile il secondo motivo, e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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