Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. – Con sentenza del 19 marzo 2004, il Tribunale di Torino – adito in riassunzione da C.A. a seguito della declaratoria di nullità, per mancata sottoscrizione, di una prima sentenza dello stesso Tribunale in data 8 settembre 1992 – dichiarava la nullità del contratto stipulato il 30 marzo 1989 tra i venditori G. P., P.M. e S.F. (poi deceduta nel corso del giudizio) e l’anzidetto C., acquirente, così disattendendo le domande proposte da quest’ultimo al fine di sentirsi dichiarare proprietario del terreno in Orbassano, a catasto alla P. 4454 (già 2131) F. 19 n. 212, nonchè delle particelle nn. 11 e 26 indicate in planimetria sottoscritta dalle parti, acquistati con l’anzidetta scrittura privata o, in subordine, per ottenere pronuncia di trasferimento della proprietà, a norma dell’art. 2932 cod. civ..
2. – Interposto gravame da parte del C., la Corte d’appello di Torino, con sentenza resa pubblica il 2 6 aprile 2006, nel confermare la decisione di primo grado, rigettava l’appello e condannava l’impugnante al pagamento delle spese del grado.
La Corte territoriale, premesso che non poteva più essere messa in discussione la qualificazione del contratto inter partes come contratto definitivo di compravendita, in assenza di doglianze sullo specifico punto da parte dell’appellante C., riaffermava le ragioni che avevano portato il primo giudice a dichiarare la nullità del negozio, risiedenti nella indeterminatezza ed indeterminabilità del suo oggetto e nell’assenza del certificato di destinazione urbanistica ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18.
Quanto al primo profilo, la sentenza di secondo grado rilevava che nessuna indicazione idonea ad individuare il terreno compravenduto emergeva dalla scrittura privata del marzo 1989; in ogni caso, pur a voler considerare la planimetria, peraltro sottoscritta soltanto dal C. e da P.G., come contestuale alla scrittura e integrante la stessa, anche tale documento era carente di indicazioni in ordine al Comune di ubicazione del terreno, ai dati catastali e/o ad altri criteri di individuazione del terreno oggetto della compravendita, non potendo, del resto, desumersi la sua identificazione da elementi esterni agli accordi scritti o dal comportamento delle parti, trattandosi di contratto a forma scritta richiesta ad substantiam.
Quanto al secondo profilo, la Corte d’appello rilevava che la mancanza del certificato di destinazione urbanistica era richiesto per tutti i contratti di compravendita, prescindendo dalla formalizzazione del negozio dinanzi al notaio e dal fatto che esista una situazione di fatto in ipotesi legittima in base alla normativa urbanistica ed edilizia vigente, non avendo rilievo, rispetto alla nullità del contratto concluso tra le parti il 30 marzo 1989, la produzione del documento in corso di giudizio, nè "la pretesa deroga prospettata dall’appellante, non essendo il terreno di cui si tratta pertinenziale ad altri immobili".
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino ha proposto ricorso C.A., affidando le sorti dell’impugnazione a quattro distinti ed articolati motivi.
Hanno resistito, con controricorso, P.G. e P. M., in proprio e quali eredi di S.F..
Entrambe le parti hanno depositato, in prossimità dell’udienza, memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. – Preliminarmente va disattesa l’eccezione, avanzata dai contro ricorrenti, di inammissibilità del ricorso per difetto del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 3. Essa, infatti, nel lamentare specificamente la mancata trascrizione del contenuto del contratto su cui si contende, evidenzia piuttosto una carenza afferente al citato art. 366, nn. 4 e 6, non potendo invece riconoscersi il vizio anzidetto nell’esposizione, sintetica ma intelligibile, della vicenda processuale operata con il ricorso.
2. – Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 1346 cod. civ., nonchè del vizio di motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5.
Contrariamente a quanto affermato dalla Corte dr appello, nella planimetria prodotta in forma integrale all’udienza del 22 maggio 1997, doc. n. 1 nel giudizio di riassunzione promosso da esso C. con comparsa dell’1 febbraio 1997, è indicato, nel frontespizio, "Comune di Orbassano PPE Zona R6 Nord" ed all’interno è delimitata l’area del PPE tra la Provinciale (OMISSIS) e la via (OMISSIS).
