Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-05-2012, n. 7653 Imposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In esito a verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza di Lipari nei confronti della ditta dei coniugi C.M. e T.G., l’Ufficio di Milazzo della Agenzia delle Entrate notificava avviso di accertamento, ai fini IRPEF ed ILOR per l’anno di imposta 1996, con il quale rettificava in L. 321.901.000 il reddito di impresa dichiarato dai contribuenti in L. 19.809.000, ed irrogava le conseguenti sanzioni pecuniarie.

L’avviso di accertamento, impugnato dai contribuenti, veniva annullato dalla Commissione tributaria provinciale di Messina in quanto il maggior reddito di impresa era stato determinato mediante applicazione della percentuale di ricarico, calcolata con media ponderata, su un campione limitato ad alcuni prodotti anzichè esteso a tutti i generi merceologici venduti dalla impresa.

Con sentenza in data 2.2.2006 n. 177 la Commissione tributaria della regione Sicilia sez. staccata di Messina accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Ufficio di Milazzo della Agenzia delle Entrate avverso la decisione della CTP di Messina n. 3/3/2001, e rideterminava i maggiori redditi di impresa in base ad una percentuale di ricarico inferiore a quella applicata dall’Ufficio, in quanto calcolata in base alla media dei ricarichi rispettivamente indicati dall’Ufficio (nell’atto di accertamento) e dai contribuenti (nella dichiarazione).

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dai contribuenti che hanno affidato il ricorso a cinque motivi articolati in plurime censure.

Ha resistito la Agenzie delle Entrate con controricorso e contestuale ricorso incidentale deducendo un unico motivo.

Motivi della decisione

1. La motivazione della sentenza di appello è fondata sulle seguenti "rationes decidendi":

– l’atto impositivo doveva ritenersi adeguatamente motivato e legittimo in quanto "la ditta non ha mai presentato il prospetto analitico delle rimanenze iniziali e finali, determinando di fatto il ricorso all’accertamento induttivo;

– in mancanza di idonea documentazione contabile era, pertanto, legittima la determinazione dei maggiori ricavi omessi mediante applicazione di una percentuale di ricarico desunta da un’analisi a campione;

– pur essendo legittima la applicazione generalizzata a tutto il venduto della percentuale di ricarico determinata dall’Ufficio con riferimento a 13 prodotti, "in quanto i campioni scelti appaiono omogenei e rappresentativi, e scelti in contraddittorio con la parte", si ritiene tuttavia che, per "una completa valutazione", debba trovare applicazione per la residua quota di prodotti una differente percentuale di ricarico – desunta dalla dichiarazione presentata dai contribuenti, ricavando poi dalla media aritmetica tra le due percentuali (571,56% rilevata dall’Ufficio per i 13 prodotti pari alla quota del 45% del venduto; 172% indicata nella dichiarazione dei redditi e concernente la restante – quota del 55% del venduto), la percentuale media di ricarico complessiva, pari al 351,20% da applicare a tutta la merce venduta nel periodo di imposta, dovendo pertanto "disporsi che il reddito di impresa sia determinato sulla base di una percentuale di ricarico del 351,20%" con conseguentemente rideterminazione anche della sanzione pecuniaria e degli interessi.

2. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1 della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32).

I contribuenti desumono dal complesso normativo indicato in rubrica il principio fondamentale dell’ordinamento giuridico secondo cui tutti i documenti richiamati dall’ente impositore nell’avviso di accertamento debbono essere necessariamente allegati e notificati con l’atto impositivo per consentire al destinatario della pretesa fiscale l’esercizio dei propri diritti di difesa.

La resistente oltre a ribadire la inapplicabilità della L. n. 212 del 2000 intervenuta successivamente alla notifica dell’avviso impugnato e la legittimità della motivazione "per relationem", contesta la inammissibilità del motivo in quanto non precedentemente formulato nel ricorso introduttivo e riproposto in grado di appello.

Il motivo è inammissibile.

La questione concernente la asserita illegittimità dell’avviso di accertamento motivato "per relationem" alle risultanze indicate nel PVC redatto dalla Guardia di Finanza, ma notificato senza che sia stato allegato il verbale di constatazione richiamato, non risulta sia stata esaminata dai Giudici di appello che hanno omesso del tutto di pronunciarsi su di essa.

