T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 12-12-2011, n. 3144 Comunicazione, notifica o pubblicazione del provvedimento lesivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Comune resistente, in applicazione del Piano di Zona Consortile per l’Edilizia Economica e Popolare ex Legge 18/04/1962 n. 167, ebbe ad indire una gara per l’assegnazione di aree in diritto di superficie destinate a edilizia residenziale economica e popolare. La IMPRESA COSTRUZIONI A.C. SPA (di seguito, l’Impresa), individuata tra i soggetti attuatori, in data 18 maggio 1999 stipulò con il Comune ed il CIMEP la convenzione attuativa del piano, divenendo nel contempo concessionaria del diritto di superficie di durata novantennale. In particolare, ai sensi dell’articolo 2 della convenzione, l’impresa si obbligava a realizzare, sull’area concessa in diritto di superficie, edifici destinati ad abitazioni di edilizia economica e popolare, i cui alloggi avrebbero dovuto essere ceduti in proprietà esclusivamente a persone aventi determinati requisiti prestabiliti; inoltre, ai sensi dell’art. 7 quater, l’impresa era tenuta a cedere gratuitamente al Comune quattro alloggi, con relative cantine e boxes.

1.2. Sennonché, a seguito della dichiarazione di fallimento dell’impresa (con sentenza in data 27 luglio 2009 del Tribunale di Milano), il Comune ha deliberato di revocare il rapporto concessorio in autotutela, motivando nel senso che lo stato fallimentare costituisce una situazione pregiudizievole ed incompatibile per l’interesse pubblico al quale mira l’intervento di E.R.P.; con lo stesso provvedimento, l’amministrazione comunale ha dichiarato la decadenza della concessione in forza di quanto statuito dall’art. 11, c. 4, punto 5 della convenzione, nonché per avere l’impresa, a seguito dell’intervenuta dichiarazione di fallimento, perso i requisiti soggettivi che il concessionario di un bene pubblico dovrebbe obbligatoriamente avere e mantenere per la prosecuzione del rapporto concessorio.

2. Con ricorso ritualmente notificato e depositato il 10 dicembre 2010, il Fallimento ha impugnato i provvedimenti in epigrafe indicati, chiedendo al Tribunale di disporne l’annullamento, previa loro sospensione, in quanto viziati da violazione di legge ed eccesso di potere; ha, altresì, chiesto il risarcimento del danno ovvero, in subordine, il riconoscimento in favore del fallimento dell’indennizzo ex art. 21, comma 1, l. 241/1990.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione resistente, chiedendo il rigetto del ricorso.

2.1. Con ordinanza del 13 gennaio 2011, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia ha respinto l’istanza cautelare riferita al provvedimento di decadenza (stante l’inefficacia dell’effetto per incompletezza della fattispecie), mentre ha accolto l’istanza cautelare riferita al provvedimento di revoca (per vizio di incompetenza), fissando per la trattazione di merito del ricorso l’udienza pubblica del 13 ottobre 2011.

2.2. Con ricorso per motivi aggiunti, depositato il 12 aprile 2011, il ricorrente ha impugnato la deliberazione del Commissario prefettizio del Comune di Rho n. 22 del 27 gennaio 2011, con la quale si "delibera di convalidare/ratificare quanto deliberato dalla Giunta Comunale con proprio atto n. 223 del 26 ottobre 2010".

2.3. Alla camera di consiglio del 26 maggio 2011, fissata per la discussione sulla sospensiva richiesta con ricorso per motivi aggiunti, su richiesta delle parti, il Collegio ha rinviato la discussione della causa all’udienza pubblica del 13 ottobre 2011.

2.4. Con ulteriore ricorso per motivi aggiunti, depositato il 13 giugno 2011, il ricorrente ha impugnato la deliberazione del Consiglio Direttivo del CIMEP n. Prot. 756, datata il 14 marzo 2011, conosciuta il 12 maggio 2011, la quale ha dichiarato la "decadenza per la parte non attuata della concessione e conseguente estinzione del diritto di superficie".

