Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Milano, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., con ordinanza del 16 febbraio 2011, ha confermato il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese, in data 31 gennaio 2011, di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di S. G., sottoposto ad indagini per i seguenti fatti:
A) delitto di cui agli artt. 81 cpv., 56 e 110 c.p., art. 112 c.p., comma 1, n. 2, art. 575 c.p., art. 577 c.p., comma 1, nn. 3 e 4, art. 61 c.p., n. 1; L. n. 895 del 1967, artt. 2, 4 e 7, per essere stato promotore ed organizzatore del tentato omicidio pluriaggravato, eseguito da C.A. e D.G., del Maresciallo dei Carabinieri, Sa.Pa., Comandante della Stazione CC di Porto Ceresio, attuato nella sera del (OMISSIS) con ripetuti colpi d’arma da fuoco contro l’alloggio di servizio dell’ufficiale, sparati ad altezza d’uomo e in direzione del soggiorno illuminato dell’abitazione, dove si trovava il Sa. con la sua famiglia, composta da moglie e tre figli;
A bis) delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., comma 1, n. 2, art. 612 c.p., comma 2 e art. 339 cod. pen.; L. n. 895 del 1967, artt. 2, 4 e 7, per essere stato promotore ed organizzatore della minaccia grave in danno dello stesso Maresciallo e dei suoi familiari mediante l’esplosione, nella sera del 25 novembre 2007, di più colpi di arma da fuoco contro la facciata esterna della caserma di Porto Ceresio, sparatoria materialmente attuata dai predetti C. e D.; A ter) delitto di cui all’art. 110 c.p., art. 112 c.p., comma 1, n. 2, art. 624 c.p., art. 625 c.p., comma 1, nn. 2, 5 e 7, art. 61 c.p., n. 2, per essere stato promotore ed organizzatore del furto dell’autovettura Fiat Uno, commesso in Varese il 25 novembre 2007, utilizzata dal C. e dal D. per eseguire il suddetto delitto di minaccia aggravata;
C) delitto di cui all’art. 368 cod. pen., perchè, con denuncia alla Procura della Repubblica di Varese in data 3 settembre 2008, falsamente incolpava il maresciallo Sa., sapendolo innocente, del delitto di falso ideologico in atto pubblico, affermando che quest’ultimo, inoltrando relazione di servizio all’autorità giudiziaria, lo aveva falsamente indicato come suo confidente e come colui che gli aveva rivelato che D.G. era uno dei responsabili della rapina in danno del supermercato Tigros di Lavena Ponte Tresa.
A ragione il Tribunale ha addotto la chiamata in correità del S. da parte del C., valutata come intrinsecamente attendibile perchè spontanea e sempre coerente, e i numerosi riscontri estrinseci che essa avrebbe avuto.
Il C., nell’indicare il S. come mandante della minaccia a mano armata e del tentativo di omicidio del Sa. tramite il D., che di sua iniziativa aveva richiesto l’aiuto dello stesso C., senza avergli preventivamente specificato il reale obiettivo dell’azione delittuosa, aveva specificato il legame di amicizia esistente tra il S. e il D., entrambi addetti alla sicurezza in pubblici locali, legame positivamente riscontrato dalle indagini svolte e dagli accertati contatti tra il D. e il S., sia immediatamente prima, sia dopo i fatti delittuosi del 26 e 27 novembre 2007, come da acquisiti tabulati telefonici.
Un altro elemento di riscontro era costituito, secondo il Tribunale, dai motivi di astio e risentimento nutriti dal solo S. nei confronti del maresciallo Sa., il quale, nel recente passato, lo aveva arrestato; più volte gli aveva contestato anche violazioni contravvenzionali; e lo aveva proposto, altresì, per la misura della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno, effettivamente applicatagli fino al 2009.
Non solo.