Ne consegue che, qualora la questione concernente l’indicato vizio di nullità dell’avviso di accertamento fosse stata ritualmente introdotta nel giudizio di merito e riproposta in grado di appello, il parametro di legittimità ("error in judicando") indicato dai ricorrenti – con riferimento alla violazione o falsa applicazione delle norme che regolano il contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento – risulta invocato a sproposito, atteso che la mancata statuizione sul punto avrebbe dovuto eventualmente essere censurata per "omessa pronuncia" sullo specifico motivo di appello, in violazione dell’art. 112 c.p.c., potendo configurarsi, nella specie, un vizio di nullità afferente l’attività processuale del Giudice, in quanto tale denunciabile esclusivamente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), ma non anche in relazione al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Alla erronea individuazione del parametro di legittimità consegue la inammissibilità del motivo in quanto, come ripetutamente ribadito da questa Corte in tema di ricorso per cassazione, la denuncia di un "error in iudicando", per violazione di norme di diritto sostanziale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), o per vizi della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), presuppone che il giudice di merito abbia preso in esame la questione prospettatagli e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, e consente alla parte di chiedere, ed al giudice di legittimità di effettuare, una verifica in ordine alla correttezza giuridica della decisione ed alla sufficienza e logicità della motivazione, sulla base del solo esame della sentenza impugnata; tale censura non può pertanto riguardare l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado in ordine ad uno dei motivi dedotti nell’atto di appello, la quale postula la denuncia di un "error in procedendo", ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4), in riferimento al quale il giudice di legittimità può esaminare anche gli atti del giudizio di merito, essendo giudice anche del fatto, inteso in senso processuale (cfr. Corte cass. 1^ sez. 22.11.2006 n. 24856; id. 3^ sez. 19.1.2007 n. 1196, con riferimento al vizio di extrapetizione; id. 3^ sez. 4.6.2007 n. 12952). Il motivo è comunque inammissibile anche sotto altro profilo. Dalla lettura della sentenza di appello non è dato evincere, infatti, che l’indicato vizio di nullità dell’avviso di accertamento (in mancanza di allegazione del verbale ai quale era operata la relatio) fosse stato dedotto dai contribuenti con il ricorso introduttivo, nè tanto meno che sia stato riproposto dagli appellati ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 e art. 346 c.p.c. ovvero abbia costituito specifico motivo di appello incidentale (dalla sentenza impugnata emerge soltanto che i contribuenti avevano impugnato l’atto impositivo in ordine alla carenza dell’impianto probatorio per difetto dei requisiti ex art. 2729 c.c., nonchè al calcolo della percentuale di ricarico ed alla determinazione del campione ed inoltre – sembra con la memoria di costituzione in appello – per violazione del divieto di doppia presunzione ex art. 2727 c.c. – l’affermazione contenuta in ricorso, pag. 5, secondo cui i contribuenti avrebbero proposto appello incidentale, non trova invece riscontro nella sentenza impugnata).

Ne consegue che il motivo va incontro ad inammissibilità, per difetto di autosufficienza, in quanto viene sottoposta all’esame del Giudice di legittimità una questione nuova non esaminata dai giudici di merito. Qualora, infatti, una determinata questione giuridica, che implichi accertamenti di fatto – come nella specie l’esame del documento costituito dall’avviso di accertamento notificato al contribuente – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della cesura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, trascrivendone il contenuto o le parti essenziali di esso, onde dare modo alla Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (giurisprudenza consolidata: cfr. Corte cass. 5^ sez. 2.4.2004 n. 6542; id. 3 sez. 10.5.2005 n. 9765; id. 3 sez. 12.7.2005 n. 14599; id. sez. lav. 11.1.2006 n. 230; id. 3 sez. 20.10.2006 n. 22540; id. 3 sez. 27.5.2010 n. 12912).

3. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I ricorrenti, nell’ampio apparato argomentativo, criticano la sentenza di appello per aver attributo rilievo probatorio agli elementi offerti dalla Amministrazione finanziaria che dovevano, invece, ritenersi semplici indizi privi delle caratteristiche richieste dall’art. 2729 c.c. e dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 fondandosi l’assunto impositivo su circostanze non provate e su una metodologia erronea, non essendo risultata alcuna evasione di imposta all’esito delle minuziose indagini compiute dalla Guardia di Finanza sulle scritture contabili, sulle esistenze e giacenze di magazzino, sulla documentazione extracontabile rinvenuta presso i locali della ditta, ed anche sulla documentazione bancaria. I verbalizzanti avrebbero applicato una percentuale di ricarico pari al 571,56% priva di alcun fondamento, non potendosi ritenere inattendibili le scritture contabili della azienda, così incorrendo in violazione dell’art. 2727 c.c., norma che richiede una relazione di consequenzialità necessaria tra il fatto noto e l’ignoto, nonchè dell’art. 2697 c.c., essendo stata esonerata la PA dall’onere probatorio che su di essa gravava, ed incorrendo altresì in violazione del divieto di doppia presunzione.

Aggiungono i ricorrenti che la formula di ricarico applicata dai verbalizzanti era contraria alle risoluzioni emesse in materia dal Ministero delle Finanze, dovendo essere operata la ponderazione della percentuale di ricarico sulle sole quantità vendute e non anche su quelle acquistate.

3.1 La parte resistente contesta la inammissibilità della censura relativa al vizio motivazionale, in quanto non risulta individuato l’errore in fatto in cui sarebbero incorsi i Giudici di appello, nonchè afferma la infondatezza della censura formulata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

3.2 Occorre preliminarmente rilevare che il motivo, così come sviluppato nella parte argomentativa, viene ad articolarsi: a) nella dedotta violazione di norme di diritto sostanziale, rivolta precipuamente a contestare i requisiti di legge prescritti per la prova logica dall’art. 2729 c.c., sull’assunto per cui la illegittimità della inferenza probatoria deriverebbe dall’essere fondata su premesse di fatto incerte ed equivoche; b) nella critica alla motivazione della sentenza, fondata sulla erroneità dei criteri di determinazione dei maggiori ricavi non contabilizzati (essendo stata calcolata la percentuale di ricarico su un campione di soli 13 beni su 400; essendo stata operata la ponderazione sulle quantità acquistate anzichè su quelle vendute; essendo stata applicata la media semplice anzichè quella ponderale nonostante la eterogeneità dei beni venduti, il differente costo di produzione e la determinazione dei prezzi di rivendita non stabiliti in contraddittorio) adottati dai verbalizzanti nel PVC e recepiti nell’avviso di accertamento. Occorre considerare, quanto alla censura da ultimo indicata, che i legittimi dubbi posti 1 – dal sopravvenuto difetto di interesse dei contribuenti alla formulazione di una censura rivolta contro un criterio di determinazione dei maggiori ricavi utilizzato nell’avviso di accertamento ma non più attuale in quanto sostituito dal nuovo criterio (fondato su una diversa percentuale di ricarico, e conseguentemente su una riduzione dei maggiori ricavi accertati) determinato ex officio dal Giudice tributario con la pronuncia di secondo grado, nonchè 2 – dalla apparente inconferenza del motivo del ricorso per cassazione, diretto a contestare vizi di incongruità propri dell’atto impositivo piuttosto che vizi della motivazione della sentenza, possono ritenersi fugati considerando che il motivo ha ad oggetto la asserita incongruenza di uno dei termini di calcolo (la percentuale di ricarico determinata dall’Ufficio finanziario nell’avviso di accertamento) utilizzato dalla CTR siciliana per rideterminare, con media matematica, la "nuova" percentuale di ricarico da applicare a tutti i generi merceologici commercializzati dalla ditta (la censura deve pertanto ritenersi rivolta direttamente all’impianto motivazionale della sentenza, in quanto la recezione da parte dei Giudici territoriali del dato elaborato dall’Ufficio finanziario viene ad inficiare anche la "nuova" percentuale di ricarico – calcolata con media aritmetica anzichè ponderale – configurando un vizio logico della sentenza denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e non anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in difetto di disposizioni di legge che prescrivano la adozione di un metodo di calcolo piuttosto di un altro; cfr. Corte cass. 5 sez. 20.11.2001 n. 14576; id. 5 sez. 19.6.2009 n. 14328; id.