2.5. La causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva all’odierna udienza del 13 ottobre 2011.

Motivi della decisione

I. In via pregiudiziale, sussiste la giurisdizione esclusiva del Giudice adito, ai sensi dell’art. 133, comma I lettera b) c.p.a., involgendo la presente controversia la contestazione di atti e provvedimenti relativi ad un rapporto di concessione di bene pubblico (cfr., in un caso analogo, Consiglio di Stato, sez. IV, 25 giugno 2010 n. 4093).

II. Ancora in via pregiudiziale, il ricorso è ammissibile anche se non notificato ai terzi acquirenti dal concessionario degli appartamenti nel frattempo realizzati. Difatti, coloro che hanno acquistato dall’impresa concessionaria l’esclusiva proprietà (superficiaria) degli immobili non sono soggetti controinteressati nella presente vertenza, in quanto il loro titolo di acquisto non sarebbe affatto travolto né reso precario dall’accoglimento della spiegata domanda di annullamento; ciò in quanto la risoluzione della convenzione, quale effetto dell’esercizio della facoltà contrattuale di pronunciare la decadenza (la quale, come si ripeterà anche in seguito, al di là del nomen utilizzato non è altro che una dichiarazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa) non travolge i diritti dei terzi aventi causa (ex art. 1458, II comma, c.c., salvi ovviamente gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione). Piuttosto i diritti dei terzi aventi causa dall’impresa vedranno estinguersi il proprio diritto di proprietà superficiaria soltanto a seguito della estinzione del termine di durata originariamente apposto al diritto di superficie del dante causa (ciò ai sensi dell’art. 954 c.c.; del resto, anche la convenzione prevedeva che "l’edificio realizzato sull’area concessa in diritto di superficie e le eventuali sue pertinenze viene fin d’ora riconosciuto di esclusiva proprietà dell’impresa e dei suoi aventi causa per tutta la durata della concessione").

II.1. Le stesse ragioni conducono al rigetto del motivo di ricorso con cui si deduce che il Comune avrebbe illegittimamente preteso di appropriarsi degli immobili in questione, senza minimamente considerare la posizione di tutti gli aventi causa.

III. Tanto premesso, il ricorso non può essere accolto per i seguenti motivi.

IV. Per cominciare, il provvedimento gravato, secondo il Fallimento, sarebbe affetto da un vizio definito di "eccesso di potere per perplessità", scaturente dall’avere il Comune preteso, alternativamente e con un unico provvedimento, di revocare ovvero di dichiarare decaduta la concessione in favore dell’impresa, ovvero procedendo mediante un unico atto all’esercizio congiunto di due diversi e contrapposti poteri, quello di autotutela e quello sanzionatorio.

IV.1. Il motivo è infondato. Invero, i richiamati principi di tipicità e nominatività dell’atto amministrativo, pur esigendo (come correttamente rilevato dal ricorrente) che ad ogni interesse pubblico vada correlato uno specifico potere in capo all’amministrazione in modo da determinare in esito al procedimento un giudizio di coerenza tra potere esercitato e risultato concretamente perseguito, non escludono certo che il medesimo documento possa contenere più disposizioni decisorie concorrenti, purché ovviamente siano giuridicamente e logicamente compatibili.

V. Sotto altro profilo, il fallimento lamenta come l’adozione dei provvedimenti impugnati fosse riconducibile alla competenza del Consiglio Comunale ovvero, al più, del dirigente; ma di certo non della Giunta che, viceversa, li ha adottati.