Per sviare i sospetti dalla sua persona come mandante dei predetti delitti di minaccia aggravata e tentato omicidio, il S. non avrebbe esitato prima a confidare al maresciallo la commissione, da parte del D., di rapine in danno del supermercato Tigros, per poi calunniare il Sa. attribuendogli di aver riferito il falso nell’indicarlo come autore delle confidenze in danno del D..
Quest’ultimo, appresa la slealtà del compagno, pur rifiutandosi di rispondere ai magistrati nel processo subito per i fatti in danno del Sa., avrebbe cercato di estorcere denaro dal S. come prezzo del suo silenzio circa il ruolo di quest’ultimo come mandante dei medesimi fatti, ciò che ulteriormente corroborava la chiamata in correità del C..
D’altronde, sia il C. con sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato e confermata in appello, sia il D. con sentenza pronunciata dal Tribunale di Varese il 25/06/2010, erano stati, entrambi, già condannati, sia pure con decisioni non ancora irrevocabili, come concorrenti materiali nei delitti di tentato omicidio e minaccia aggravata, in danno del Sa., e nel furto dell’autovettura utilizzata in occasione della commissione dei medesimi reati.
Quanto alle esigenze cautelari, esse sono state ritenute sussistenti e tali da giustificare la misura di massimo rigore a carico del S. per i suoi numerosi precedenti penali, anche per reati in materia di sostanze stupefacenti, e per la sua condotta intesa ad inquinare le fonti di prova (richiamati danneggiamene delle autovetture di due testimoni dei fatti e attività di depistaggio delle indagini di cui si sarebbero resi responsabili il S. e il D. nei termini sopra riferiti), cosicchè la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari si profilava inidonea a prevenire il concreto pericolo di commissione di ulteriori illeciti e di perpetuazione dei contatti con ambienti malavitosi.
2. Avverso la predetta ordinanza ricorre per cassazione il S. tramite il suo difensore, deducendo tre motivi.
2.1. Con il primo denuncia la manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione con riferimento alla fonte di prova a suo carico, indicata nella chiamata in correità del C., e, altresì, l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3.
Il Tribunale del riesame, così come il Giudice per le indagini preliminari, nell’emettere la misura custodiale di massimo rigore nei suoi confronti sulla base delle dichiarazioni accusatorie del C., peraltro tardive, avendo in un primo tempo chiamato in correità il solo D., avrebbe motivato in modo palesemente contraddittorio e illogico la ritenuta attendibilità intrinseca del chiamante, per avere, da un lato, ritenuto credibile il C. nella sua accusa del S. come mandante del delitto di tentato omicidio in danno del maresciallo Sa., e, dall’altro lato, non stimato attendibile lo stesso C., laddove aveva dichiarato di essere stato coinvolto dal D. nell’azione criminosa senza esserne preventivamente informato, avendogli l’amico richiesto di accompagnarlo, il (OMISSIS), a bordo della Fiat Uno rubata per non lasciare tracce, in una spedizione finalizzata ad impartire una lezione all’amante di sua moglie, cosicchè il C., secondo la sua versione non ritenuta credibile, avrebbe appreso solo in un successivo momento che il bersaglio era, in realtà, costituito dal maresciallo Sa. contro l’abitazione del quale il solo D. avrebbe sparato alcuni colpi, ad insaputa dello stesso C. rimasto in macchina.
