Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
A.C. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso l’ordinanza 28 aprile 2011 del Tribunale del riesame di Caltanissetta (che ha rigettato la richiesta di riesame dell’ordinanza 29 marzo 2011 del G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta che aveva applicato la custodia cautelare in carcere per i reati ex art. 416 bis c.p. e D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies della provvisoria incolpazione), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.
1.) la provvisoria incolpazione e la decisione delle questioni preliminari nell’ordinanza impugnata.
Con il provvedimento 29 marzo 2011 il G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta ha applicato al ricorrente la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 4 e 6, (capo A) e art. 110 c.p., D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies (capo O).
Il Tribunale del riesame premette in fatto che la decisione del G.I.P. recepisce gli esiti della attività investigativa, compendiata nella c.n.r. del 19 marzo 2008 e relativi allegati, della Sezione Anticrimine di Caltanissetta del R.O.S. che aveva monitorato le attività illecite del gruppo di "Cosa Nostra" operante nel mandamento mafioso di Mussomeli.
Le prime risultanze di detta indagine sono confluite nelle operazioni c.ed. "Leopardo", "Grande Oriente", "Urano", "Bobcat-Itaca" ed i procedimenti sorti da tali operazioni di polizia hanno consentito di accertare l’esistenza e l’operatività della consorteria mafiosa nell’area di interesse, considerato che alcuni di essi sono sfociati in sentenze ormai irrevocabili.
Il compendio indiziario posto a base del presente procedimento è costituito dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, rese anche in fase dibattimentale nell’ambito di altri procedimenti e nelle correlate attività di verifica e riscontro, nonchè da attività tecniche di intercettazione e di acquisizione di ulteriori elementi, anche di natura documentale, dotati di particolare valenza probatoria.
Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono state qualificate come pienamente utilizzabili in quanto dotate, come ampiamente attestato anche dal G.i.p. di credibilità, genuinità ed autonomia, in quanto in parte sono già state oggetto di valutazione in diversi altri procedimenti conclusisi con sentenze di condanna delle persone accusate dai collaboranti che le hanno rese ed in parte provenienti da soggetti che, sebbene pentitisi di recente, hanno dimostrato la loro piena attendibilità, perchè profondamente intranei al mondo della malavita mafiosa, nella quale risultavano ricoprire ruoli di primo piano e di egemonia:
Persone – tra l’altro – che si sono autoaccusate di numerosi gravi delitti, e che hanno reso dichiarazioni per lo più coerenti e non contraddittorie, nonchè, in alcuni casi, coincidenti con quelle rese da altri collaboranti, si da trovare riscontro reciproco le une nelle altre.
L’attività di indagine, partita dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ha permesso di ricostruire la storia recente di alcune delle famiglie mafiose della provincia di Caltanissetta. ricomprese nel mandamento mafioso di Mussomeli, consentendo di individuare i soggetti che possono ritenervisi attualmente inseriti, nonchè le modalità di svolgimento delle loro attività criminali.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto in proposito di attribuire particolare rilievo a quelle dichiarazioni fornite da soggetti che solamente di recente hanno intrapreso la strada della collaborazione con la giustizia, le quali hanno consentito di riscontrare ed attualizzare le più datate propalazioni di V.C..
Su tali premesse, ulteriormente ed analiticamente motivate nel provvedimento impugnato, è stata ritenuta correttamente applicata la misura della custodia cautelare in carcere.
In particolare i giudice cautelare:
a) ha confutato la censura relativa alla omessa trasmissione dei verbali illustrativi della collaborazione, omissione che non inficia l’ordinanza cautelare, atteso che l’inefficacia della misura cautelare, sotto tale profilo, consegue alla mancata trasmissione di atti di natura sostanziale, utilizzati dal G.i.p. a sostegno della misura: tali non sono i verbali illustrativi della collaborazione la cui mancata trasmissione non può comportare la caducazione della misura neppure sotto il profilo della impossibilità di valutare, tramite l’analisi degli stessi, il rispetto del termine di 180 giorni per l’emissione delle dichiarazioni dei collaboranti, non rilevando, il rispetto di questo termine, a fini cautelari (si cita sul punto S.U, 1150/2008);
b) ha respinto l’eccezione di "ne bis in idem" dovendosi negare, in ordine alla fattispecie di cui al capo A) della rubrica, l’asserita riferibilità di tutti gli elementi indiziari riguardanti la persona del ricorrente all’arco temporale già coperto dal giudicato relativo alla condanna per associazione mafiosa inflitta al ricorrente nell’ambito del procedimento c.d. Leopardo.
2) il merito della provvisoria incolpazione: capi A) e O).