V.1. Orbene, con riferimento alla disposta decadenza il vizio di incompetenza della Giunta Comunale non sussiste. Come già affermato in sede cautelare, deve ribadirsi che, con quest’ultimo atto la Giunta si è limitata a rilevare i presupposti indicati in convenzione ed a dare doverosa applicazione alla convenzione. In sostanza, poiché non vi è stato alcun esercizio di poteri di disposizione del patrimonio immobiliare comunale, che soltanto avrebbero radicato la competenza del Consiglio comunale ai sensi dell’art. 42, lett. l) del TUEL, e poiché la delibera impugnata non era diretta ad affermare una diversa (e contraria) volontà rispetto a quella manifestata dall’organo consiliare (bensì a dare esecuzione all’indirizzo generale del Consiglio sulle modalità di esecuzione del Programma di edilizia economica e popolare trasfuse nella convenzione), sussisteva la competenza della Giunta. Non poteva configurarsi, in ordine all’adozione del medesimo atto, la competenza del dirigente preposto all’Ufficio comunale che, come è noto, resta limitata agli atti di gestione in conformità alle direttive dell’organo di governo (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 17 settembre 2010 n. 6982).

V.2. Con riguardo, invece, al provvedimento di revoca, il vizio di incompetenza relativa della Giunta comunale, già rilevato dal Collegio in sede cautelare, è stato sanato dalla deliberazione del Commissario Prefettizio del Comune di RHO n. 22 del 27 gennaio 2011 (intervenuta nelle more della udienza di merito) che ha convalidato (ai sensi dell’art. 21 nonies, II comma, L. 241/1990) quanto adottato dalla Giunta. Difatti, l’esistenza di una controversia giudiziaria non preclude l’adozione, da parte del soggetto munito di competenza, di un provvedimento di ratifica o convalida dell’atto viziato che va a sostituirsi a quest’ultimo ove ricorrano i presupposti previsti dell’individuazione dell’atto da convalidare, della specificazione del vizio da eliminare e del c.d. animus convalidandi, cioè la volontà di rimuovere il vizio (cfr. T.A.R. Lazio, sez. Latina. I, 6 maggio 2009 n. 421; Cons. St., sez. IV, 31.5.2007 n. 2894). Ne consegue, la sopravvenuta improcedibilità della relativa censura.

VI. L’atto di convalida del Commissario Prefettizio appena citato è stato gravato con ricorso per motivi aggiunti. In particolare, il ricorrente denuncia: – la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento; – che, essendo il provvedimento in questione assunto in data 27 gennaio 2011 dal dott. Francesco Russo, nella sua qualità di Commissario prefettizio, nominato soltanto con decreto presidenziale del 31 gennaio 2011 Commissario Straordinario del Comune, con contestuale declaratoria di scioglimento del Consiglio Comunale, quest’ultimo non avrebbe avuto, prima di tale data, il potere di convalidare un atto della Giunta, in quanto a mente dell’articolo 141, comma 7, del d.lgs. 267/2000, in attesa del decreto di scioglimento del consiglio comunale, il prefetto non può adottare atti eccedenti dai parametri di urgenza, indifferibilità ed ordinaria amministrazione.

VI.1. I motivi sono infondati.

Con riguardo alla censura di violazione del contraddittorio, è sufficiente richiamare il principio di strumentalità delle forme che esclude la portata invalidante dell’omesso avviso quando l’amministrato abbia avuto non solo piena contezza dell’azione amministrativa incisiva del suo interesse, ma anche la concreta possibilità di controdedurre dettagliatamente le sue ragioni: è, per l’appunto, quanto accade nel caso di specie, dove il potere è stato riesercitato (unicamente per ratificare il difetto di competenza) mentre già pendeva un giudizio nel corso del quale il ricorrente aveva versato, tra i motivi di ricorso notificati alla controparte, plurimi argomenti inerenti la asserita illegittimità per vizi anche sostanziali della revoca.. Occorre, a questo riguardo, anche ricordare l’assunto (Consiglio Stato sez. VI, 29 luglio 2008 n. 3786) secondo cui, se è vero che la norma di cui all’art. 21 octies comma 2, l. n. 241 del 1990 pone in capo all’amministrazione (e non del privato) l’onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione dell’avvio, che l’esito del procedimento non poteva essere diverso, tuttavia, onde evitare di gravare la p.a. di una probatio diabolica (quale sarebbe quella consistente nel dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l’esito del procedimento), risulta preferibile interpretare la norma in esame nel senso che il privato non possa limitarsi a dolersi della mancata comunicazione di avvio, ma debba anche quantomeno indicare o allegare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbero introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione; cosicché, solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione, la p.a. sarà gravata del ben più consistente onere di dimostrare che anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato. Ne consegue che ove, come nella specie, il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le circostanze che intendeva sottoporre all’amministrazione (aggiuntive rispetto a quelle già versate tra i motivi del ricorso principale), il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve intendersi inammissibile.