Il ricorrente precisa che il chiamante nulla avrebbe riferito in merito alla prima sparatoria contro la facciata esterna della caserma, nella sera del 25/11/2007; aggiunge che la versione del C. di non aver assistito agli spari del giorno successivo, attribuiti al solo D., contrasta col fatto che un bossolo esploso fu rinvenuto nella Fiat Uno rubata, utilizzata proprio per raggiungere il luogo della sparatoria nella sera del 26/11/2007;
precisa che il chiamante avrebbe fornito una versione non verificabile del successivo nascondimento in un laghetto dell’arma impiegata per sparare e del suo ripescaggio tramite un bastone prelevato in un cantiere non meglio precisato, senza indicare dove fosse finita l’arma e consentirne il ritrovamento, non avvenuto, da parte degli inquirenti; sottolinea che il C. aveva affermato di aver ricevuto dal D. la promessa di un compenso per la sua partecipazione all’azione criminosa e, contemporaneamente, di aver rotto i rapporti col compagno per non essere stato da lui informato della sparatoria, circostanza quest’ultima che sarebbe smentita dagli accertati numerosi contatti telefonici tra i due fino al 22 dicembre 2007 e dalla commissione, in concorso tra loro, di una rapina il 10 dicembre dello stesso anno; rimarca la circostanza che il C., pur avendo insistito nel dichiarare di avere appreso dell’aggressione armata contro il Sa. solo a fatto compiuto, risulta, tuttavia, già condannato in primo e secondo grado come concorrente materiale nel medesimo fatto, ciò che avvalora ulteriormente la sua totale inattendibilità intrinseca.
Il C. e il D. risultano, inoltre, arrestati per concorso in tre fatti di rapine, commessi tra il 20 novembre e il 10 dicembre 2007 con pistole calibro 7,65 analoghe a quella utilizzata per sparare contro la casa del Sa., ciò che escluderebbe la necessità di ricevere dal S., come ipotizzato dagli inquirenti, la pistola impiegata nei fatti contestati nel provvedimento cautelare emesso nel presente procedimento.
Su tutte le predette numerose aporie e contraddizioni;che inficiano il narrato del C., il Tribunale non avrebbe motivato; avrebbe, inoltre, omesso di valutare l’attendibilità intrinseca della fonte terza, D.G., dalla quale il chiamante avrebbe appreso che il mandante della sparatoria in danno del Sa. era stato il S.; del tutto acriticamente, infine, avrebbe escluso motivi di personale risentimento proprio del D. nei confronti del Maresciallo, resi invece plausibili dal non trascurabile inserimento dello stesso D. nella criminalità locale, come testimoniato dal suo nutrito certificato penale.
Anche la verifica degli elementi estrinseci di riscontro della chiamata in correità sarebbe del tutto carente, non essendo noto il contenuto dei messaggi e delle comunicazioni telefoniche tra il D. e il S. nei giorni 25, 26 e 27 novembre 2007, sia prima che dopo i fatti delittuosi contestati.
L’indicato astio dell’indagato nei confronti del maresciallo, valorizzato nel provvedimento impugnato come elemento di riscontro della chiamata in correità, sarebbe smentito dal ruolo di confidente dello stesso maresciallo, pure riconosciuto al S. e come tale riferito proprio dal Sa.. I giudici della cautela, con palese forzatura logica, avrebbero interpretato il detto comportamento dell’indagato come funzionale al disegno di accreditarsi presso la sua vittima, salvo non spiegare che l’accusa in via confidenziale del D. come autore di fatti criminosi (rapine in danno di supermercati) esponeva il S. proprio al pericolo che avrebbe voluto prevenire come confidente del maresciallo, ovvero al concreto rischio di essere a sua volta accusato dal D., presunto esecutore dei delitti da lui commissionati, come mandante degli attentati in danno del Sa..
La somma di denaro pretesa dall’arrestato D., informato della delazione del S. agli inquirenti (e, segnatamente, al maresciallo Sa.) su recenti fatti di rapina a lui attribuiti, non sarebbe univocamente interpretabile come prezzo del silenzio sul ruolo di mandante dell’indagato, imposto dal D. al S., potendo trovare spiegazione anche nella reazione dell’accusato per i danni subiti a causa della "soffiata" a suo carico.
2.2. Con un secondo motivo di ricorso è denunciata la mancanza o contraddittoria motivazione in merito alla sussistenza dell’elemento psicologico dei reati contestati al S..
Il configurato dolo alternativo con riguardo al tentato omicidio sarebbe sostenibile solo con riguardo agli esecutori del fatto e non estensibile al mandante di esso, al quale non può imputarsi neppure il dolo eventuale incompatibile con il contestato tentativo criminoso.