Nella contestazione cui al capo A), si attribuisce all’ A. la condotta illecita di cui all’art. 416 bis c.p., per aver fatto parte della famiglia mafiosa di Serradifalco, rivestendo il ruolo di rappresentante della stessa. Reato contestato come commesso dal gennaio del 1996 e sino a data odierna.
Secondo l’assunto accusatorio, l’indagato, che ha già riportato condanna per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., nell’ambito del procedimento scaturito dall’operazione c.d. Leopardo, non avrebbe mai rescisso i legami con il sodalizio di appartenenza, anche durante i periodi di carcerazione relativi alla detta condanna.
Per il Tribunale del riesame tale assunto è comprovato essenzialmente dall’analisi delle propalazioni rese dai collaboratori di giustizia: V.C., D.G.M..
Tra questi, V.C., il quale ha indicato quale rappresentante della famiglia di Serradifalco, prima dell’operazione Leopardo, M.F., facendo presente che, a seguito dell’operazione (e quindi in un arco temporale diverso e successivo a quello cui si riferivano le risultanze del procedimento Leopardo), quest’ultimo si era defilato, lasciando la leadeship della famiglia nelle mani di A.C. (del quale sottolineava il legame con V.D.), sostituito in tale ruolo verticistico durante i periodi di detenzione, da A.V., figlio dello storico appartenente a cosa nostra A.P. (cfr. verbali di interrogatorio del 05.12.2002 e del 18.12.2002).
Del resto, come evidenziato dal G.i.p., lo spessore criminale del ricorrente all’interno di cosa nostra nissena era già emerso nel corso dell’indagine c.d. "Grande Oriente", durante la quale I. L. lo aveva indicato quale canale di comunicazione fra sè e P.B..
Nel medesimo contesto investigativo, dall’esame del traffico telefonico del cellulare in uso allo stesso, erano emersi numerosi contatti telefonici sia con l’ I., sia con B.C., da sempre uomo di fiducia di M.G..
Con particolare riguardo alle propalazioni del collaboratore V., è stata disattesa la censura difensiva volta a svalutare tali dichiarazioni, in quanto asseritamente prive di autonoma valenza probatoria, perchè rese da parte di un soggetto che, in quanto imputato nel processo scaturito dall’operazione Leopardo, aveva avuto l’occasione di conoscere le precedenti propalazioni di M. L., sulle quali avrebbe plasmato le proprie.
Ed invero, sotto tal profilo, l’ordinanza oltre che ribadire il giudizio di assoluta credibilità del soggetto, richiamando a tal fine le considerazioni svolte dal G.i.p. in merito alla sua scelta di intraprendere la collaborazione con la giustizia, ha osservato come appaia ben più verosimile che il principale canale di conoscenza delle dinamiche associative da parte del collaborante sia costituito dalla lunghissima militanza dello stesso all’interno dell’organizzazione criminale in oggetto con ruoli di primaria importanza.
Peraltro, una conferma della autonomia e veridicità della detta fonte cognitiva è stata indicata nelle dichiarazioni degli altri collaboratori, nelle quali le propalazioni del V. hanno trovato un sicuro riscontro in riferimento specifico all’intraneità del ricorrente all’associazione.
Quanto a D.G.M. il quale ha riferito di non aver mai personalmente conosciuto l’odierno indagato ed il fratello, pur essendo a conoscenza della loro qualifica di uomini d’onore, osserva il provvedimento impugnato che il D.G. ha, tra l’altro, riferito di aver appreso che i fratelli A. si erano recati da F. V., un avvicinato alla famiglia mafiosa di Canicattì, per conoscere il nome del rappresentante provinciale di Agrigento al quale si volevano rivolgere per poter chiedere di avere parte nella fornitura di calcestruzzo per i lavori relativi allo scorrimento veloce Caltanissetta-Agrigento.
Nel capo sub O) è contestato il reato di cui all’art. 110 c.p., D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies per avere l’ A. attribuito fittiziamente alla moglie R.C., che concorre nel reato, la titolarità della omonima ditta individuale, esercente l’attività di vendita al minuto di prodotti ortofrutticoli all’interno del mercato di Montedoro, trattandosi di società che, a seguito della sua scarcerazione, diveniva nella effettiva disponibilità di A.C. al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, essendo l’ A. persona già condannata per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. e sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.
Contestato in Serradifalco e Montedoro nel novembre 2006.
Sostiene il Tribunale del riesame che la ditta individuale di R.C., in essere dal 1999 e da allora impegnata in diversi settori merceologici di natura non alimentare (cfr. visura camerale di cui all’all. n. 181), nel maggio 2005 partecipava al bando di gara indetto dal Comune di Montedoro per l’assegnazione in uso di alcuni locali ubicati nel locale mercato ortofrutticolo, nei quali esercitare l’attività di rivendita di frutta e verdura;
i locali venivano assegnati alla ricorrente il 16.06.2005.
