Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-09-2011) 11-11-2011, n. 41012

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 29 novembre 2010 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza emessa il 4 maggio 2009 dal Tribunale di Milano con la quale D.C.d.V.F. e C.E. erano stati dichiarati colpevoli del reato di concorso in truffa, commesso in (OMISSIS), ed erano stati condannati alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 500,00 di multa ciascuno nonchè in solido al risarcimento dei danni, da liquidarsi in sede civile, e alla rifusione delle spese in favore della parte civile Z.F.G.D. (nella qualità di coerede di Z.G.), cui veniva assegnata una provvisionale di Euro 3.000,00.

Il D.C.d.V. e il C., il primo amministratore unico della Mediatika s.r.l. dall’aprile 2003 e il secondo presentato quale dipendente della stessa società, avrebbero -secondo la tesi accusatoria, ritenuta fondata dal giudice di merito- indotto l’avvocato Z.G., poi deceduto, a locare un appartamento, destinato ad essere occupato dal C., alla società Mediatika, di cui era stata accreditata (anche dall’inconsapevole avvocato Bosi, che aveva partecipato alle trattative nella qualità di legale del D.C.d.V.) la solidità economica. L’impegno della società locataria a prestare una fideiussione bancaria entro trenta giorni, con la previsione della risoluzione del contratto in caso di mancato adempimento, non era stato tuttavia mai rispettato e l’assegno versato in pagamento del primo canone di locazione era risultato di provenienza furtiva, mentre il C. era rimasto nel possesso dell’immobile per circa un anno e il proprietario non aveva recuperato alcuna somma essendosi il D.C.d.V. reso irreperibile ed essendo stata la Mediatika s.r.l. dichiarata fallita nel maggio 2003.

Avverso la predetta sentenza l’imputato D.C.d.V. ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) l’omessa motivazione con riferimento all’elemento soggettivo del reato; il giudice di appello si sarebbe infatti limitato a richiamare la motivazione del giudice di primo grado nella sua integralità, pur essendo state poste in evidenza con l’appello la rilevanza meramente civilistica della condotta dell’imputato e la carenza di prova in ordine al proposito fraudolento;

2) l’omessa motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena senza l’indicazione specifica dei precedenti penali dell’imputato che avrebbero impedito – anche attraverso il cumulo, previsto dall’art. 164 c.p., della pena da infliggere con quella irrogata con precedente condanna- l’applicazione del beneficio;

3) il travisamento dei fatti e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento agli artifizi e raggiri poichè non si sarebbe tenuto conto che la società Mediatika di cui era stata accreditata la solidità economica aveva subito, successivamente alla stipula del contratto di locazione, un imprevedibile tracollo economico;

4) l’errata applicazione della legge penale in quanto i fatti oggetto dell’imputazione integrerebbero un mero inadempimento contrattuale, mentre il giudice di appello si era limitato ad escludere la buona fede dell’imputato.

Il ricorso è inammissibile.

Le doglianze espresse con il terzo e il quarto motivo – riguardanti la pretesa impossibilità di ravvisare nella condotta del ricorrente artifizi e raggiri e, comunque, l’esclusione, in mancanza del precostituito proposito fraudolento, di profili di rilevanza penale nella vicenda oggetto del presente processo – precedono logicamente le ulteriori censure difensive. La Corte osserva al riguardo che il giudice di appello legittimamente si è riportato integralmente, per relationem, alla motivazione del giudice di primo grado nella quale, in maniera dettagliata e puntuale, gli artifizi e raggiri erano stati individuati nel fatto che l’imputato D.C.d.V. aveva falsamente rappresentato la solidità economica della Mediatika s.r.l. (prossima al fallimento), la necessità di locare l’appartamento di proprietà dell’avvocato Z. per esigenze operative della società e gli effettivi rapporti con la società del C. (presentato come un dipendente) e, inoltre, aveva assunto l’obbligazione contrattuale del versamento anticipato dei canoni e della presentazione di una fideiussione (che non era stata mai nemmeno richiesta) a garanzia dell’adempimento, tutto ciò avvalendosi dell’intervento dell’inconsapevole avv. Bosi (professionista qualificato e conosciuto dalla persona offesa) per avvalorare le sue dichiarazioni e determinare la volontà della persona offesa. Quanto all’affermazione difensiva circa l’imprevedibilità del tracollo economico della Mediatika s.r.l. il giudice di primo grado aveva posto in evidenza che era stato lo stesso D.C.d.V. a precisare di aver assunto la carica di amministratore alla fine di aprile del 2003 e che già a metà maggio (in coincidenza con la stipula del contratto di locazione) la società era in gravi difficoltà economiche per il mancato pagamento di alcuni crediti, tanto da essere dichiarata fallita poco tempo dopo, concludendo che la società era servita "solamente a presentare un’immagine non veritiera al locatore e a ottenere la stipula del contratto sulla falsa assicurazione del pronto deposito di una garanzia che non è stata neppure mai richiesta dal D.C.d.