Il Tribunale, d’altronde, non avrebbe in alcun modo motivato il mandato ad uccidere attribuito al S., il quale, secondo le propalazioni del C. informato dal D., si sarebbe limitato a incaricare quest’ultimo di "dare una lezione al Sa.". 2.3. Con il terzo motivo si censura l’omessa motivazione circa la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, a carico del S., con riguardo al delitto di furto dell’autovettura, non compreso nel presunto mandato conferito dall’indagato al D., con ipotizzata consegna dell’arma (una pistola calibro 7,65) da utilizzare al detto fine.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia l’omessa motivazione circa la ricorrenza delle esigenze cautelari per l’ipotizzato delitto di calunnia in danno del Sa., avendo i giudici della cautela limitato il loro esame delle predette esigenze ai delitti di tentato omicidio, minaccia e furto aggravati, e, in ogni caso, non sussistendo pericolo di inquinamento probatorio con riguardo al reato di calunnia, avendo il S. ammesso il fatto.
Motivi della decisione
3.1. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Poichè, come emerge dall’ampia narrativa che precede, i gravi indizi di colpevolezza a carico del S., come mandante dei delitti di cui ai capi A), Abis) e A ter) il ricorrente ha ammesso la sua responsabilità esclusivamente per il reato di cui al capo C), si fondano sulla chiamata in correità de relato da parte di C. A., già condannato nel doppio grado di merito come concorrente nell’esecuzione dei delitti di tentato omicidio pluriaggravato e minaccia grave (capi A e A bis) in danno del maresciallo Sa., si imponeva la rigorosa valutazione dell’attendibilità intrinseca del chiamante con estensione all’affidabilità della fonte informativa, nella fattispecie rappresentata dal coimputato, D. G., come il C. giudicato separatamente.
In proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la chiamata di correo "de relato", di per sè valida, esige un più rigoroso controllo dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca sia in riferimento al suo autore immediato, sia in relazione alla fonte originaria dell’accusa (Sez. 4, n. 4727 del 15/03/1996, dep. 23/04/1996, Rv. 204544; Sez. 5, n. 2542 del 30/06/1993, dep. 04/09/1993, Rv. 195840; Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003 dep. 24/11/2003, Andreotti, Rv. 226090).
Nel caso in esame, il giudice della cautela ha del tutto omesso di verificare l’intrinseca attendibilità soggettiva del C., chiamante in correità de relato, limitandosi ad un generico controllo oggettivo della chiamata, qualificata "spontanea e sempre coerente" (pag. 6 dell’ordinanza impugnata), ciò che evidentemente attiene all’attendibilità intrinseca oggettiva, relativa cioè al narrato e non al narratore; e non ha fatto cenno alcuno alla credibilità del D., quale autore delle confidenze al C. circa il ruolo del S. di mandante delle minacce e dell’attentato all’incolumità del maresciallo S. o dei suoi familiari.
Siffatte lacune motivazionali, già di per sè idonee a inficiare la legittimità del percorso argomentativo seguito, assumono ulteriore rilevanza alla luce dei dati, già sopra indicati, circa la ritenuta inattendibilità del C., nel processo in cui è stato imputato, a proposito della sua dichiarata ignoranza che il D., pur da lui accompagnato sul luogo degli attentati a colpi di arma da fuoco (il primo solo intimidatorio, il secondo diretto contro le persone), avesse usato una pistola e che il bersaglio fosse il maresciallo Sa.; senza tralasciare il contenuto della conversazione tra presenti intercettata il 24 marzo 2010, all’interno dell’autovettura Range Rover, tra il ricorrente, S.G., e suo fratello, A., nella quale il primo diceva al secondo che il C., già condannato, aveva collaborato con gli inquirenti e che egli era indagato, rammaricandosi di avere aiutato, come confidente, il Sa. e rivelando al fratello di essere ricattato e minacciato dal D., il quale aveva suggerito al C. di coinvolgerlo negli attentati contro il maresciallo e aveva tentato di estorcergli una rilevante somma di denaro per non accusarlo del tentato omicidio del Sa., ciò che, qualche giorno dopo, veniva dichiarato dallo stesso S. nel corso del suo interrogatorio di garanzia, in data 10 aprile 2010, con la specificazione che la somma richiestagli dal D. era di Euro 20.000,00 (c.f.r., su tutte le predette circostanze, l’ordinanza impugnata a pag. 6).
