Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Il Fallimento Imar Costruzioni s.p.a. agiva in giudizio nei confronti di Sicilcassa s.r.l. in liquidazione coatta amministrativa, per ottenere la revoca L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2 del mandato all’incasso (e dei conseguenti pagamenti e/o atti di compensazione) conferito dalla società fallita alla Sicilcassa s.p.a. il 1 luglio 1994 con scrittura privata autenticata nella firma e la conseguente condanna alla restituzione dei pagamenti incassati dall’Istituto di credito il 3/10/1994, in forza della richiamata procura irrevocabile, per L.806.820.000.
Il Fallimento esponeva a riguardo che per ripianare i conti correnti intrattenuti presso la Sicilcassa, Imar Costruzioni s.p.a. in bonis aveva ceduto a questa il 21/4/1994 il credito vantato nei confronti dell’Anas, relativo al quarto certificato di pagamento del 5 Sal; che Sicilcassa, a cui Imar aveva conferito il 1/7/94 mandato irrevocabile all’incasso, avendo Anas comunicato di non potere adempiere al mandato di pagamento a causa del ritardo della notifica dell’atto di cessione, aveva provveduto ad incassare il 3/10/94 la somma di L. 806.820.000, versandola in pari data sui conti correnti intrattenuti da Imar.
Sicilacassa in l.c.a. sì costituiva, eccepiva l’improcedibilità D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 83 e la prescrizione del diritto e nel merito, l’infondatezza della domanda.
Il Tribunale, con sentenza 15-16/6/2004, revocava il pagamento effettuato da Anas il 3/10/94 ed incassato da Sicilcassa per conto di Imar, mentre dichiarava improcedibile la domanda di condanna alla restituzione delle relative somme.
La Corte d’appello, con sentenza 5-3/28/4/2010, in accoglimento dell’appello avanzato da Sicilcassa in l.c.a., respingeva la domanda di revoca del pagamento di Euro 416.687,80 e condannava il Fallimento alla metà delle spese processuali di primo grado, compensate nel resto, nonchè al pagamento delle spese del secondo grado.
La Corte del merito, premesso che la cessione di credito del 21/4/1994, espressamente definita pro solvendo, aveva ad oggetto "il credito di L. 827.288.000 che la società cedente ha in virtù del seguente mandato di pagamento: ANAS… certificato n. 4 per il pagamento della quarta rata di acconto a fronte del quinto stato di avanzamento lavori…", mentre con l’atto in data 1/7/1994, Imar aveva costituito in modo irrevocabile procuratrice speciale Sicilcassa "all’oggetto di riscuotere in nome e per conto della anzidetta società il credito di L. 809.200.000 da quest’ultima vantato nei confronti dell’ANAS a fronte del quinto certificato relativo ai lavori urgenti…", ha rilevato che il Tribunale aveva erroneamente considerato come unica operazione sia la cessione di credito che il mandato all’incasso, senza verificare in particolare se i conti correnti della Imar, all’atto della rimessa, presentassero scoperture, ovvero un saldo meramente passivo; che nessuna prova aveva fornito la Curatela sulla natura solutoria ed in che parte dei versamenti, tale non potendosi ritenere le "veline nota di conto corrente" e la fotocopia di una pagina del libro giornale della società fallita, nè poteva ritenersi tardiva la contestazione della Sicilcassa sulle passività maturate sui conti in oggetto, essendosi limitata l’appellante a contestare la decisione del Tribunale basata sull’assenza di prova, il cui onere gravava sulla Curatela.
Propone ricorso il Fallimento, sulla base di cinque motivi.
Sicilcassa s.p.a. in l.c.a. ha depositato controricorso. Il Fallimento ha depositato la memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1.1.- Con il primo motivo, il Fallimento denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, nonchè vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione alla qualificazione della domanda ed ai presupposti dell’azione.
Il ricorrente fa presente che nè la propria domanda nè la sentenza di primo grado si riferiscono alla cessione di credito, peraltro mai perfezionatasi, valutata dalla Corte del merito, ed il rimedio azionato non è quello di cui alla L. Fall., art. 67, comma 2, bensì l’azione data L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2. 1.2.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa e applicazione della L. Fall., art. 67, nonchè vizio di motivazione su fatto controverso e decisivo della controversia.
Secondo la parte, la cessione di credito è stata allegata quale fatto storico, per dimostrare la natura anomala dell’atto impugnato in revocatoria, ma la revocabilità andava valutata con riferimento al mandato irrevocabile all’incasso, nel caso concretante una forma assimilabile alla cessione di credito, e non già alle rimesse isolatamente considerate.