Ai fini del rigetto del secondo motivo, deve replicarsi come sia più che ragionevole considerare "urgente" la convalida di un atto di significativo rilievo sociale per il quale è già incardinato un giudizio il cui esito sfavorevole per l’amministrazione avrebbe sicuri effetti negativi per gli interessi da essa curati.

VII. Con ulteriore motivo riferito al provvedimento di decadenza, il Fallimento si duole del fatto che la stessa avrebbe potuto essere disposta soltanto da parte dell’Assemblea del CIMEP, previo parere del Comune di RHO; difatti, ai sensi dell’articolo 11 della Convenzione "la decadenza è dichiarata, previa diffida, con deliberazione della Giunta Comunale del Comune di RHO e del Consiglio Direttivo CIMEP".

VII.1. Il motivo è infondato. Ritiene il Collegio che, sino a quando è perdurata la mancata adozione di conforme deliberazione di decadenza del CIMEP (alla cui competenza concorrente l’art. 11 della convenzione effettivamente rimette la dichiarazione di decadenza), tale circostanza abbia rilevato in termini di mera inefficacia per incompletezza della fattispecie (configurabile come atto complesso o decisione pluristrutturata che non richiede la contestualità delle determinazioni volitive ma soltanto la loro convergenza nell’in idem placitum consensus), e non in termini di illegittimità dell’atto adottato dal Comune. Ecco allora che la sopravvenuta (ancora una volta in corso di giudizio) deliberazione del Consiglio Direttivo del CIMEP (in data il 14 marzo 2011), la quale ha dichiarato (anche per parte sua) la "decadenza per la parte non attuata della concessione e la conseguente estinzione del diritto di superficie…", giustapponendosi alla determinazione comunale, ha perfezionato gli effetti risolutori della decadenza (effetti equivalenti, si ripete, a quelli scaturenti dalla dichiarazione civilistica di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa).

VIII. Anche la deliberazione del Consiglio Direttivo del CIMEP è stata gravata con ricorso per motivi aggiunti. In particolare, ci si duole che: – non risulta intervenuta alcuna comunicazione di avvio del relativo procedimento; – sotto il profilo procedimentale, è mancata la prescritta diffida; – la clausola contenente la dichiarazione di immediata esecutività "stante l’urgenza" costituirebbe violazione dell’art. 21 bis della legge n, 241/90, che subordina l’efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati alla comunicazione effettuata a ciascun destinatario; – la mancanza di motivazione circa la gravità dell’inadempimento; – che, in modo illegittimo, il CIMEP avrebbe espressamente escluso la decadenza dell’intera convenzione, limitando la decadenza della convenzione alla "estinzione del diritto di superficie attribuito alla Impresa Costruzioni Edili Angelo per quanto riguarda le unità immobiliari" ivi specificamente indicate, e ciò sia per il fatto di avere tale atto un contenuto dispositivo diverso rispetto a quello della concorrente determinazione del Comune e sia perché la decadenza parziale non è contemplata dalla convenzione.

VIII.1. Anche i vizi appena riassunti sono infondati.