5 sez. 16.12.2009 n. 26312).

3.3 11 motivo, le cui censure possono essere esaminate congiuntamente in considerazione della stretta connessione logica, è inammissibile per difetto di autosufficienza ex art. 366 c.p.c..

Premesso che, tanto nel caso di deduzione del vizio di irrituale od omessa ammissione di prove, ovvero di omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, quanto nel caso in cui si intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, la parte ricorrente è onerata non soltanto alla specifica indicazione della prova o del documento (mediante individuazione della sede processuale in cui la prova è stata richiesta o prodotta: Corte cass. sez. lav. 7.2.2011 n. 2966; id. 1 sez. 13.11.2009 n. 24178; id. 3 sez. ord. 4.9.2008 n. 22303; id. 3 sez. 25.5.2007 n. 12239) e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto (cfr. Corte cass. 1 sez. 17.52006 n. 11501), ma deve provvedere altresì alla completa trascrizione del contenuto degli atti/documenti in modo da rendere immediatamente apprezzabile da parte della Corte il vizio dedotto (cfr. Corte cass. SU 24.9.2010 n. 20159; id. 6 sez. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3 sez. 4.9.2008 n. 22303; id. 3 sez. 31.5.2006 n. 12984; id. 1 sez. 24.3.2006 n. 6679;

id. sez. lav. 21.10.2003 n. 15751; id. sez. lav. 12.6.2002 n. 8388), rileva il Collegio che il motivo in esame appare gravemente deficitario in relazione alla esposizione del contenuto dei documenti, richiesta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), sui quali si fondano le censure.

Ed infatti i contribuenti si sono limitati ad una generica allegazione della insussistenza della evasione fiscale, della carenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza negli indizi offerti dalla Amministrazione finanziaria, della disomogeneità dei generi merceologici in comparazione e della notevole sproporzione quali-quantitativa tra gli stessi, ma hanno omesso del tutto di specificare quali fossero in concreto le inferenze probatorie inficiate dal vizio indicato detti indizi, astenendosi dal riportare nel ricorso l’integrale contenuto o comunque le parti essenziali e rilevanti dell’avviso nonchè le risultanze delle operazioni eseguite e gli elementi di fatto e contabili rilevati dai verbalizzanti nel corso delle indagini, e trascritti nel PVC, rimanendo in conseguenza sconosciuti i presupposti di fatto ed i criteri di valutazione in concreto adottati ai fini dell’accertamento condotto con metodo induttivo (dalla sentenza impugnata, infatti, emerge soltanto che la ditta non aveva presentato "il prospetto analitico della rimanenze iniziali e finali" e che, in mancanza di idonea documentazione contabile, i verbalizzanti avevano, pertanto, legittimamente determinato la percentuale di ricarico con una analisi a campione: ne consegue che in assenza di ulteriori necessarie indicazioni fornite dai ricorrenti, rimangono ignoti il numero ed il tipo dei beni commercializzati, il volume di affari dichiarato e le quantità dei beni acquistati e venduti, quale sia la effettiva proporzione sul volume di affari tra i generi merceologici venduti, le percentuali di ricarico indicate dalla ditta o rilevate dai verbalizzanti per ciascuno di essi, in che modo sia stata operata la selezione del campione, quali siano le differenze espresse tra i costi di produzione ed i prezzi di rivendita e da quali documenti siano stati desunti).

Ne consegue che, in difetto della individuazione degli elementi essenziali di fatto posti a fondamento delle censure e della esatta descrizione del criterio in concreto adottato dai verbalizzanti per determinare la percentuale di ricarico applicata alle quantità di merce vendute e non contabilizzate (criterio che i ricorrenti si limitano ad asserire viziato in quanto si sarebbe tenuto conto delle quantità acquistate e non di quelle vendute), rimane preclusa alla Corte ogni verifica di ammissibilità del motivo di ricorso in ordine alla coerenza delle censure formulate alla sentenza impugnata con le risultanze documentali oggetto di esame nei gradi di merito, tanto più rilevato che la parte resistente nel controricorso indica ulteriori fatti (i verbalizzanti avrebbero selezionato i prodotti a campione in contraddittorio con i contribuenti: pag. 3 controric.) che sembrano contraddire le affermazioni della parte ricorrente.