1.3.- Con il terzo motivo, il Fallimento si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1264, 1265, 1362, 1363 e 1723 c.c., della L. Fall., art. 67, comma 2, e del vizio di motivazione: la pronuncia impugnata è viziata dall’erroneo postulato secondo cui non sarebbe revocabile l’atto di conferimento di mandato irrevocabile all’incasso, distinguendosi con ciò dalla cessione di credito, potendosi unicamente appuntare la revoca alle rimesse correlate all’esecuzione del mandato, e nessuna motivazione è stata resa per smentire quanto accertato dal Tribunale in ordine all’assimilabilità sostanziale ed alla sovrapponibilità del mandato in rem propriam alla cessione di credito, quanto all’effetto voluto dalle parti.
Nella specie, continua il ricorrente, è del tutto chiara la funzione solutoria attribuita dalle parti al conferimento del mandato irrevocabile: l’atto di cessione di credito del 21/4/1994 era stato restituito, poichè l’Anas aveva provveduto al pagamento del 4 certificato di acconto all’Impresa Imar, il 1 luglio 1994, Imar rilasciava il mandato in oggetto, le relative somme venivano incassate il 3/10/94, come si ricava dalle distinte contabili, e confluivano nei conti (OMISSIS), ovvero quei medesimi rapporti citati nella precedente cessione di credito non perfezionatasi; dalle ricevute e,segnatamente, dalla dicitura riportata nella sezione "Note", si deduce che i due conti erano revocati, quindi i pagamenti hanno avuto funzione solutoria, resa palese dal tenore del mandato irrevocabile e dall’innegabile collegamento con il pregresso negozio di cessione, non eseguito solo a causa della tardività della notifica rispetto alla data di accredito delle somme di un precedente acconto per Sal.
1.4.- Con il quarto motivo, il Fallimento denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2728 c.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla conclusione della Corte del merito sull’onere probatorio, atteso che, per essere i pagamenti conseguenza dell’anormalità del mandato irrevocabile all’incasso,la prova della scientia decoctionis è presunta; comunque, gli elementi evidenziati forniscono chiaro riscontro della consapevolezza in capo all’accipiens dello stato di insolvenza in cui versava la società. 1.5.- Con il quinto motivo, il ricorrente censura la regolamentazione delle spese, per violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., quale conseguente alla cassazione della sentenza impugnata.
2.1.- I primi due motivi, da valutarsi congiuntamente in quanto strettamente collegati, sono da ritenersi infondati.
Il Giudice del merito, dopo avere evidenziato la confusione operata dal Tribunale tra la cessione di credito ed il mandato irrevocabile, tanto da fare riferimento alla "relativa somma", come se il mandato all’incasso si riferisse allo stesso importo della cessione, ha valutato la domanda del Fallimento, come intesa ad ottenere la revoca ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, dell’operazione complessiva costituita dal mandato irrevocabile all’incasso conferito alla Banca da Imar Costruzioni s.p.a. e dalle rimesse nei conti correnti delle somme incassate in forza del detto mandato, tant’è che ha valutato la revocabilità delle rimesse effettuate il 3/10/94, entro il biennio antecedente alla dichiarazione di fallimento, stante che il mandato all’incasso risaliva al 1/7/94 e la dichiarazione di fallimento al 29/4/96 (ove la Corte del merito avesse valutato la domanda come proposta ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, lo spazio temporale sarebbe stato evidentemente di un anno).
Tale impostazione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte.
E’ stato ripetutamente affermato, tra le ultime, nella pronuncia 13561/2009, che il mandato irrevocabile all’incasso, a differenza della cessione di credito, non trasferisce la titolarità del credito, che resta in capo al mandante, ma solo la legittimazione a riscuoterlo e la garanzia si realizza in forma empirica e di fatto, come conseguenza della disponibilità del credito verso il terzo e della prevista possibilità che, al momento dell’incasso, il mandatario trattenga le somme riscosse, soddisfacendo così il suo credito. (Cass. 1391/03; 10208/07; 5061/01; 6882/01).
Da ciò consegue che la revoca del mandato in rem propriam può consistere nella dichiarazione di inefficacia del solo negozio se ad esso non è conseguito alcun incasso da parte del mandatario. Se, invece, si è verificata questa ultima ipotesi, è evidente che alla dichiarazione di inefficacia consegue anche quella strettamente collegata dei pagamenti ottenuti tramite l’esecuzione del mandato.