L’omessa valutazione dell’attendibilità intrinseca del chiamante de relato, con il necessario rigore postulato da tale tipo di chiamata, costituisce, pertanto, violazione della regola di giudizio posta dall’art. 192 c.p.p., comma 3, applicabile anche nel procedimento cautelare a norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1-bis, e, segnatamente, omissione del primo passaggio valutativo della chiamata in correità, postulante, secondo un criterio progressivo avallato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, innanzitutto, l’esame di intrinseca attendibilità soggettiva del chiamante in relazione, tra l’altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità ed alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione ed alla accusa dei coautori e complici; in secondo luogo, la verifica dell’intrinseca consistenza e delle caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità; infine l’esame dei riscontri cosiddetti esterni che, sul piano generico e specifico (cosiddetti riscontri individualizzanti), rafforzano dall’esterno la medesima chiamata.
L’esame del giudice deve esser compiuto seguendo l’indicato ordine logico perchè non si può procedere ad una valutazione unitaria della chiamata in correità e degli "altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità" se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in sè, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa (Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 22/02/1993, Marino, Rv. 192465).
La violazione del predetto ordine logico e, in particolare, l’omessa valutazione dell’attendibilità intrinseca soggettiva del chiamante inficia i passaggi valutativi successivi non sostenuti dal superamento di quello precedente e a tutti preliminare, e determina, pertanto, in sede cautelare, il cedimento dell’impianto indiziario primariamente fondato, come nella fattispecie, sulla chiamata in correità de relato non intrinsecamente verificata.
3.2. La fondatezza del primo motivo di gravame rende superfluo l’esame della seconda censura concernente la denunciata carenza di motivazione in punto di gravi indizi di sussistenza dell’elemento psicologico del più grave delitto di tentato omicidio (capo A), attribuito al S. come mandante, per il quale la principale fonte indiziaria è costituita dalla chiamata in correità de relato del C..
3.3. Anche il terzo motivo è fondato, non essendo in effetti indicati, nel provvedimento impugnato, i gravi indizi di colpevolezza, a carico del ricorrente, come mandante anche del furto dell’autovettura, Fiat Uno (capo A ter), utilizzata dal C. e dal D. per commettere il delitto di minaccia aggravata di cui al capo A bis), donde la totale mancanza di motivazione al riguardo.
3.4. L’ultimo motivo di ricorso, attinente all’omessa motivazione delle esigenze cautelari con specifico riguardo al delitto di calunnia (capo C) per il quale il S. è reo confesso, non è fondato, posto che, come si ricava dalla lettura della motivazione dell’ordinanza impugnata (v. pag. 8 in fine), le medesime esigenze sono state dichiaratamente apprezzate come sussistenti solo con riguardo ai reati contestati ai capi A), A bis) e A ter), per i quali, come si è detto, manca la motivazione in punto di gravi indizi di colpevolezza, cosicchè si imporrà, in sede di giudizio di rinvio, insieme alla giustificazione del quadro indiziario, la rivalutazione di esse. Non si imponeva, pertanto, alcuna motivazione delle esigenze cautelari in riferimento al delitto di calunnia di cui al capo C).
4. Alla luce di quanto precede, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Milano, che si atterrà alle regole di giudizio come sopra enunciate.
La cancelleria provvedera alle comunicazioni previste dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Milano.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.