Cassazione civile anno 2005 n. 1737 Sopraelevazione

COMUNIONE E CONDOMINIO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Con ricorso per denuncia di nuova opera del 14 febbraio 1995 Z. M., Q. L., V. C., A. P., D. R. e M. C., condomini dell’edificio sito in Ancona c. so Amendola n. 64 chiedevano al Pretore di quella città la sospensione dell’opera realizzata dal proprietario dell’ultimo piano del predetto stabile, V. A., che aveva proceduto al taglio di falda del relativo tetto per ricavarne una terrazza da destinare al servizio del sottotetto di proprietà esclusiva del medesimo, arrecando pregiudizio alla statica della struttura portante nonchè al decoro dell’edificio. Ordinata la sospensione dei lavori, il Pretore con sentenza dell’11 novembre 1998 accoglieva la domanda di reintegrazione del possesso proposta nella fase di merito dagli attori, ritenendo illegittima l’opera intrapresa dal resistente in violazione degli artt. 1102 e 1120 c.c., tenuto conto dell’intervenuta alterazione della destinazione originaria della cosa comune e della sua pericolosità ove non fosse stata adottata la variante proposta dal consulente tecnico d’ufficio. Con sentenza del 3 maggio 2001 il tribunale di Ancona rigettava l’impugnazione proposta dall’A., che condannava al pagamento delle spese del grado di giudizio.
I giudici di appello, nel confermare l’illegittimità dell’opera realizzata dall’appellante, escludevano che, come invece sostenuto con l’impugnazione, il diritto di sopraelevare riconosciuto al proprietario dell’ultimo piano dall’art. 1127 c.c. e comprendesse anche quello di trasformare il tetto, sostituendolo con una terrazza posto al servizio del sottotetto di proprietà esclusiva dell’A..
Ritenevano in proposito la violazione dei limiti imposti dagli artt. 1102 e 1120 c.c., atteso che il manufatto comportava l’alterazione della destinazione della cosa comune, che era stata utilizzata per l’uso esclusivo del resistente. Superfluo era quindi ritenuto l’esame del profilo concernente il pregiudizio relativo alla statica e al decoro architettonico dell’edificio. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’A. sulla base di sei motivi, illustrati da memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c. p. c..
Resistono con controricorso Z. M., Q. L., C. T., quale erede di V. C., nelle more deceduta, A. P., D. R. e M. C..
Non ha svolto attività difensiva Q. L., che all’udienza di discussione ha depositato atto "di costituzione per la discussione orale" con procura in calce al riguardo rilasciata al difensore.

Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 132 comma 4 c.p.c. per omessa pronuncia ovvero per difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c., censura la decisione gravata che, nel ritenere superfluo l’esame della incidenza del manufatto realizzato sulla statica e l’architettura dell’edificio, non aveva esaminato l’esistenza o meno del danno temuto, che era stato posto a base della domanda proposta dagli attori;
in realtà, con l’atto di appello era stato in proposito dedotto che, come rilevato dallo stesso Pretore, il pregiudizio alla statica dell’edificio, lamentato dagli attori, sarebbe stato scongiurato, ove l’opera fosse stata realizzata in conformità del progetto di variante predisposta dal consulente tecnico d’ufficio nominato in primo grado.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 832, 1100, 1102, 1117 e 1171 c.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in riferimento all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., deduce che, senza alcuna alterazione della cosa comune o modifica della sua destinazione, lavori in questione avevano avuto ad oggetto la trasformazione, sistemazione ed utilizzazione del sottotetto di cui il ricorrente a stregua dell’atto ricognitivo sottoscritto il 27-5-1993 da tutti gli altri comproprietari di immobili nello stesso stabile – era risultato proprietario esclusivo unitamente all’appartamento ubicato all’ultimo piano.
Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1127 c.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in riferimento all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., censura la decisione che aveva applicato la norma di cui all’art. 1127 c.c., che vieta le sopraelevazioni, mentre la trasformazione del sottotetto in vani abitabili, costituendo una miglioria dell’immobile di sua proprietà, era legittima non richiedendo alcuna autorizzazione da parte degli altri comproprietari, tenuto conto che nella specie gli altri partecipanti alla comunione avevano sottoscritto l’atto ricognitivo del 2751993; d’altra parte, secondo quanto emerso dagli atti processuali e dalla consulenza tecnica d’ufficio, le condizioni statiche dell’edificio avrebbero consentito le trasformazioni realizzate previa adozione di alcuni accorgimenti tecnici. Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1120 c.c., in riferimento all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., nonchè errore di fatto, deduce che i lavori avevano interessato non le parti comuni dell’edificio ma la proprietà esclusiva di esso ricorrente.
Con il Q. motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., 1168 e 1171, in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p. conche omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in riferimento all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., censura la sentenza gravata che avrebbe dovuto dichiarare la cessazione della materia del contendere, giacchè il Pretore aveva ritenuto che i lavori eseguiti non avevano arrecato pregiudizio, pregiudizio che si sarebbe verificato soltanto se gli stessi fossero ulteriormente proseguiti secondo il progetto originario: tale eventualità doveva essere esclusa essendo stato redatto dal consulente d’ufficio un progetto di variante.
I primi cinque motivi – che, essendo strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente vanno disattesi.
La sentenza impugnata, nel disattendere l’appello proposto dall’A., ha ritenuto illegittima l’opera dal medesimo realizzata, perchè, trasformando il tetto dell’edificio condominiale in terrazza adibita al servizio esclusivo della sua proprietà singola, il ricorrente aveva alterato la destinazione della cosa comune, sottraendola in tal modo al godimento collettivo;il diritto riconosciuto al proprietario dell’ultimo piano di sopraelevare (art. 1127 c.c.)era comunque subordinato ai limiti sanciti dagli artt. 1102 e 1120 c.c. in materia di uso e godimento dei beni comuni.
Tali argomentazioni inducevano i giudici di appello a ritenere superfluo l’esame degli altri profili di illiceità dell’opera pure dedotti dagli attori a fondamento della domanda(pregiudizio alla statica e all’architettura dell’edificio).
Orbene, si è rivelata infondata la doglianza con cui l’A. ha lamentato l’omessa pronuncia su tale aspetto della controversia, oggetto della denunzia di danno temuto su cui si basavano il petitum e la causa petendi azionata con il ricorso.
Nel procedimento di denuncia di nuova opera e di danno temuto occorre distinguere la fase cautelare, finalizzata alla concessione dei provvedimenti urgenti e provvisori in presenza delle condizioni previste dagli artt. 1171 e 1172 ceda quella di merito, destinata a completare l’indagine sul fondamento della tutela, petitoria o possessoria, domandata dal ricorrente: in riferimento al diverso oggetto, le due fasi sono autonome, giacchè i requisiti necessari per la proponibilità dell’azione in sede cautelare (infrannualità dall’inizio dell’opera ed incompletezza della stessa) e la concessione della misura richiesta (pericolo di danno) non condizionano la decisione di merito, che postula l’accertamento della denunziata lesione alla situazione di fatto o di diritto fatti valere (Cass. 10282/2004; 11027/2003; 12511/2001; 4867/2001; 13327/2000; SU 7036/1982).
Nella fase di merito gli attori avevano chiesto la reintegra del possesso, deducendo che l’opera realizzata dal resistente era illegittima perchè, oltre a mettere in pericolo la stabilità dell’edificio, alterava la destinazione originaria del tetto, limitandone l’uso in danno degli altri condomini possessori e compromettendo l’estetica del fabbricato.
In considerazione dei diversi profili di illiceità denunciatala sentenza ha correttamente ritenuto superfluo l’esame dell’incidenza dell’opera sulla statica e sull’estetica del fabbricato, in quanto tale aspetto era evidentemente assorbito dalla accertata violazione dei limiti sanciti dagli artt. 1102 e 1120 c.c. e dal conseguente accoglimento della domanda.
In proposito occorre sottolineare che l’indagine di fatto compiuta dai giudici e non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione, di cui peraltro la sentenza si è rivelata immune, ha consentito di accertare che i lavori in oggetto hanno riguardato, come già accennato, non le unità immobiliari di proprietà esclusiva dell’A. (sottotetto ed appartamento dell’ultimo piano)ma un bene comune, quale appunto il tetto del fabbricato.
La sostituzione da parte del proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale del tetto con una diversa copertura(terrazza), che pur non eliminando la funzione originariamente svolta dal tetto valga a imprimere per le sue caratteristiche strutturali e per i suoi annessi anche una destinazione ad uso esclusivo dell’autore dell’opera, costituisce alterazione della cosa comune – che è in tal modo sottratta al godimento collettivo – e perciò non può considerarsi insita nel diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell’ultimo piano (Cass. 4466/1997).
Le considerazioni che precedono evidenziano come non siano in alcun modo configurabili nella specie le condizioni per la declaratoria della cessazione della materia del contendere.
Con il sesto motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. nonchè contraddittorietà della sentenza in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., deduce che in presenza di giusti motivi, come era emerso nella specie, il giudice avrebbe dovuto compensare le spese processuali.
La censura è infondata.
In considerazione della soccombenza giudici, facendo corretta applicazione dell’art. 91 c.p.c., hanno posto le spese processuali a carico dell’A.: d’altra parte, il potere di compensare le spese è riservato al prudente apprezzamento del giudice di merito e, come tale, non è sindacabile in sede di legittimità se non per illogicità o contraddittorietà della motivazione, ove siano indicate le ragioni poste a base della relativa statuizione.
Il ricorso va rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente, risultato soccombente, a favore dei resistenti costituiti;
deve, invece, escludersi l’onorario per la discussione orale a favore del difensore di Q. L., il quale, come sopra accennatola depositato all’udienza di discussione atto "di costituzione per la discussione orale"contenente procura in calce al riguardo rilasciata al difensore. In assenza di controricorso, la procura speciale per la partecipazione alla discussione orale deve essere conferita, ai sensi dell’art. 83 secondo comma c.p.c., con atto pubblico o scrittura privata autenticata e non può essere validamente apposta in calce a (o a margine di) un atto di costituzione per la discussione, trattandosi di atto che esula dalla previsione normativa di cui al terzo comma dell’art. 83 c.p.c. ed è estraneo al sistema processuale disegnato dal legislatore per il giudizio di Cassazione (Cass. 3602/2003/12422/2001).

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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