Di qui, la consistenza dei dedotti vizi, non avendo il giudice di secondo grado esaminato, o avendolo fatto in modo insufficiente, la predetta planimetria, rendendo una motivazione insufficiente e contraddittoria, che, in violazione dell’art. 1346 cod. civ., ha ritenuto indeterminato ed indeterminabile l’oggetto del contratto stipulato inter partes.
Il motivo si chiude con la formulazione del seguente quesito di diritto: "Dica l’Ecc.ma Corte adita se l’oggetto del contratto di compravendita possa ritenersi determinato e/o determinabile in presenza, quale documento allegato all’atto di compravendita, di una planimetria contenente l’indicazione del comune ove i terreni sono stati ubicati, i confini stradali e le particelle assegnate ai venditori in sede di lottizzazione stipulata con il comune stesso (nella specie le Particelle 11-26 del PPE Zona R6 Nord del Comune di Orbassano)".
2.1. – Il motivo è inammissibile.
Con esso, infatti, il ricorrente censura soltanto una delle rationes decidendi che sorreggono la decisione impugnata, dovendo così trovare applicazione nella specie il principio, consolidato (v., di recente, Cass., 6-L, 3 novembre 2011, n. 22753), per cui "ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza".
La doglianza del C. si concentra, infatti, sulla funzione asseritameli te determinativa del contenuto contrattuale della planimetria allegata alla scrittura privata, trascurando, però, la preliminare ragione giustificativa della sentenza della Corte d’appello, che ha ritenuto la nullità del contratto anzitutto perchè "nessuna indicazione idonea ad individuare il terreno di cui si discute e la sua ubicazione emerge dalla scrittura del 30.3.1989" "pag. 6 della sentenza). Su tale ratio decldendi non è speso argomento alcuno, tralasciando il ricorrente ogni riferimento diretto alla scrittura privata anzidetta e, segnatamente, al suo precipuo contenuto.
Del resto, la Corte territoriale non solo ha soffermato la propria attenzione sulla planimetria in aggiunta al dictum anzidetto, di per sè esaustivo, ma ne ha anche posto in risalto l’inidoneità a costituire documento validamente integrativo del contratto, venendo a considerarne la rilevanza soltanto in estremo subordine e anche in tale definitiva indagine ne ha evidenziato plurime carenze. Si legger infatti, sempre a p. 6 della sentenza, immediatamente dopo le affermazioni sopra trascritte: "ma, anche a voler considerare la planimetria sottoscritta dal C. e dal solo P. G. come contestuale alla scrittura (perchè allora le altre parti venditrici, sicuramente presenti, non l’hanno sottoscritta?) e parte scritta integrante della stessa, anche in detto documento non vi è indicazione alcuna del Comune cui si riferisce … nè dei dati catastali e/o di altri criteri di individuazione del terreno di cui fanno parte le porzioni ricavate e numerate in parziale progressione".
La censura del C. si esaurisce, tuttavia, nel rilevare che la planimetria (e ciò a prescindere dalle contestazioni delle controparti in ordine al documento su cui si fonda il ricorso, che si asserisce non esser quello utilizzato dal giudice d’appello) indica il Comune di ubicazione dei terreni e delimita l’area in cui gli stessi insistono, ma nulla dice sia in ordine alla carente sottoscrizione del documento da parte di tutti i contraenti, sia in riferimento alla riscontrata carenza dei dati catastali e di altri criteri identificativi dei beni compravenduti.
3. – Con il secondo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., nonchè vizio di motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5.
Si imputa alla sentenza della Corte territoriale di aver ritenuto la nullità per indeterminatezza del contratto di compravendita, senza però aver considerato, ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., la rilevanza del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, adducendo erroneamente l’irrilevanza di esso in quanto trattavasi, nella specie, di contratto richiedente la forma scritta ad substantiam. Violando l’anzidetta norma, il giudice d’appello avrebbe, quindi, omesso di valutare il comportamento delle parti, da reputarsi concludente ai fini dell’individuazione dell’oggetto contrattuale, consistito: nel versamento dell’acconto (di L. 10 milioni), successivamente alla stipula del negozio, da parte del C., accettato dai venditori ; nel pagamento, sempre da parte del C., degli oneri di urbanizzazione relativi alle particelle 11-26 del PPE Zona R6 Nord del Comune di Orbassano; nell’ammissione dei venditori della corrispondenza delle particelle anzidette ai lotti ad essi riservati nella convenzione di lottizzazione stipulata con il Comune di Orbassano; nelle congruenti risultanze della e.t.u. espletata in primo grado.