Le numerose citazioni giurisprudenziali, riportate nel ricorso, aventi ad oggetto i presupposti e le modalità di accertamento con metodo induttivo, nonchè la determinazione della percentuale di ricarico (secondo cui la percentuale applicata deve trovare riscontro in clementi concreti rilevati dalla attività effettivamente svolta dalla impresa verificata, non essendo sufficiente il riferimento ad un mero indice statistico quale la "percentuale media del settore": o ancora che la percentuale di ricarico deve essere calcolata non solo su alcuni articoli ma sulla intera merce inventariata ove esista disomogeneità tra i generi merceologici: od anche che la percentuale di ricarico, ove sussista una notevole sproporzione del valore venale tra i vari prodotti commercializzati, deve essere determinata con media poderale e non aritmetica) e la copiosa enunciazione dei criteri interpretativi, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, delle norme che presiedono alla formazione della prova presuntiva, non assolvono all’evidenza all’onere di autosufficienza del motivo, risolvendosi in una mera ed astratta citazione di principi di diritto la cui corretta applicazione non può essere valutata da questa Corte in mancanza di specifici e diretti riferimenti agli elementi fattuali – rimasti ignoti – della concreta fattispecie controversa.

In conseguenza la censura, formulata sotto il duplice prospettato vizio di violazione di legge ed insufficiente motivazione, deve essere dichiarata inammissibile:

a) tanto in relazione alla denunciata violazione di norme di diritto sostanziale, in quanto il ricorrente che censuri la violazione o falsa applicazione di norme di diritto – così come la violazione di norme processuali – deve indicare, per assolvere al requisito di autosufficienza del ricorso, anche gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione (cfr. Corte cass. sez. lav. 28.7.2005 n. 15910), dovendo, pertanto, darsi corso al principio affermato dalla Corte secondo cui "per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 3 non è necessario che l’esposizione dei fatti costituisca una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi di ricorso, nè occorre una narrativa analitica o particolareggiata, ma è sufficiente ed, insieme, indispensabile che dal contesto del ricorso (ossia, solo dalla lettura di tale atto ed escluso l’esame di ogni altro documento, compresa la stessa sentenza impugnata) sia possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice "a quo", non potendosi distinguere, ai fini della detta sanzione di inammissibilità, fra esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente (cfr. Corte cass. 1 sez. 4.6.1999 n. 5492; id. 3 sez. 17.10.2001 n. 12681; id. 1 sez. 20.8.2004 n. 16360; id. 1 sez. 30.5.2007 n. 12688; sez. lav. 5.2.2009 n. 2831);

b) quanto in relazione al denunciato vizio motivazionale, alla stregua del principio costantemente affermato da questa Corte secondo cui "la parte che, in sede di ricorso per cassazione, lamenti vizi di motivazione della sentenza impugnata, ha l’onere di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, in quanto il detto ricorso deve risultare autosufficiente e, quindi, contenere in sè tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti ed alle risultanze processuali (cfr. Corte cass. 3^ sez. 24.1.2002 n. 849; id. 1 sez. 23.7.2003 n. 11422; id. 1 sez. 24.3.2006 n. 6679).

4. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono vizio di nullità del procedimento ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per avere omesso i Giudici di appello di pronunciare sulla "domanda e/o eccezione" concernente la "illegittimità del calcolo della percentuale di ricarico determinata attraverso il rapporto tra prezzi di acquisto e di rivendita operato solo su alcuni articoli venduti (13 nella fattispecie) anzichè su tutte le merci commercializzate (circa 400 articoli) a prezzi di acquisto e vendita diversi tra di loro.. essendo stati accertati i maggiori ricavi "con il criterio della media aritmetica semplice anzichè con quello della media ponderalè" (pag. 22 ric.).

4.1 Il motivo è infondato.

Il vizio di omessa pronuncia su una domanda od eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (cfr. Corte cass. 2 sez. 19.1.1969 n. 3758; id. 1 sez. 13.6.1972 n. 1853).

Orbene la sentenza di appello, pronunciando in ordine al criterio applicato per la determinazione dei maggiori ricavi ha espressamente respinto la eccezione proposta dai contribuenti, affermando esplicitamente la legittimità del ricorso da parte della Amministrazione finanziaria, in assenza di idonea documentazione contabile, al metodo della percentuale di ricarico determinata mediante l’analisi a campione condotta su alcuni generi soltanto e ritenendo altresì corretta la individuazione del campione, circoscritta ad alcuni soltanto dei beni commercializzati dalla ditta, in quanto i campioni scelti appaiono omogenei e rappresentativi.

Ne consegue che nel caso di specie non è dato ravvisare nella sentenza impugnata una completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, avendo invece i Giudici territoriali esaminato e deciso ex professo la specifica questione oggetto di doglianza, seppure – secondo la prospettazione dei ricorrenti – in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, potendo quindi eventualmente essere affetta tale decisione da vizi di legittimità che debbono tuttavia essere denunciati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (cfr. Corte cass. 3 sez. 17.7.2007 n. 15882) o dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

5. Con il quarto motivo i ricorrenti censurano la sentenza in relazione al vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), contestando la contraddittorietà, apoditticità ed incomprensibilità del criterio adottato dai Giudici territoriali i quali, dopo aver ritenuto legittima la percentuale di ricarico determinata nell’avviso di accertamento, hanno poi ritenuto necessario, cosi contraddicendosi, rideterminare detta percentuale alla stregua anche degli altri beni commercializzati dalla impresa e non considerati nel campione, ed a tal fine avrebbero immotivatamente suddiviso la quantità complessiva del venduto, relativa al periodo di imposta, in proporzione alla quota del 45% cui doveva applicarsi la percentuale di ricarico – pari al 571,56% – calcolata dall’Ufficio finanziario sul campione di 13 prodotti, ed alla quota del 55% cui andava invece applicata la percentuale di ricarico – pari a 172,00% – desunta dalla dichiarazione dei redditi presentata dai contribuenti, tuttavia disattendendo anche tale criterio e determinando i maggiori redditi mediante un’unica percentuale di ricarico, ricavata dalla media aritmetica tra le due percentuali sopra indicate ed applicata sulla intera quantità del venduto.