Quanto alla censura di violazione del contraddittorio procedimentale, in disparte che qui si tratta dell’esercizio di una facoltà negoziale, deve ribadirsi quanto già sopra argomentato al punto VI.1.. della motivazione. Il principio di strumentalità esclude la portata invalidante dell’omesso avviso quando l’amministrato abbia avuto non solo piena contezza dell’azione amministrativa incisiva del suo interesse, ma anche la concreta possibilità di controdedurre dettagliatamente le sue ragioni: è, per l’appunto, quanto accade nel caso di specie, dove il potere è stato riesercitato (unicamente per ratificare il difetto di competenza) mentre già pendeva un giudizio nel corso del quale il ricorrente aveva versato, tra i motivi di ricorso notificati alla controparte, plurimi argomenti inerenti la asserita illegittimità per vizi anche sostanziali della revoca. Anche qui, inoltre, il ricorrente si è limitato a contestare la mancata comunicazione di avvio, senza allegare le circostanze che intendeva sottoporre all’amministrazione (aggiuntive rispetto a quelle già versate tra i motivi del ricorso principale), il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve intendersi inammissibile (in ossequio a quanto sostenuto da Consiglio Stato sez. VI, 29 luglio 2008 n. 3786).

Quanto alla mancanza di diffida, in disparte i dubbi del Collegio circa la portata viziante di tale circostanza, è sufficiente replicare come, sul piano funzionale, possa ad essa equipararsi la dichiarazione di avvio del procedimento trasmessa dal Comune di RHO in data 29 luglio 2010.

Quanto alla clausola di immediata efficacia, il riferimento all’art. 21 bis l. 241/1990 è improprio poiché non si tratta di provvedimento avente carattere sanzionatorio bensì di facoltà negoziale la cui disciplina di riferimento è contenuta all’art. 1456 c.c.; ne discende che, al di là, della formula di stile utilizzata dal CIMEP, l’effetto è retto dalla legge alla cui stregua l’esito risolutivo si verifica quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva espressa.

Con riguardo, poi, al dedotto vizio di motivazione, oltre ad essere tale onere stato congruamente assolto attraverso il richiamo al contenuto della deliberazione della Giunta Comunale del Comune di RHO del 26 ottobre 2010, occorre aggiungere che, trattandosi di facoltà negoziale, ciò che conta è la sussistenza in concreto dei presupposti per il suo esercizio.

Da ultimo, quanto alla asserita illegittimità della decadenza parziale, invero, al di là delle espressioni utilizzate dall’amministrazione, anche qui l’effetto è regolato dalla legge. Come sopra specificato ai diversi fini della ammissibilità del ricorso, la risoluzione della convenzione, quale effetto dell’esercizio della facoltà contrattuale di pronunciare la decadenza (la quale, lo si ripete, non è altro che la dichiarazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa) non travolge i diritti dei terzi aventi causa (ex art. 1458, II comma, c.c., salvi ovviamente gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione). Piuttosto, i diritti dei terzi aventi causa dalla Impresa vedranno estinguersi il proprio diritto di proprietà superficiaria soltanto a seguito della estinzione del termine di durata originariamente apposto al diritto di superficie del dante causa (ciò ai sensi dell’art. 954 c.c.; inoltre, anche la convenzione prevedeva che "l’edificio realizzato sull’area concessa in diritto di superficie e le eventuali sue pertinenze viene fin d’ora riconosciuto di esclusiva proprietà dell’impresa e dei suoi aventi causa per tutta la durata della concessione").

IX. Con ulteriore ordine di motivi, il fallimento sostiene che sarebbero mancati i presupposti sostanziali per procedere sia alla decadenza quando alla revoca. Vediamo in sintesi gli argomenti utilizzati.

Con riguardo alla decadenza difetterebbero i presupposti espressamente indicati nella convenzione, la quale (all’art. 2, punto 5) contempla tale ipotesi solo "qualora si verifichi lo scioglimento o il fallimento dell’impresa prima dell’integrale realizzazione dell’iniziativa". Nel riferirsi alla "realizzazione dell’iniziativa", la convenzione non poteva che riguardare l’attività costruttiva/realizzativa delle opere previste nella Convenzione, che però nella specie sarebbe stata portata ad esecuzione ben prima della dichiarazione di fallimento.

