OBBLIGAZIONI E CONTRATTI
Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
Svolgimento del processo
La s.n.c. P. di T. H. conveniva innanzi al tribunale di Milano la s.p.a. R. pubblicità ed, assumendo che aveva stipulato con la s.n.c. P., concessionaria di pubblicità della R., contratto per la pubblicazione congiunta di un avviso pluriredazionale ed un avviso pubblicitario sul Corriere della sera dall’1.11.1993 al 31.7.1994; che l’elenco delle date di pubblicazione consegnato unitamente al testo alla R. dalla s.r.l. G. C., agenzia pubblicitaria della P., non era stato rispettato e la pubblicità era stata bruscamente interrotta dopo il 14.12.1993, chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento della società convenuta e la condanna della stessa al risarcimento dei danni (lire 1.600.000.000).
Instauratosi il contraddittorio, la società convenuta si opponeva alla domanda, sostenendo che gli accordi della P. non la impegnavano; proponeva domanda riconvenzionale di condanna della società attrice al pagamento di lire 49.123.2000 a titolo di corrispettivo di pubblicità effettuata a favore della detta società a richiesta della P..
Il processo, interrotto per l’incorporazione della R. nella R. editori, era riassunto nei confronti di quest’ultima società.
Il tribunale rigettava sia la domanda principale che quella riconvenzionale; la corte di appello di Milano con sentenza resa il 5.7.2000 rigettava i gravami delle parti, osservando che si doveva ritenere che "anche per il 1993 sia effettivamente intercorso tra le parti un rapporto contrattuale, non cristallizzato in formule particolari, del resto non necessarie, che ebbe regolare esecuzione fino ad un certo momento, salvo poi ad essere bruscamente troncato per iniziativa unilaterale della R."; che, tuttavia, la P. non aveva in alcun modo dimostrato l’entità dei danni lamentati, a questo fine non valendo la prova testimoniale richiesta per dimostrare la contrazione della vendita dei tappeti; che tanto "esime il collegio dal soffermarsi sulla gravita dell’inadempimento della R. all’obbligazione contrattualmente assunta verso la P. al fine di pervenire all’eventuale declaratoria di risoluzione del contratto per colpa della R."; che l’impugnazione incidentale era tardiva.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la s.p.a.
P., affidandone l’accoglimento ad un motivo sostenuto con memoria;
la società intimata ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 c.c. e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, nn. 3, 4 e 5, stesso codice, la società ricorrente in buona sostanza lamenta che la corte di merito abbia omesso di pronunciare sulla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento ed abbia ritenuto che non siano stati provati i danni lamentati senza esaminare la documentazione prodotta ed assumere la prova testimoniale intesa a dimostrarne l’esistenza.
Le censure che vengono, pertanto, mosse alla corte di merito sono due: una è di omessa pronuncia; l’altra di insufficiente motivazione.
Con riferimento alla prima censura va rilevato che la corte di merito, dopo avere riconosciuto che il contratto di pubblicità è stato in effetti concluso ed avere ravvisato inadempimento della RAS, ha tuttavia affermato di non doversi occupare della questione della gravita dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto in quanto non è stata offerta la prova dell’esistenza dei danni ed, in altri termini, ha ritenuto di non potere pronunciare sulla domanda di risoluzione, essendo mancata la prova dei danni.
Pare, perciò, evidente che secondo la corte di merito tra la domanda di risoluzione del contratto e quella di risarcimento dei danni dipendenti dall’inadempimento esiste un rapporto di natura tale che la mancanza di prova dei danni impedisce di pronunciare sulla domanda di risoluzione.
Ora, per giurisprudenza di questa Cortesia domanda di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione in quanto l’art. 1453 c.c., con il fare comunque salvo il risarcimento del danno, esclude che la domanda risarcitoria presupponga il necessario esperimento di quella risolutoria (ex plurimis Cass. 23.7.2002, n. 10741).
Secondo un orientamento giurisprudenziale tra le due domande esiste un rapporto di accessorietà che, ai sensi dell’art. 31 c.p.c., determina la "vis attractiva" a favore del giudice competente per la domanda di risoluzione in quanto la domanda di risarcimento del danno da inadempimento, pur essendo autonoma, trova il suo titolo e la sua ragione giustificatrice nella risoluzione (Cass. 18.3.2003, n. 4007);
secondo altro orientamento, invece, la domanda risarcitoria non è accessoria rispetto a quella di risoluzione perchè la decisione dell’una non presuppone, per correlazione logico – giuridica, la decisione dell’altra, essendo le due domande autonome tra loro, anche se presupposto di entrambe è l’accertamento dell’inadempimento che, tuttavia, incide in modo differente nel senso che deve essere di non scarsa importanza per produrre la risoluzione e funge soltanto da parametro di valutazione con riferimento alla domanda risarcitoria (Cass. 14.12.2000, n. 15779).
E’ stato ritenuto che, se tra due domande esiste un rapporto di accessorietà, il rigetto esplicito dell’una comporta il rigetto implicito dell’altra (Cass. 1.2.1993, n. 1191; Cass. 7.8.1990, n. 7953).
Nel caso delle domande di risoluzione del contratto per inadempimento e di risarcimento del danno il rapporto di accessorietà sarebbe, comunque, unidirezionale nel senso che la pronuncia concernente la risoluzione incide su quella relativa al risarcimento e non viceversa, come è reso evidente dal fatto che il risarcimento rappresenta uno degli effetti della risoluzione.
In conclusione, va affermato che, ove siano congiuntamente proposte la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e la domanda di risarcimento dei danni, il giudice è tenuto a pronunciare, in ogni caso, sulla prima domanda e, solo se la rigetta, può ritenersi esonerato dal pronunciare espressamente sull’altra, dovendosi la medesima considerare implicitamente rigettata.
Ai principi sopra esposti non è conforme la sentenza impugnata, ond’è che va cassata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Milano affinchè pronunci sulla domanda di risoluzione del contratto; il giudice di rinvio è incaricato di provvedere sulle spese del giudizio di Cassazione.
L’altra censura è inammissibile in quanto la società ricorrente non ha riportato il contenuto dei documenti che non sarebbero stati valutati dalla corte di merito nè ha indicato i capitoli della prova testimoniale che essa non avrebbe ammesso in modo da consentire il necessario giudizio di decisorietà sulla base del solo ricorso e senza necessità di fare riferimento ad elementi estranei.
P. Q. M.
la Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della corte di appello di Milano.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 9 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2005
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