I ricorrenti censurano, inoltre, il ricorso dell’Ufficio finanziario all’"analisi a campione" per la determinazione della percentuale di ricarico, sostenendo la erroneità della affermazione contenuta in sentenza secondo cui dalla verifica era emersa la inattendibilità delle scritture contabili per mancata redazione del registro inventari, atteso che il valore delle rimanenze era stato comunicato alla Amministrazione finanziaria con la risposta fornita ad un questionario inviato il 4.3.2000 dalla stessa Amministrazione, e comunque i verbalizzanti avevano eseguito durante l’accesso l’inventario di tutta la merce esistente.

5.1 La resistente contesta la novità della questione inerente al compilazione del questionario, non oggetto di esame nei precedenti gradi di giudizio, e comunque la irrilevanza di tale documento così come del verbale di rilevazione dei beni in giacenza al momento delle verifica, in quanto entrambi inidonei a fornire la rappresentazione delle rimanenze iniziali e finali con riferimento all’anno di imposta 1996; rileva altresì la legittimità dell’analisi a campione su 13 prodotti in quanto rappresentativi del 45% dell’intero fatturato e scelti in contraddittorio con la ditta.

5.2 Quanto alla censura prospettata in relazione al vizio di omessa valutazione, da parte dei giudici di merito, di prove decisive individuate nel documento consistente nella risposta al questionario in data 4.3.2000 nonchè nel "verbale di rilevazione delle giacenze" redatto dalla Guardia di Finanza in data 26.8.1997, il motivo si palesa inammissibile per difetto di autosufficienza atteso che la parte ricorrente, da un lato, ha omesso di specificare se e quando tali documenti siano stati acquisiti al giudizio, impedendo così alla Corte di verificare la tempestività e ritualità della produzione probatoria che costituisce il presupposto necessario per valutare la violazione dell’obbligo di esame della prova documentale da parte del Giudice; dall’altro non ha riprodotto, neppure nelle parti essenziali, il tenore di tali documenti, precludendo a questa Corte di verificare il requisito di decisività delle prove neglette od inesattamente valutate dal Giudice (cfr. Corte cass. 1 sez. 10.11.2001 n. 13963; id. sez. lav. 21.10.2003 n. 15751; id. 1 sez. 28.2.2006 n. 4405), ed in particolare se da tali documenti fosse o meno rilevabile la variazione delle giacenze iniziali e delle rimanenze finali riferita all’anno di imposta 1996 oggetto di verifica.

5.3 Quanto ai dedotti vizi logici della sentenza prospettati in relazione – alla incongruità del criterio di calcolo della percentuale di ricarico mediante media aritmetica anzichè ponderale – alla inadeguatezza del campione prescelto per la rilevazione delle percentuali di ricarico praticate per ciascuno dei beni considerati – in quanto a fronte di un inventario di oltre 400 beni i Giudici territoriali avrebbero ritenuto legittimo il ricorso al campione costituito solo da 13 beni – dati dai quali è stata tratta la percentuale media del 571,56% applicata nell’avviso di accertamento rileva il Collegio che la censura così come formulata, pur potendosi considerare pertinente al "decisum" in quanto rivolta a contestare uno degli elementi di calcolo utilizzati dalla CTR per la rideterminazione della nuova percentuale media di ricarico applicata a tutti i generi commercializzati dalla ditta, è tuttavia infondata.

Ed infatti, quanto al metodo di calcolo applicato per la determinazione della percentuale di ricarico (media aritmetica; media ponderale), la generica affermazione della illegittimità della "media aritmetica o semplice", contenuta nel ricorso, si risolve in una mera asserzione apodittica in quanto priva di riferimenti al caso concreto (non essendo apprezzabile, in mancanza di trascrizione dei contenuto dell’avviso o della parte rilevante del verbale di constatazione, quale metodo abbiano effettivamente utilizzato i verbalizzanti per la determinazione della percentuale di ricarico, tanto più in presenza ella contraria allegazione della parte resistente che afferma, invece, che "non è stata applicata una media aritmetica semplice, ma una ponderala sulle categorie dei beni più rappresentativi" – controric. pag. 3) e, peraltro, difforme dall’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte secondo cui il criterio della media aritmetica o semplice è inidoneo a rappresentare i maggiori redditi di impresa presunti soltanto nel caso in cui sussista una "obiettiva disomogeneità" tra i prodotti commercializzati, sia in relazione all’aspetto quantitativo (un tipo di prodotto è venduto in misura assolutamente maggioritaria rispetto ad altri generi pure commercializzati dalla ditta: circostanza che deve emergere dai documenti contabili della impresa – dovendo risultare dalle quantità acquistate o dalle rimanenze invendute), sia in relazione all’aspetto qualitativo (nel caso in cui sussista una notevole sproporzione tra i valori commerciali dei prodotti, e conseguentemente tra i ricarichi praticati sulla vendita, cosicchè la applicazione della semplice media aritmetica determinerebbe un risultato medio puramente teorico, inidoneo a fornire la prova presuntiva dell’utile non dichiarato effettivamente conseguito dal contribuente), diversamente non potendo in assoluto ritenersi "ex se" illegittimo il criterio della media aritmetica ai fini della determinazione della percentuale di ricarico da applicare sul quantitativo della merce venduta ai fini dell’accertamento dei maggiori ricavi non dichiarati al Fisco (cfr. Corte cass. 5 sez. 19.6.2009 n. 14328; id. 5 sez. 16.12.2009 n. 6312).