Con riguardo al provvedimento in autotutela, si argomenta che il fallimento dell’impresa concessionaria non costituirebbe di per sé una situazione pregiudizievole per la cura dell’interesse pubblico, non precludendo il perseguimento degli interessi pubblici sottesi all’intervento di edilizia economica e popolare, incidendo al più su interessi privati del Comune. In particolare, ragiona il fallimento, l’impresa ha adempiuto a pressoché tutti gli obblighi nascenti dalla convenzione, salvo per quanto concerne la cessione dei 4 immobili che, secondo la concessione, sarebbero stati da devolvere gratuitamente al Comune, per essere poi da questo destinati a locazione agevolata; tuttavia, anche con riguardo a quest’ultimo profilo, lo stato di fallimento non metterebbe a repentaglio la destinazione degli immobili a locazione agevolata, trattandosi di vincolo che resterebbe legato agli immobili stessi; inoltre, resterebbe fermo il credito dell’amministrazione al risarcimento del danno da iscriversi nel passivo fallimentare (soggetto alla falcidia).

Il ricorrente argomenta pure la violazione dell’art. 72 r.d. 16 marzo 1942 n. 267, V comma, secondo cui "sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento".

IX.1. Orbene, a parere del Collegio, sussistevano i presupposti per lo scioglimento del rapporto concessorio.

Quanto alla decadenza, ovvero alla dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa per inesecuzione della convenzione, è pacifico tra le parti l’inadempimento dell’obbligo di trasferimento dei quattro alloggi. Circa la perdurante cogenza di tale obbligazione anche a seguito della dichiarazione di fallimento, non è affatto condivisibile la deduzione secondo cui (pag. 19 del ricorso introduttivo) l’obbligazione di cessione gratuita degli stessi sarebbe "venuta meno con il fallimento". Infatti, avuto riguardo agli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, il concordato reciproco trasferimento dei diritti di superficie sull’area pubblica e del diritto di proprietà su cosa futura (gli alloggi) è riconducibile agli effetti di un contratto di permuta il quale, se stipulato prima della dichiarazione di fallimento, è regolato secondo il criterio delineato nei primi tre commi dell’art. 72 della l. fall. (cfr. Cassazione civile, sez. un., 7 luglio 2004 n. 12505). Essendo il fallimento del costruttore intervenuto successivamente all’avvenuto trasferimento del diritto di superficie dell’area e dopo che la costruzione degli alloggi è stata eretta, si sono prodotti, ex uno latere, gli effetti finali della operazione economica programmata e ciò ha comportato, per la parte pubblica, l’integrale esecuzione della prestazione dovuta, come tale preclusiva, una volta sopravvenuto il fallimento del costruttore, della facoltà di scioglimento unilaterale del contratto conferita al curatore, essendo tale facoltà esercitabile solo se il contratto di permuta è ancora ineseguito, o non compiutamente eseguito, da entrambe le parti (secondo una tesi non condivisa dal Collegio, al più, poteva porsi per il fallimento, l’alternativa tra dichiarare di subentrare in luogo del fallito nel contratto, assumendone in tal caso tutti gli obblighi relativi, ovvero di sciogliersi dal contratto medesimo, non certo la possibilità di sciogliersi dalla singola obbligazione di trasferimento degli alloggi lasciando immutata la parte restante della convenzione sino all’integrale decorso del termine di efficacia). Sulla scorta degli argomenti difensivi ed in mancanza di diversa allegazione, deve ritenersi che il fallimento sia subentrato nella convenzione e nei suoi riguardi sia, pertanto, opponibile l’obbligazione di trasferimento degli alloggi. Quanto appena detto vale anche ad escludere in radice che la pretesa del Comune possa definirsi una "spoliazione" del fallimento, ovvero una "diretta appropriazione dei 4 immobili in questione, in violazione del principio della par condicio creditorum".

