Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-05-2012, n. 7562 Titoli di credito

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- P.L., premesso che era cointestataria insieme con Pa.Gi. e C.R. di buoni postali fruttiferi depositati presso l’ufficio postale di (OMISSIS); che la C., deceduta il (OMISSIS), l’aveva con testamento istituita unica erede; il Pa. – condizionato nel suo agire da L. G. – aveva riscosso l’importo dei predetti buoni, conveniva in giudizio Pa.Gi. e G.L. davanti al Tribunale di Benevento per sentirli condannare in solido al pagamento delle somme relative ai buoni postali fruttiferi a lei dovute.

Si costituivano i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda.

Con sentenza dep. l’11 ottobre 2002 il Tribunale rigettava la domanda.

Con sentenza dep. il 21 marzo 2007 la Corte di appello di Napoli rigettava l’impugnazione proposta dall’attrice.

Secondo i Giudici, la natura di documento di legittimazione e non di titolo di credito dei buoni postali comportava una presunzione iuris tantum della titolarità del credito, occorrendo la prova di essere risparmiatore o di avere avuto un lascito.

Nella specie, il Pa. aveva sostenuto di avere egli versato le somma depositate e tale circostanza non era stata contestata: egli era legittimato alla riscossione del denaro oltretutto anche per la clausola "pari facoltà di rimborso" prevista dai buoni.

D’altra parte, la P. aveva ammesso di avere ricevuto una somma pari a più di un terzo di quanto alla medesima dovuto quale cointestataria. Le considerazioni formulate a proposito della titolarità del credito a favore del Pa. per effetto dei versamenti dal medesimo effettuati portavano a escludere il diritto vantato dall’attrice iure hereditario sulla quota spettante alla C..

2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la P. sulla base di tre motivi illustrati da memoria. Non ha svolto attività difensiva l’intimata.

Motivi della decisione

1.1. – Il primo motivo, lamentando violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione al D.P.R. n. 156 del 1973 nonchè violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la decisione gravata che, nonostante la presunzione legale di titolarità del credito a favore dell’attrice, erede della C., e della conseguente inversione dell’onere della prova, i Giudici avevano dato rilievo alle mere affermazioni del Pa., non suffragate da alcuna prova e contestate da essa ricorrente, circa la circostanza di avere versato le somme depositate sui buoni postali.

1.2. – Il motivo è infondato.

La sentenza, nel rigettare la domanda, ha ritenuto che l’attrice non fosse contitolare delle somme depositate sui buoni postali, non avendo la medesima provato la titolarità del credito vantato per un terzo iure proprio e per un terzo iure hereditario (relativamente alla quota di cui era intestataria la C.).

Al riguardo, i Giudici hanno correttamente ritenuto che i buoni postali sono da annoverare fra i documenti di legittimazione e non fra i titoli di crediti, atteso che gli stessi non incorporano il diritto, essendo privi dei caratteri della letteralità e dell’autonomia:

pertanto, ex art. 2002 cod. civ., sono atti ad individuare l’avente diritto alla prestazione e quindi idoneo a legittimare il possessore ad avere la prestazione ivi menzionata e il debitore ad effettuarla.

Ne consegue che la intestazione non prova la titolarità del credito ove essa sia stata contestata, di guisa che è onere posto a carico di colui che vanta il diritto offrire la relativa prova quando il credito sia contestato.

Nella specie,i Giudici hanno ritenuto che la presunzione iuris tantum di titolarità del credito, era stata superata: al riguardo, la sentenza ha ritenuto provata la circostanza secondo cui le somme in questione erano state depositate dal solo Pa. sul rilievo che le affermazioni in proposito dal medesimo rese non erano state mai contestate dalla P., la quale si era limitata a invocare il dato formale della cointestazione dei titoli in oggetto.

La deduzione secondo cui le dichiarazioni del Pa. sarebbero state contestate con il verbale di udienza di primo grado del 26-9- 1997 è inammissibile, sotto un duplice profilo:

a) la questione circa la specifica e tempestiva contestazione che sarebbe avvenuta nel giudizio di primo grado da parte della ricorrente della circostanza di fatto che le somme depositate erano relative a risparmi del Pa. non risulta proposta con i motivi di appello, tenuto conto che anche dalla esposizione dei motivi di gravame riprodotta nel ricorso per cassazione si deduceva che l’inversione dell’onere della prova non poteva essere scardinata "dalla semplice affermazione (giuridicamente irrilevante) del Pa., non suffragata da alcun documento, di essere l’unico ad avere versato somme provenienti esclusivamente dal proprio lavoro……"; di conseguenza tale questione, nei termini in cui è stata proposta, ha il carattere della novità e quindi non può essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità;

b) il ricorso difetta, comunque, di autosufficienza laddove non viene riportato il testo del verbale del 26-9-1997 in modo da consentire alla Corte, che non ha diretto accesso agli atti processuali, di verificare la effettiva e rituale contestazione della circostanza che – secondo i Giudici di appello, come si è detto ~ erano state dedotte dal Pa. sin dalla comparsa di costituzione di primo grado.

2.1. – Il secondo motivo, lamentando violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione degli artt. 587, 588, 981, 1000, 171 cod. civ. L. n. 151 del 1975, censura la sentenza laddove aveva ritenuto che nel testamento della C. non erano menzionati i crediti derivanti dai buoni fruttiferi, quando con l’atto di ultima volontà l’attrice era stata istituita unica erede di tutti i beni alla medesima intestati.

Il riferimento alla clausola "pari facoltà di rimborso" era erroneo posto che, con la morte della C., i beni di quest’ultima erano entrati a fare parte dell’asse ereditario e le somme intestate alla medesima non potevano essere prelevate dal Pa..

2.2. -Il motivo va disatteso.

Le considerazioni sopra formulate a proposito della prova della titolarità del credito vanno ribadite con riferimento anche alla posizione della C., giacchè sarebbe stato necessario che l’attrice avesse dimostrato che effettivamente un terzo delle somme depositate appartenesse alla medesima che intanto ne avrebbe potuto disporre in quanto ne fosse stata titolare: il riferimento alla citata clausola così come alla mancata menzione nel testamento dei buoni postali, compiuto dai Giudici, sono argomentazioni formulate ad abundantiam e, come tali, sono prive di valore decisorio, posto che la ratio decidendi assorbente di ogni altra è la considerazione della natura di documenti di legittimazione dei buoni postali e le conseguenze giuridiche da tale qualificazione derivanti in materia di onere della prova.

3.1. – Il terzo motivo, lamentando violazione e o erronea valutazione degli art. 820 cpv 3, artt. 1282, 1283, 1284 cod. civ. censura la sentenza laddove aveva erroneamente ritenuto che fosse stata corrisposta una somma superiore all’importo alla medesima dovuto iure proprio, quando non aveva considerato l’ammontare degli interessi maturati.

3.2. Il motivo è infondato.

Anche il riferimento all’importo versato alla ricorrente integra un’argomentazione ad abundantiam, posto che secondo i Giudici l’attrice non era titolare delle somme oggetto dei buoni postali.

Il ricorso va rigettato.

Non va adottata alcuna statuizione in ordine alla regolamentazione delle spese relative alla presente fase, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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