I contribuenti si sono, infatti, limitati a protestare la inadeguatezza del campione in relazione ad un parametro meramente numerico (selezione di 13 prodotti su 400 rilevati) omettendo tuttavia di dare supporto a tale doglianza – mediante trascrizione del verbale di constatazione almeno nella parte in cui venivano censiti i prodotti commercializzati ed i rispettivi ricarichi di vendita – rappresentando gli elementi fattuali indicativi della sproporzione delle quantità vendute tra i diversi beni commercializzati dalla impresa (evidenziando la non significatività dei prodotti scelti a campione in relazione al volume di affari), e la eventuale notevole differenza tra i ricarichi applicati sui beni considerati dai verbalizzanti, rispetto a quelli invece applicati sugli altri beni inventariati.

Ne consegue che nella specie manca del tutto la indicazione e dimostrazione dell’elemento decisivo, ai fini della fondatezza della censura, della disomogeneità quali-quantitativa tra i prodotti inseriti nel campione e quelli invece pretermessi (contestata dalla parte resistente secondo cui il campione di 13 prodotti esprimeva ben il 45% del fatturato: pag. 3 controric.), elemento dal quale soltanto potrebbe inferirsi tanto la inadeguatezza del campione, quanto la illogicità del criterio matematico di determinazione della percentuale media di ricarico applicata dall’Amministrazione finanziaria, legittimamente – altrimenti – potendo essere limitata la individuazione dei prodotti anche ad "un campione significativo, per qualità e quantità, dei beni oggetto della attività di impresa, senza necessariamente estendersi alla totalità dei benì (cfr. Corte cass. 5 sez. 13.3.2009 n. 6086; vedi id. 1 sez. 5.9.1996 n. 8089 in motivazione).

5.4 Nei limiti di seguito indicati deve ritenersi fondato, invece, il quarto motivo relativamente alla censura di illogicità della motivazione della sentenza impugnata per avere i Giudici territoriali ritenuto pienamente legittimo il metodo a campione con il quale l’Ufficio finanziario era pervenuto alla determinazione dei maggiori ricavi, ed allo stesso tempo ritenuto tale metodo insufficientemente dimostrativo dei maggiori redditi di impresa, tanto che la CTR siciliana ha ritenuto necessario rideterminare una diversa percentuale media di ricarico da applicare all’intero quantitativo di merce venduta.

Occorre premettere che in materia di controversie tributarie aventi ad oggetto l’accertamento dei maggiori ricavi derivanti dall’attività di impresa e sottratti al reddito imponibile, questa Corte ha enunciato i seguenti principi di diritto:

– in caso di irregolarità formali delle scritture contabili così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili i dati in esse esposti (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, lett. d); D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, comma 2, n. 3), è legittimo il ricorso al metodo induttivo di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, nonchè l’impiego, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi, "dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, tra i quali sono compresi il volume di affari dichiarato dallo stesso contribuente e la redditività media del settore specifico in cui opera l’impresa sottoposta ad accertamento (Corte cass. 5 sez. 6.8.2002 n. 11813, cui adde 5 sez. 7.5.2007 n. 10344), specificandosi ulteriormente che "la rideterminazione del ricarico, operata in base a dati non privi di concretezza – quali i prezzi unitari di acquisto e di vendita, l’incidenza di ciascun prodotto sul costo del venduto, il ricarico medio riscontrato nel settore di appartenenza sulla scorta di un’analisi a campione per gruppi merceologici omogenei e il raffronto con i prezzi di vendita – costituisce operazione senz’altro legittima in quanto finalizzata alla ricostruzione del volume di affari, salva la eventuale riduzione da parte del giudice tributario del maggior reddito accertato in caso di insufficienza o inadeguatezza del campione" (Corte cass. 5 sez. 18.9.2003 n. 13816, che in parte motiva evidenzia come , nella specie, il costo del venduto è stato diviso in due gruppi comprendenti, rispettivamente, le merci soggette a lavorazione (prima della vendita) e quelle acquistate per la rivendita, e che per ciascun gruppo si è determinato il ricarico ponderato, tenuto conto dei prezzi unitari di acquisto e di vendita e dell’incidenza di ciascun prodotto sul costo del venduto); il diverso calcolo della percentuale di ricarico applicata sui generi venduti, mediante "media aritmetica semplice" (comparazione tra prezzi di acquisito e di vendita di alcuni generi merceologici) ovvero "mediante media aritmetica ponderata" (comparazione tra prezzi di acquisto e vendita relativi a gruppi merceologici omogenei concernenti i beni commercializzati dalla impresa), non costituisce oggetto di specifica previsione legislativa, rimanendo pertanto escluso che la scelta di uno piuttosto che dell’altro possa integrare una violazione di norme di diritto (cfr. Corte cass. 5 sez. 20.11.2001 n. 14576: id. 5 sez. 16.12.2009 n. 26312): la scelta da parte dell’Amministrazione finanziaria del criterio di determinazione della percentuale di ricarico deve, tuttavia, rispondere a canoni di coerenza logica e congruità che devono essere esplicitati attraverso adeguato ragionamento, essendo consentito il ricorso al criterio della "media aritmetica semplice" in luogo della "media ponderale" quando risulti l’omogeneità della merce, ma non quando fra i vari tipi di merce esista una notevole differenza di valore ed i tipi più venduti presentino una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio (cfr. Corte cass. 5 sez. 23.1.12003 n. 979; id. 5 sez. 19.6.2009 n. 14328; id. 5 sez. 16.12.2009 n. 26312; id. 5 sez. 28.4.2010 n. 10148) il controllo di logicità sulla scelta ed applicazione del criterio di calcolo per il ricarico si estende anche alla congruità del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di rivendita e di acquisto, non potendo arbitrariamente limitarsi il campione ad alcuni articoli soltanto ma dovendo riferirsi – in relazione agli elementi conoscitivi acquisiti nel corso della indagine svolta dall’Ufficio accertatore – a tutte le merci commercializzate dalla impresa risultanti dall’inventario generale (cfr. Corte cass. n. 979/2003 cit.; id. 5 sez. 20.3.2009 nn. 6849 e 6852) o comunque ad un "gruppo significativo, per qualità e quantità dei beni oggetto dell’attività di impresa, anche senza estendersi necessariamente alla totalità dei beni (cfr. Corte cass. 5 sez. 13.3.2009 n. 6086.