Detti pagamenti costituiscono, infatti, una mera operazione materiale, compiuta dalla banca in esecuzione del mandato e volta ad acquisire materialmente le risorse finanziarie. (Cass. 21823/05)".
La Corte d’appello ha quindi richiamato il principio consolidato, espresso tra le ultime nella pronuncia 1060/2006, secondo cui "L’inclusione da parte di una banca nel conto corrente del cliente di somme ad essa rimesse da terzi, per effetto di mandato all’incasso (sia esso o non "in rem propriam") conferitole dal cliente medesimo, non realizza un’obbligazione autonoma della banca, "ex mandato" di rimettere al mandante le somme riscosse, ma, determinando, nell’ambito dell’unitario complesso rapporto di conto corrente, una variazione quantitativa del debito del correntista, non inquadrabile nello schema della compensazione legale che presuppone l’autonomia delle reciproche obbligazioni, configura secondo l’intento pratico perseguito dalle parti, o un atto ripristinatorio della disponibilità del correntista, ovvero un atto direttamente solutorio delle somme mutuate dalla banca al cliente ed addebitate nel conto, con la conseguenza, in questa seconda ipotesi, che, sopravvenuto il fallimento del correntista, quelle rimesse, in quanto atti estintivi di debiti, sono assoggettabili a revocatoria, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2", e ha rilevato come nel caso non fosse stata effettuata dal Tribunale la specifica indagine sui conti correnti sui quali erano stati effettuati i versamenti delle somme riscosse in base alla procura all’incasso, se presentassero una scopertura o un saldo meramente passivo, svolgendo pertanto una funzione meramente ripristinatoria della provvista e non solutoria.
Pertanto, la Corte palermitana non ha affatto affermato l’irrevocabilità del mandato, ma ha verificato la sussistenza del presupposto oggettivo della revocatoria, ovvero il carattere solutorio dei versamenti sui conti correnti delle somme riscosse in base alla procura all’incasso. Così in particolare, ha verificato se risultava provato dalla Curatela che i conti all’atto delle rimesse presentassero una scopertura, da cui la funzione solutoria di debito scaduto ed esigibile, ovvero un saldo meramente passivo, con funzione meramente ripristinatoria della provvista.
2.2.- Il terzo motivo è infondato.
La Corte del merito non ha affermato l’irrevocabilità del mandato all’incasso ed ha argomentato e motivato sulla differenza tra cessione di credito e mandato all’incasso; quanto alla funzione solutoria, la Corte del merito ha rilevato la carenza di prova da parte della Curatela, onerata della prova, che si era limitata a riferire che i versamenti in oggetto servivano "al fine di ripianare le eccedenze verificatesi sui conti…", non potendo rilevare a riguardo le "veline nota di conto corrente" e la fotocopia del libro giornale della società fallita.
A fronte di detti specifici rilievi, il Fallimento ricorrente ha inteso far valere il collegamento con la cessione di credito, pacificamente divenuto inefficace, il carattere irrevocabile del mandato, che evidentemente non ha alcun nesso causale con il fatto da provare, e la dicitura riportata nella sezione "Note" delle ricevute, da cui, secondo la parte," si deduce come ognuno dei due conti fosse "C/REVOCATO – RISCONTRARE AUTORIZZAZ. UFFICIO LEGALE" e con la causale "06 Incassi con add. in conto preaut." (pag. 13-14 del ricorso).
Al riguardo si deve rilevare che, anche a ritenere non valutato dalla Corte del merito detto elemento documentale, comunque inidoneo a provare l’effettiva esposizione debitoria della Imar Costruzioni, rimarrebbe ferma la conclusione in ordine alla mancata prova da parte della Curatela sul punto, da cui l’impossibilità dì stabilire la natura solutoria ed in quali limiti, dei versamenti di cui si discute.
2.3.- Il quarto motivo è inammissibile.
Va a riguardo rilevato che il Fallimento ricorrente si duole dell’inversione dell’onere della prova in relazione al requisito soggettivo della, revocatoria, mentre il Giudice del merito non ha affatto argomentato sotto tale profilo, ma come, si è detto sopra, ha verificato, escludendolo, il presupposto oggettivo della revocatoria.
2.4.- Il quinto motivo sulle spese, non autonomo, è assorbito dalla reiezione degli altri motivi.
3.1.- Conclusivamente, il ricorso va respinto ed il Fallimento va condannato alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna il Fallimento al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 5200,00, di cui Euro 200,00 per spese; oltre spese generali ed accessori di legge.
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