A tale data A.C., scarcerato il 21.1.2005, ovvero dopo aver scontato la condanna infittagli per associazione mafiosa nell’ambito della c.d. operazione Leopardo, si trovava sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.
La difesa ha sostenuto al contrario che la diretta riconducibilità dell’attività al ricorrente non è stata oggetto di una operazione di occultamento da parte dell’indagato e della moglie, trattandosi di una attività a conduzione familiare, la cui riconducibilità anche a A.C. era stata evidenziata già con la presentazione alla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Caltanissetta di una istanza di autorizzazione dell’ A. ad allontanarsi dal comune di residenza per lo svolgimento di attività lavorativa presso L’euromereato di c.da Pietrevive di Montedoro.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto di non condividere, allo stato, tale impostazione difensiva in quanto la fattispecie in questione si caratterizza per essere a forma libera, realizzabile mediante il ricorso a qualunque tipo di condotta, concretamente idonea a raggiungere l’effetto vietato dalla legge, e cioè la creazione di una situazione di difformità tra apparente titolarità formale e titolarità di fatto di una dato bene.
Le risultanze investigative – per la gravata ordinanza – hanno consentito di accertare il dato oggettivo della sostanziale riconducibilità della gestione dell’attività in oggetto ad A. C., conducendo, peraltro, in tal senso, anche le dichiarazioni rese dai coniugi A. in sede di interrogatorio di garanzia, nonchè la stessa impostazione difensiva.
Deporrebbero nella medesima direzione anche gli elementi acquisiti dagli inquirenti e, segnatamente, le conversazioni captate, nelle quali si fa riferimento all’attività svolta presso il mercato come ad un’attività facente capo a A.C. (si cfr. la conversazione tra presenti intercorsa tra C.M. e A.G. in data 18.11.2007).
Ritenuto il profilo soggettivo, il Tribunale del riesame ha altresì annotato come la realizzazione dell’attività di rivendita di cui si discute costituisse, secondo la pianificazione sottesa all’operazione, il primo passo di un progetto più ampio, che si coglie nell’ampliamento dell’oggetto sociale a settori di attività del tutto avulsi da quella esercitata in via principale dalla ditta in oggetto.
Sono stati così ritenuti integrati tutti i presupposti del reato in contestazione, dovendosi concludere per la sussistenza di un grave quadro indiziario a carico di A.C. anche con riferimento al capo O) di imputazione.
In tale ambito si è così argomentata l’esistenza di specifiche esigenze cautelari, tutelabili unicamente con la misura carceraria in atto applicata al ricorrente.
In particolare, si è ritenuta sussistente l’esigenza connessa al pericolo della reiterazione criminosa e, comunque, operante la presunzione collegata alla contestazione del reato di cui all’art. 416 bis c.p..
2.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.
Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo della mancata trasmissione dei verbali illustrativi finalizzata al vaglio della attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori di giustizia.
Il motivo non ha pregio, avuto riguardo alle contrarie corrette argomentazioni prospettate nel provvedimento impugnato (cfr. p. 1, lett. a) e considerato in fatto che l’attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori di giustizia bene può essere apprezzata e criticata a prescindere dai verbali stessi.
Con un secondo motivo si lamenta vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento all’art. 273 c.p.p. e art. 416 bis c.p. considerato:
a) che le dichiarazioni di V. si riferiscono ad un periodo antecedente il 1996;
b) che identico errore è stato commesso per la collocazione cronologica delle dichiarazioni del D.G.;
c) che l’affermazione secondo cui i detenuti per cause associative non hanno difficoltà a comunicare con l’esterno, costituisce una mera illazione;
d) che il dichiarato del D.G. non è stato valutato sotto i profili della genuinità, spontaneità e disinteresse;
e) che del pari non risolutive risultano essere le dichiarazioni del F., di S.C.;
f) che non probante, in punto di contributo al sodalizio di Serradifalco, risulterebbe l’esito della conversazione intercorsa tra Ca.Ca. e la moglie.
Il motivo in tutte le sue articolazioni non merita accoglimento.
Va subito premesso che per consolidata giurisprudenza in materia di misure cautelari personali,, la scelta e la valutazione delle fonti di prova rientrano tra i compiti istituzionali del giudice di merito e sfuggono al controllo del giudice di legittimità se adeguatamente motivate e immuni da errori logico-giuridici.
Invero a tali scelte e valutazioni non può infatti opporsi, laddove esse risultino, come nella specie, correttamente motivate, un diverso criterio o una diversa interpretazione, anche se dotati di pari dignità (Cass. Penale sez. 6^, 3000/1992, Rv. 192231 Sciortino).