Vedi Corte cass. 5 sez. n. 13816/2003 cit. per cui la insufficienza o inadeguatezza del campione" è oggetto di sindacato da parte del giudice del merito il quale, nell’esercizio dei propri poteri, può modificare e determinare anche una riduzione del reddito accertato induttivamente dall’Ufficio).

Tanto premesso rileva il Collegio che, una volta accertata la legittimità dell’operato dell’Ufficio, tanto sotto il profilo della adeguatezza e rappresentatività del campione di merci considerate ai fini della individuazione della percentuale di ricarico (avendo la CTR siciliana confermato che le vendite dei tredici beni componenti il campione corrispondevano alla quota del 45% del fatturato), quanto sotto il profilo della rilevazione delle percentuali di ricarico dei singoli beni campionati – in base alla fatture di acquisto e vendita esaminate – e del criterio di calcolo della percentuale di ricarico media del campione, i Giudici territoriali avrebbero dovuto arrestarsi alla affermazione – coerente con i principi di diritto sopra indicati – secondo cui la percentuale calcolata dall’Ufficio poteva "essere legittimamente estesa a tutti gli altri prodotti", senza ulteriormente ricercare una diversa percentuale applicabile peraltro non solo alla quota del fatturato non ricompresa nel campione ma anche ai generi in esso ricompresi.

Rileva il Collegio, in proposito, che le ragioni poste a fondamento della decisione risultano oggettivamente contrastanti e logicamente incompatibili: da un lato, infatti i Giudici di appello "ammettono" che la percentuale di ricarico determinata dall’Ufficio possa essere legittimamente estesa a tutti gli altri prodotti ai fini dell’accertamento dei maggiori ricavi imponibili, in quanto "i campioni scelti appaiono omogenei e rappresentativi"; dall’altro affermano, invece, che, "per una completa valutazione", anzichè estendere la percentuale di ricarico calcolata sul campione agli altri beni venduti, "si debba determinare anche per la restante parte di prodotti prima non considerati una percentuale di ricarico che viene desunta direttamente dalla dichiarazione della ditta, e ricavare poi una percentuale complessiva".

Se, dunque, la riconosciuta legittimità dell’accertamento operato dell’Ufficio, in quanto fondato su di un campione "rappresentativo", collide manifestamente con il successivo enunciato logico che richiede di calcolare una distinta percentuale di ricarico per i generi merceologici non ricompresi nel campione (smentendo quindi la precedente assunzione di significatività del campione), del tutto priva di giustificazione logica risulta, altresì, l’ulteriore affermazione secondo cui le due percentuali di ricarico – quella ricavata dall’Ufficio e quella risultante dalla dichiarazione dei redditi – sono entrambi inaffidabili (e dunque inapplicabili ai rispettivi raggruppamenti di generi merceologici), occorrendo procedere alla determinazione di una diversa "percentuale complessiva" da applicare in modo indifferenziato a tutti i prodotti venduti.

La motivazione della sentenza risulta, pertanto, inficiata da duplice vizio logico, atteso che le prime due proposizioni appaiono contrastanti elidendosi reciprocamente, mentre l’enunciato conclusivo in quanto del tutto avulso e non sostenuto dalle proposizioni che lo precedono, appare sprovvisto di qualsiasi supporto motivazionale, non consentendo l’individuazione della "ratio decidendi" e cioè l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata.

La sentenza deve essere quindi cassata, rendendosi necessario il rinvio alla Commissione tributaria della regione Sicilia in altra composizione, affinchè, tenuto conto degli indicati principi di diritto enunciati nella specifica materia, proceda ad una nuova valutazione degli elementi probatori emendando la motivazione dai vizi logici riscontrati.

In particolare i Giudici territoriali:

– se riconosceranno corretto il metodo applicato dall’Ufficio nell’avviso di accertamento, dovranno arrestarsi all’accertamento della legittimità del provvedimento opposto dai contribuenti;

– se, invece, non dovessero ritenere corretto il metodo predetto, specificando in tal caso quali siano le ragioni della inadeguatezza del campione selezionato o dell’errore di rilevazione o di calcolo della percentuale di ricarico stabilita dall’Ufficio, dovranno valutare se i maggiori ricavi imponibili possano essere determinati:

a) limitando la applicazione della percentuale di ricarico stabilita dall’Ufficio ai generi merceologici ricompresi nel campione, ed applicando un’altra ovvero distinte percentuali di ricarico – dando conto delle ragioni che ne consentono la determinazione alla stregua degli elementi probatori acquisiti al giudizio – agli altri beni non considerati nel campione; b) oppure mediante applicazione generalizzata di un’unica percentuale di ricarico – determinata ex officio – dovendo in tal caso dare motivatamente conto delle ragioni della inutilizzabilità del precedente criterio, nonchè dei criteri in base ai quali si perviene alla determinazione della nuova percentuale di ricarico unitaria.