Il ricorrente, nel richiamare a sostegno del motivo anche talune pronunce di questa Corte (segnatamente: Cass., sez. 2^, 26 agosto 1985, n. 4526, Cass., sez. 2^, 5 giugno 1984, n. 3398 e Cass, sez. 1^, 15 luglio 1983, n. 4870), formula conclusivamente il seguente quesito di diritto: "Dica l’Ecc.ma Corte adita se l’art. 1362 c.c., che prevede per interpretare il contratto di indagare sulla comune intenzione dei contraenti valutando il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto, si applica in materia di trasferimenti immobiliari e nel caso di specie al contratto stipulato fra le parti il 30/3/1989".
3.1. – Il motivo è infondato quanto alla dedotta violazione di legge e inammissibile per il resto.
La statuizione impugnata è conforme, infatti, all’indirizzo (prevalente) della giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio intende ribadire, secondo cui l’oggetto del contratto per il quale è necessaria la forma scritta (come nella compravendita immobiliare) "può considerarsi determinabile, benchè non indicato specificamente, solo se sia con certezza individuabile in base agli elementi prestabiliti dalle parti nello stesso atto scritto, senza necessità di fare ricorso al comportamento successivo delle parti, dovendosi, quindi, escludere la possibilità di applicazione, per la determinazione dell’oggetto del contratto, della regola ermeneutica stabilita dall’art. 1362 cod. civ., comma 2, che consente di tenere conto, nella ricerca della comune intenzione dei contraenti, del comportamento di questi successivo alla conclusione del contratto" (così più di recente Cass., sez. 2^, 7 marzo 2011, n. 5385; v.
altresì, tra le tante, Cass., sez. 2^, 13 settembre 2004, n. 18361;
Cass., sez. 2^, 21 giugno 1999, n. 6214; Cass., sez. 3^, 2 giugno 1995, n. 6201).
Peraltro, l’orientamento invocato dal ricorrente (confortato anche da talune più recenti pronunce: Cass., sez. 2^, 7 giugno 2011, n. 12297; Cass., sez. 2^, 4 giugno 2002, n. 8080), ha cura di precisare che la valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., comma 2, "costituisce un criterio ermeneutico adottabile anche per i contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam …
in quanto diretto a chiarire la comune volontà consacrata nell’atto scritto, non ad evidenziare la formazione del consenso all’infuori dello scritto medesimo".
Sicchè, posto che entrambi gli orientamenti convergono sulla centralità dello scritto, in quanto assorbente forma espressiva del regolamento contrattuale sul quale le parti si sono accordate, la censura del C. rimane priva di consistenza anche sotto la luce da essa indicata, mancando il ricorrente – in violazione del principio di autosufficienza del ricorso – di esplicitare il contenuto della scrittura privata di compravendita stipulata Inter partes, e cioè dell’oggetto imprescindibile dell’operazione ermeneutica, rendendo in tal modo assolutamente evanescente la decisività dei fatti la cui omessa considerazione vizierebbe la sentenza impugnata.
4. – Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18, nonchè vizio di motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5.
Ad avviso del ricorrente, l’art. 18 citato prevederebbe l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica al contratto di compravendita immobiliare al fine di impedire la realizzazione di opere comportanti la trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici. La norma, dunque, non troverebbe applicazione al caso di specie – come invece statuito erroneamente dal giudice d’appello – posto che la vendita ha riguardato "terreni compresi nell’ambito del PEC, cioè del Piano Esecutivo Convenzionato già approvato dal Comune di Orbassano". Peraltro, la stessa L. n. 47 del 1985, art. 18, esclude la necessità del certificato anzidetto nel caso di terreni pertinenziali ad edifici censiti in catasto, ove la superficie dell’area pertinenziale sia inferiore a mq. 5000; deroga che avrebbe dovuto -trovare applicazione nella specie, posto che, "anche se non vi sono edifici, vi è però un’area regolarmente edificabile con – terreno pertinenziale agricolo di mq. 2440".
