Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
M.M. è stato condannato alla pena di mesi tre di reclusione dal tribunale di Rovereto per il reato di lesioni, danneggiamento aggravato e porto d’armi non autorizzato; contro la sentenza ha proposto appello, che si è concluso con la conferma della sentenza impugnata e la condanna dell’appellante al pagamento delle spese processuali. M.M. propone oggi ricorso per cassazione evidenziando tre motivi:
– con il primo motivo eccepisce la prescrizione del reato di cui alla L. n. 110 del 1975 per decorso del termine massimo di quattro anni e mesi sei al momento del fatto;
– con il secondo motivo deduce violazione di legge per erronea applicazione degli artt. 56, 582, 69, 62 bis e 585 c.p. e art. 533 c.p.p.. Lamenta il ricorrente che la corte d’appello abbia determinato la pena base per il delitto di tentate lesioni in mesi tre di reclusione, senza tener conto del fatto che si trattava di reato tentato e quindi della diminuzione di cui all’art. 56 c.p.;
– con il terzo motivo di ricorso deduce violazione di legge in relazione agli articoli quattro della L. n. 110 del 1975 e art. 533 c.p.p.. Da un lato si lamenta la ritenuta responsabilità per il reato di cui al capo quattro, per aver portato fuori della propria abitazione una chiave inglese; dall’altro, si contesta che l’uso della chiave inglese possa costituire aggravante ai sensi dell’art. 585 c.p., n. 2. Caduta l’aggravante, sostiene il ricorrente, i reati di cui ai capi 2 e 4 dovrebbero dichiararsi estinti per remissione di querela in quanto non procedibili d’ufficio.
Il Procuratore Generale di udienza ha concluso per l’annullamento della sentenza per la prescrizione della contravvenzione, con rinvio per rideterminazione della pena; rigetto degli altri motivi di ricorso. Nessuno è comparso per la difesa.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato, salvo per quanto riguarda l’eccezione di prescrizione; la contravvenzione prevista dal capo 4 è effettivamente estinta essendo ampiamente decorso ad oggi il termine prescrizionale, dato che i fatti risalgono al maggio del 2005.
Non è fondato invece il secondo motivo di ricorso; tenendo conto della equivalenza tra l’aggravante di cui all’art. 585 e le attenuanti generiche, i giudici di merito hanno operato il calcolo della pena prendendo come base il più grave reato di tentate lesioni; l’art. 582 punisce le lesioni personali con la reclusione da tre mesi a tre anni. Or bene, per effetto dell’applicazione dell’art. 56 c.p., la pena deve essere ridotta da un terzo a due terzi; ne consegue che la pena edittale diventa compresa tra un mese (operando il massimo della riduzione per i due terzi) e due anni (operando sul massimo edittale il minimo della riduzione ex art. 56). Dunque, per effetto dell’art. 56, per le lesioni il giudice può applicare una pena ricompresa tra un mese e due anni; i giudici di merito, ritenendo quale pena base per il suddetto reato quella di mesi tre sono rimasti ampiamente entro i limiti edittali e pertanto non hanno commesso alcuna violazione di legge. Ne consegue che il relativo motivo di ricorso è infondato e va rigettato.
Anche il terzo motivo – con il quale il ricorrente lamenta che la chiave inglese sia stata considerata elemento idoneo per l’aggravamento del reato di lesioni personali tentate, ai sensi dell’art. 585 c.p., comma 2, n. 2 – è infondato; che una chiave inglese possa essere considerata arma impropria non è seriamente contestabile ed è già stato affermato anche da questa corte ("..agli effetti penali, la nozione di arma impropria può essere estesa fino a comprendere qualsiasi strumento, purchè efficientemente utilizzabile per portare offesa alla persona, come mazze, catene, bulloni, ecc. (Fattispecie in tema di chiave inglese)"; cfr. Cassazione penale, sez. 6, 19/04/1979). Non si può, peraltro non rilevare che la corte d’appello di Trento ha motivato in modo specifico sul punto, con riferimento al fatto che il porto della chiave inglese non fosse nella circostanza giustificabile; assumeva il ricorrente, infatti, trattarsi di attrezzo normalmente presente nell’autovetture, in quanto necessario alla manutenzione, e pertanto ne riteneva giustificata la custodia all’interno dell’auto. La corte ha ritenuto, con vantazione di merito correttamente motivata ed esente da censure, che nel caso di specie la chiave inglese, in quanto non custodita negli appositi alloggiamenti del vano bagagli, bensì a portata di mano dell’imputato all’interno dell’abitacolo, fosse stata portata con sè dall’odierno ricorrente proprio al fine di usarla come arma. Non si sarebbe trattato, dunque, di uso occasionale ed improvvisato, bensì di un utilizzo preordinato alla lesione alla persona. Quanto all’aggravante contestata, poi, si deve rilevare che nel momento in cui un oggetto viene utilizzato per la lesione alla persona e presenta le caratteristiche adeguate per questa distorta funzione, automaticamente deve essere considerato arma impropria ai fini della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 585 c.p.. A tal fine, infatti, sono considerate armi tutti gli oggetti atti ad offendere, dei quali è vietato dalla legge il porto senza giustificato motivo. Anche a voler considerare giustificato il porto della chiave inglese fuori della propria abitazione ed all’interno dell’autovettura, quale strumento necessario per la sua manutenzione, nel momento in cui vi è una deviazione dalla sua funzione naturale e l’oggetto viene utilizzato per offendere, in questo momento non può che essere considerato arma impropria e quindi integrare l’aggravante contestata.
Per quanto esposto, i motivi 2 e 3 del ricorso devono ritenersi infondati, conseguendone sul punto il rigetto del ricorso.
Per effetto della declaratoria di estinzione della contravvenzione si rende necessario il ricalcolo della pena, dovendosi eliminare l’aumento per la continuazione riferibile al reato di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4 (capo di imputazione n.4); orbene, poichè nella sentenza di condanna di primo grado vi è un aumento cumulativo per i reati di cui ai capi 3 e 4, senza un’indicazione specifica dei singoli aumenti, si deve presumere che, in mancanza di diversi criteri di determinazione, l’aumento sia stato operato nella stessa misura per i due reati. Diversamente, infatti, il giudice del merito avrebbe indicato singolarmente gli aumenti, per giungere al calcolo finale della pena. Dunque, considerato che l’aumento è stato operato complessivamente nella misura di un mese e 15 giorni e tenendo conto della diminuente per il rito, l’aumento riferibile al reato prescritto è pari a giorni 15 di reclusione. Non è, dunque, necessario rinviare gli atti al giudice di merito per la rideterminazione della pena.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla contravvenzione di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4 perchè estinta per intervenuta prescrizione ed elimina il relativo aumento ex art. 81 cpv. c.p. di giorni 15 di reclusione.
Rigetta nel resto.
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