6. Il quinto motivo con il quale i ricorrenti deducono il vizio di nullità della sentenza per eccesso di pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), avendo i Giudici territoriali rideterminato autonomamente, in assenza di domande ed eccezioni, la percentuale di ricarico e quindi i redditi imponibili, è infondato. L’esercizio del potere del Giudice tributario di appello di rideterminare la imposta, trova infatti titolo nello stesso oggetto del giudizio tributario di tipo impugnatorio esteso al rapporto sostanziale (annullamento-merito), con la conseguenza che va ribadito il principio secondo cui dalla natura del processo tributario – il quale non è annoverabile tra quelli di "impugnazione/annullamento", ma tra i processi di "impugnazione/merito", in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio – discende che ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (cfr. Corte cass 5 sez. 12.7.2006 n. 15825;

id. 5 sez. 23.7.2007 n. 16252; id. 5 sez. 28.5.2010 n. 13132, in relazione alla rideterminazione a seguito di c.t.u. disposta di ufficio del valore venale di un immobile ai fini della imposta di registro: "Il giudizio dinanzi la Commissione tributaria regionale, al di là delle ipotesi lassative ed eccezionali previste dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 59, comma 1 (nelle quali è prevista la possibilità di una sentenza meramente rescissoria, in presenza di vizi formali dell’accertamento o di altri atti pregressi su cui esso si fonda), assume le caratteristiche generali del mezzo di gravame, ossia del mezzo di impugnazione a carattere sostitutivo ed obbliga, quindi, il giudice tributario a decidere nel merito le questioni proposte"; id. 5 sez. 9.6.2010 n. 13868).

Ne segue che il Giudice tributario non incontra il limite ex art. 112 c.p.c. nella circostanza che le parti controvertano sulla legittimità/annullamento del provvedimento impositivo in quanto qualora le questioni sottoposte all’esame del Giudice, come nel caso di specie, vertano sulla fondatezza della pretesa fiscale in relazione al corretto criterio di calcolo da adottare per la determinazione della percentuale di ricarico sulla merce venduta, nella richiesta di esame della legittimità del provvedimento impugnato è implicita anche quella di esatta commisurazione dell’importo dovuto dal contribuente nel caso in cui la pretesa dovesse risultare solo parzialmente fondata.

7. La Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso incidentale condizionato al cui esame deve procedersi in dipendenza dell1 accoglimento del ricorso principale in parte qua (quarto motivo, censura di contraddittoria ed omessa motivazione: supra paragr. 5.4).

La ricorrente incidentale censura la sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (extrapetizione), nonchè degli artt. 2627 e 2697 c.c., per omessa, insufficiente ed illogica motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), rilevando che l’Ufficio nell’atto di appello aveva richiesto in via subordinata di calcolare una diversa percentuale di ricarico esclusivamente per i prodotti non ricompresi nel campione, e non anche di rideterminare il ricarico da applicare su tutti i generi venduti dalla ditta. Inoltre censura la sentenza essendo stata immotivatamente attribuita presunzione di correttezza alla percentuale di ricarico risultante dalla dichiarazione dei redditi, avendo invece l’Ufficio dimostrato la inattendibilità di tale dato applicato indiscriminatamente su tutti i generi commercializzati.

Il motivo, infondato quanto alla censura di extrapetizione ex art. 112 c.p.c. dovendosi richiamare al riguardo le medesime considerazioni svolte in motivazione sub paragr. 6, trova invece accoglimento in relazione alla censura concernente il vizio logico della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) rispetto al quale assume carattere meramente integrativo il riferimento in rubrica agli artt. 2727 e 2697 c.c. in difetto di uno specifico supporto argomentativo.

I Giudici territoriali, come già evidenziato nell’esame della censura, ritenuta fondata, formulata dai ricorrenti principali, dopo aver ritenuto pienamente corretta la determinazione dei maggiori ricavi operata dall’Ufficio nell’avviso di accertamento, hanno poi contraddetto tale asserzione ritenendo attendibile la percentuale di ricarico indicata dai contribuenti nella dichiarazione dei redditi, ed anzichè applicare tale dato percentuale alla residua quota del fatturato (relativa ai prodotti non ricompresi nel campione) hanno ritenuto, senza tuttavia dare alcuna giustificazione dell’iter logico seguito, di dover calcolare una "terza" percentuale di ricarico da applicare indiscriminatamente a tutti i generi merceologici commercializzati dalla ditta.

Tale "modus procedendi" è palesemente affetto dal vizio di incompatibilità logica tra gli enunciati che costituiscono l’antecedente della determinazione conclusiva (con i quali si afferma, rispettivamente, la correttezza e la inadeguatezza del criterio adottato dall’Ufficio della determinazione dei maggiori ricavi da assoggettare ad imposta) e da omessa motivazione in ordine alla necessità di dover calcolare una media complessiva tra le indicate percentuali di ricarico da applicare a tutti i prodotti.

In accoglimento della censura formulata dalla ricorrente incidentale la sentenza va quindi cassata con rinvio ad altra sezione della CTR siciliana affinchè proceda ad emendare i riscontrati vizi motivazionali tenendo conto dei richiamati principi (paragr. 5.4) che regolano la materia.

8. In conclusione, in accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso principale (limitatamente al quarto motivo "in parte qua":

paragr. 5.4) e del ricorso incidentale (limitatamente alla censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Sicilia che provvedere ad emendare i vizi logici riscontrati, tenendo conto dei principi enunciati da questa Corte e richiamati al paragr. 5.4 della motivazione, nonchè a liquidare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Suprema Corte di cassazione:

– accoglie il ricorso principale (limitatamente al quarto motivo "in parte qua": paragr. 5.4) ed il ricorso incidentale (limitatamente alla censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Sicilia che provvederà ad emendare i vizi logici riscontrati, tenendo conto dei principi enunciati da questa Corte e richiamati al paragr. 5.4 della motivazione, nonchè a liquidare le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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