Inoltre va ribadito che il ricorso per cassazione, il quale deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, pertanto, assenza delle esigenze cautelari è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando – come nella vicenda – propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dai giudice di merito (Cass. pen. sez. 5^, 46124/2008, Rv.241997, Magliaro. Massime precedenti Vedi: N. 11 del 2000 Rv. 215828. N. 1786 del 2004 Rv. 227110. N. 22500 del 2007 Rv. 237012. N. 22500 del 2007 Rv. 237012).
Nella fattispecie, nessuna di tali due evenienze – violazione di legge o vizio di motivazione rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) – risulta essersi verificata, a fronte di una motivazione che è stata in concreto diffusamente prospettata in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.
Da ultimo, quanto ai profili cronologici delle dichiarazioni del V. e del D.G., esse sono state oggetto di una accurata e globale disamina da parte dei giudici di merito i quali ne hanno soppesato la fondatezza (in punto di gravità indiziaria) e, le hanno ragionevolmente correlate e validate con tutta una serie sintonica di dati di conformità, più che idonei a giustificare l’ipotesi del delitto associativo del capo sub A. Il motivo va quindi rigettato.
Con un terzo motivo si prospetta ancora vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, difettando nella specie sia l’azione esecutiva che la soggettività della norma applicata.
Con un quarto motivo si evidenzia l’intervenuta prescrizione del reato considerato che la società è stata costituita nel 1999.
Il ricorso deve ritenersi fondato, in tali due ultimi motivi, nei limiti delle ragioni di seguito indicate ed in relazione all’annullamento con rinvio disposto, da questa stessa sezione in data 5 ottobre 2011, con riferimento alla speculare posizione di R.C., ricorrente e coniuge dell’ A., elemento essenziale nella prospettazione accusatoria del capo sub O).
Come rilevato nella detta decisione 5 ottobre u.s., il provvedimento impugnato, che ricalca la medesima motivazione usata per l’ A.:
a) ha dato atto della prospettazione difensiva secondo la quale la diretta riconducibilità dell’attività della R. al marito, in costanza di rapporto di coniugio e nell’impossibilità soggettiva del marito di esercitare formalmente l’attività come titolare, non era stata oggetto di operazione di occultamento alcuna, trattandosi di attività a conduzione familiare rispetto alla quale il coinvolgimento del A.C. era stato addirittura reso palese anche con richiesta di autorizzazione a variare le condizioni di applicazione della misura di prevenzione per svolgere appunto attività lavorativa per conto di tale ditta;
b) ha tuttavia eluso la risposta specifica al tema dedottogli dalla difesa, perchè dopo avere affermato che tale impostazione non poteva essere condivisa allo stato (pag 7), è passato ad enunciare giurisprudenza sulla fattispecie incriminatrice e poi (pag. 8), ad enunciare le ragioni per cui doveva ritenersi che la gestione della ditta fosse riconducibile all’ A.. "Dato, questo, che parrebbe non essere stato contrastato nella prospettazione difensiva come riportata dal riesame, il punto essendo quello della immediata conoscibilità o meno del contesto".
Da ciò consegue – come argomentato dalla sentenza 5 ottobre di questa sezione – che tra il ristretto contenuto dell’imputazione provvisoria (quanto a contenuto "incriminato" dell’attività della ditta) e il fatto come argomentato dal Tribunale emerge una discrasia evidente (sia pure in termini di passaggio dal "meno" al "più"), così come non risulta spiegata – allo stato – l’indicazione temporale nell’imputazione rispetto alla successione dei fatti e degli elementi probatori indicati in motivazione.
E’ evidente che, come ritenuto per la R., anche per l’ A., le due "discrasie" rendono rilevante anche la questione prescrizionale posta dalla difesa, laddove a fronte di una ditta individuale che, nelle medesime condizioni soggettive di titolarità alla donna, rapporto di coniugio in atto, situazione personale dell’uomo, operava dal 1999, tenuto conto della natura del reato contestato occorreva precisare quando quella "fittizia" intestazione – per mantenimento della titolarità formale a fronte dell’assenza di attività gestoria alcuna – si sarebbe consumata, considerando se e quali attività in precedenza la R.C. avesse svolto con effettiva autonomia e in quale settore, considerato che il punto non è comprensibile dalla sola lettura dell’ordinanza cui questa Corte deve limitarsi, pur in pendenza di precedente misura di prevenzione riguardante il marito.
Pertanto, rigettate le doglianze quanto al capo A), il gravato provvedimento va annullato, limitatamente al capo O), con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Caltanissetta che, nella piena libertà delle valutazioni di merito di competenza, porrà rimedio al rilevato deficit argomentativo.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al capo O) e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Caltanissetta. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.