V.". Il giudice di merito ha quindi escluso, utilizzando argomentazioni del tutto plausibili dal punto di vista logico ed esprimendo valutazioni giuridicamente corrette, che nel caso in esame potesse ravvisarsi solo un inadempimento contrattuale, ponendo in luce che anche il mendacio (nel caso in esame vertente sulle plurime circostanze sopra indicate, che avevano indotto nella persona offesa l’erronea convinzione di contrattare con persone affidabili e in grado di adempiere gli obblighi contrattuali) può integrare l’artifizio o il raggiro allorchè sia idoneo ad indurre in errore l’altro contraente.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte infatti la sola menzogna è di per sè sufficiente ad integrare gli elementi costitutivi del delitto di truffa, costituendo una tipica forma di raggiro attraverso il quale si crea una suggestione tendente a convincere la persona offesa di una situazione che non ha riscontro nella realtà. (Cass sez. 3^ 10 novembre 1965 n. 3046, Poloni; Sez. 2^ 14 maggio 1982 n. 10206, De Tuglie; sez. feriale 2 settembre 2010 n. 42719, Dume Canales). Sul punto le doglianze riproducono pedissequamente gli argomenti prospettati nell’atto di appello, ai quali la Corte territoriale e il giudice di primo grado hanno dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera nè specificatamente contesta.

Il primo motivo, relativo all’omessa motivazione circa l’elemento soggettivo del reato di truffa, è generico perchè reiterativo dei motivi di appello e, comunque, manifestamente infondato in quanto la consapevolezza di porre in essere l’azione truffaldina da parte del ricorrente è stata correttamente desunta nella sentenza impugnata, con argomentazione specifica e logicamente coerente, avendo la Corte territoriale posto in evidenza che l’imputato D.C.d.V. era stato "protagonista attivo della falsa rappresentazione della realtà" e aveva accettato clausole contrattuali risolutive senza mai attivarsi per il loro adempimento (la prestazione della fideiussione, invano sollecitata anche dall’avv. Bosi), aggiungendo che il comune agire degli imputati (il C. aveva corrisposto a copertura del primo canone di locazione assegni di provenienza furtiva), "inevitabilmente concordato perchè rappresentativo di identici dati non veritieri e qualificato dalla ricercata collaborazione inconsapevole dell’avvocato Bosi", aveva consentito di accreditarsi come parte affidabile e ottenere la disponibilità dell’appartamento, a fronte di un impegno di pagamento solo apparentemente serio e garantito, comunque mai onorato. Il ricorso sul punto è fondato su una diversa lettura degli elementi di fatto posti a sostegno della decisione, la cui valutazione è tuttavia compito esclusivo del giudice di merito ed è incensurabile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione esaustivamente soddisfatto nella sentenza impugnata con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di responsabilità.

Il secondo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondato. Il giudice di appello ha ritenuto congrua la pena determinata dal giudice di primo grado, in considerazione "della significativa entità della vicenda e del danno cagionato, nonchè della personalità degli imputati", con una puntuale valutazione dei criteri indicati dall’art. 133 c.p.. Del resto allorchè la pena, come nel caso in esame, non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, l’obbligo motivazionale previsto dall’art. 125 c.p.p., comma 3, deve ritenersi assolto anche attraverso espressioni che manifestino sinteticamente il giudizio di congruità della pena o richiamino sommariamente i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 c.p. (Cass. sez. 6^ 12 giugno 2008 n. 35346, Bonarrigo; sez. 3^ 29 maggio 2007 n. 33773, Ruggieri).

Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è stato giustificato in maniera esauriente, attraverso il richiamo ai plurimi ed anche specifici precedenti penali dell’imputato. A questo riguardo la Corte osserva che la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Cass. sez. 6^ 28 ottobre 2010 n. 41365, Straface). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è quindi necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Cass. sez. 6^ 16 giugno 2010 n. 34364, Giovane).

Del tutto generico è, infine, il rilievo difensivo circa l’omessa indicazione degli specifici elementi ostativi all’applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Peraltro dalla motivazione della sentenza impugnata si desume che la Corte territoriale attraverso il richiamo ai precedenti penali, plurimi e specifici come contestualmente evidenziato, ha inteso escludere, con adeguata e precisa indicazione delle prevalenti ragioni ostative alla formulazione di un giudizio prognostico positivo (Cass. sez. 1^ 18 giugno 1992 n. 9693, Bocchetti), la previsione circa il ravvedimento dell’imputato che costituisce -indipendentemente dall’applicabilità in astratto del beneficio per effetto del cumulo con la pena irrogata con la precedente condanna, previsto dall’art. 164 c.p., u.c. – il presupposto imprescindibile, ai sensi del primo comma della stessa norma, per il riconoscimento del beneficio.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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