Ciò premesso, l’inesecuzione dell’obbligazione di cessione gratuita, come rilevato in sede cautelare, è perfettamente sussumibile nella previsione di cui all’art. 11, comma 4, n. 4 (relativo al compimento di atti che, anche in modo indiretto, compromettano le finalità pubbliche e sociali per le quali l’insediamento residenziale è stato realizzato) e n. 5 (inerente il fallimento dell’impresa prima dell’integrale realizzazione dell’iniziativa) della convenzione. Quello in oggetto, difatti, concreta un inadempimento definitivo di non scarsa importanza, avuto riguardo al superamento di ogni ragionevole limite di tolleranza in relazione all’oggetto e alla natura del contratto, nonché al pregiudizio causato agli interessi perseguiti dall’amministrazione: in primo luogo, gli alloggi non trasferiti al comune, venendo convogliati nella massa fallimentare, non potrebbero certo essere gestiti coerentemente alle finalità pubbliche di Edilizia residenziale Pubblica (ovvero utilizzati ad esclusivo favore dei soggetti beneficiari e ad un prezzo prefissato), bensì sarebbero esposti al rischio di essere venduti a soddisfazione dei creditori (senza la possibilità di poter opporre ai terzi acquirenti dal fallimento alcun vincolo di destinazione reale, come invece sembra ritenere il ricorrente); inoltre, anche nella ipotesi in cui la sorte degli alloggi in questione fosse quella di restare di proprietà del fallimento (anche se non si comprende su quali dati si fondi tale previsione, data la finalità della procedura fallimentare), la circostanza stessa che il gettito della locazione perverrebbe alla massa fallimentare e non al Comune comporterebbe anch’essa un evidente detrimento delle finalità dedotte nel rapporto; da ultimo, è manifesta l’incompatibilità tra la finalità liquidativa e disgregativa del complesso aziendale perseguita dall’ordinamento con la procedura concorsuale fallimentare, la quale prelude necessariamente (sia pure con i temperamenti introdotti dalla recente riforma) alla estinzione del soggetto giuridico esecutato, con la regolare continuazione del rapporto concessorio (deduzione quest’ultima che impone di interpretare "l’integrale realizzazione dell’iniziativa", cui allude la convenzione, in termini di integrale realizzazione del programma negoziale).

IX.2. La sussistenza dei presupposti per procedere alla risoluzione per inadempimento costituisce, evidentemente, una ragione liquida sufficiente al rigetto del ricorso e all’assorbimento dei motivi inerenti l’esercizio del potere pubblico di autotutela.

X. Si assume, da ultimo ed in subordine, la violazione dell’art. 21 quinquies Legge 241/90, secondo il quale "se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere alloro indennizzo". Il Comune avrebbe dovuto prevedere la previsione dell’indennizzo. Si chiede, dunque, di accertare la spettanza al fallimento dell’indennizzo stesso.

X.1. La domanda è infondata, dal momento che, mentre l’istituto indennitario invocato concerne l’ipotesi in cui l’amministrazione proceda da una rimodulazione delle valutazioni di mera opportunità, esso non trova applicazione nei casi l’atto di ritiro sia stato adottato quale specifica conseguenza della condotta imputabile al destinatario, il quale non dia più garanzie di poter realizzare l’assetto di interessi concordato (come accade, per l’appunto, nelle ipotesi di intervenuto dissesto finanziario: cfr., per una applicazione analoga del principio enunciato dal Collegio, la sentenza 13 luglio 2010 n. 4534 del Consiglio di Stato).

XI. Il ricorso deve, pertanto, essere integralmente respinto. Il rigetto della domanda risarcitoria consegue al rigetto nel merito della domanda di annullamento.

Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RIGETTA il ricorso;

CONDANNA il Fallimento ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’amministrazione resistente che si liquida in Euro 1.500,00, oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Dario Simeoli, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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