Il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto: "Dica l’Ecc.ma Corte adita se l’atto di trasferimento di terreni, cui non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica disposto dall’art. 18 della L. il/85, deve considerarsi valido nelle ipotesi in cui il terreno faccia parte del Piano Esecutivo Programmato del Comune e dunque rispetti, in base alle norme vigenti, gli strumenti urbanistici, che stabiliscono l’edificabilità dell’area".
5. – Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1424 2932 cod. civ. e art. 342 cod. proc. civ., nonchè vizio di motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5.
Sarebbe errata, secondo il ricorrente, l’affermazione resa in sentenza circa indiscutibilità della qualificazione del contratto del 30 marzo 1989 come contratto definitivo di compravendita, nonostante l’appellante avesse, in via subordinata, avanzato domanda ex art. 2932 cod. civ., per non aver l’appellante contestato la statuizione sul punto resa dal Tribunale in primo grado.
Invero, nella specie, non era in discussione la qualificazione del contratto, "che ben poteva ritenersi scrittura privata di vendita", bensì la mancata applicazione dell’art. 1424 cod. civ., sulla conversione del contratto nullo. La Corte d’appello avrebbe, infatti, omesso di motivare sulle ragioni "per cui non ha attribuito al contratto di vendita, se nullo, gli effetti del contratto preliminare, così come doveva fare in presenza della domanda subordinata dell’appellante", le cui ragioni erano state esposte nella conclusionale del 13 novembre 1995 nel primo procedimento d’appello e richiamate nella comparsa di riassunzione del 21 febbraio 1997 dinanzi al Tribunale di Torino, rilevandosi che, ove le parti "avessero conosciuto la nullità derivante dalla mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica, si sarebbero accordate per concludere un contratto preliminare, perfettamente adeguato agli scopi che si prefiggevano" Il ricorrente formula, in conclusione, il seguente quesito di diritto: " Dica l’Ecc.ma Corte adita se, in presenza della domanda subordinata ex art. 2932 c.c., possano/debbano, ex art. 1424 c.c., applicarsi al contratto, dichiarato nullo come compravendita, gli effetti del contratto preliminare di vendita, a nulla rilevando l’art. 342 c.p.c. erroneamente richiamato".
5.1. – I motivi possono essere esaminati congiuntamente, giacchè il relativo thema decidendum involge, in entrambi, la nullità del contratto per mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica, L. n. 47 del 1985, ex art. 18.
Essi sono inammissibili per sopravvenuto difetto di interesse correlato alla già ritenuta infondatezza (e inammissibilità) delle doglianze mosse alla statuizione della sentenza impugnata sulla nullità per indeterminatezza e indeterminabilità del contratto di compravendita oggetto di cognizione, posto che, stante la definitività di quest’ultima, le censure oggetto dei motivi ora in esame -concernenti l’ulteriore e concorrente ragione di nullità del contratto dichiarata dal giudice di merito, attinente alla violazione della L. n. 47 del 1985, art. 18 – non potrebbero comunque condurre alla cassazione della decisione stessa (v., tra le altre, Cass., sez. 3^, 14 febbraio 2012, n. 2108).
Ciò vale sia per il motivo che aggredisce direttamente la declaratoria di nullità anzidetta, sia per quello che concerne la pretesa conversione del contratto nullo in contratto preliminare di compravendita, posto che tale conversione è postulata unicamente in riferimento al vizio di omessa allegazione del certificato urbanistico. Del resto, in disparte la problematica sulla possibilità di convertire un contratto definitivo in contratto preliminare, la richiesta conversione non avrebbe potuto comunque riguardare l’altro vizio radicalmente invalidante la scrittura privata di compravendita in questione e cioè l’indeterminatezza e indeterminabilità del suo oggetto, non suscettibile, come tale, di far operare il meccanismo di cui all’art. 1424 cod. civ..
6. – Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente C.A. al pagamento, in favore dei resistenti P.G. e P. M., delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 8 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.