Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale Superiore delle acque pubbliche, con sentenza del 9 febbraio 2011 ha condannato la Regione Lombardia al risarcimento del danno in favore della s.p.a. AEM (in atto denominata A2A) concessionaria di un bacino idrico a fini di produzione di energia elettrica con successiva restituzione al fiume Adda per avere con le precedenti decisioni 102/2006 e 132/2007 annullato i provvedimenti della Regione che negli anni 2005 e 2006 avevano imposto alla società a causa di una stagione di particolare siccità, il rilascio di flussi d’acqua al fine di soddisfare le esigenze idriche delle utenze irrigue senza contemperare le opportune esigenze delle parti.
Ha liquidato il danno nella misura di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, comma 2 comunque non superiore alla media derivante dall’incremento economico da quest’ultima ottenuto nell’anno precedente ed in quello successivo a quelli in cui tali rilasci furono ordinati, osservando: a) che anche il TSAP in virtù del principio della concentrazione delle tutele doveva ritenersi titolare del potere giurisdizionale di provvedere in ordine alle domande risarcitorie derivanti dalla lesione di interessi legittimi; b) che dalle precedenti sentenze di annullamento si ricavava altresì la responsabilità della Regione che aveva favorito una sola categoria di utilizzatori senza tener conto degli accordi a suo tempo intercorsi con la concessionaria, nè delle esigenze di distribuzione su scala nazionale dell’energia elettrica devoluta al Consorzio (L. n. 36 del 1994, art. 30).
Per la cassazione della sentenza la Regione Lombardia ha proposto ricorso per 3 motivi; cui resiste la soc. A2A con controricorso.
Motivi della decisione
2. Con il primo motivo la Regione, deducendo violazione dell’art. 143 del T.U. sulle acque; L. n. 205 del 2000, art. 7 e art. 133 Cod. proc. amm. censura la sentenza impugnata per aver dichiarato la propria giurisdizione a conoscere della domanda della società al risarcimento del danno in seguito all’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti del 200I’e 2006, senza considerare: a) che tale potere non è attribuito al TSAP nè dall’art. 143 del T.U. sulle acque che ne limita il sindacato giurisdizionale all’annullamento dei provvedimenti amministrativi impugnati; nè tanto meno dalla L. n. 1031 del 1934, art. 7 (come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998 e dalla L. n. 205 del 2000) che tale potere ha devoluto esclusivamente ai TAR nell’ambito della loro giurisdizione di legittimità; b) d’altra parte il generale potere attribuito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7 al giudice amministrativo di liquidare anche il risarcimento del danno, riguarda esclusivamente le materie per le quali sono state introdotte specifiche fattispecie di giurisdizione esclusiva, perciò non estensibili a quelle in cui è prevista la sola giurisdizione di legittimità; c) la nuova normativa del codice del processo amministrativo non è applicabile al caso concreto sia perchè antecedente alla sua entrata in vigore, sia perchè l’art. 208 compie un rinvio fisso alle norme del Titolo 3^ del capo 2^ del T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato.
Tutte queste censure sono infondate.
Non è anzitutto esatto che l’art. 143 del T.U. sulle acque abbia inteso limitare la giurisdizione di legittimità del TSAP ai soli giudizi impugnatori ("ricorsi contro i provvedimenti definitivi"), escludendo le azioni di accertamento e quelle di condanna al risarcimento del danno: posto che la norma ha invece inteso definire l’ambito di detta giurisdizione del giudice specializzato circoscrivendola ai provvedimenti dell’amministrazione caratterizzati da incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche, nel senso che concorrano in concreto a disciplinare la gestione, l’esercizio delle opere idrauliche, i rapporti con i concessionari, oppure a determinare i modi di acquisto dei beni necessari all’esercizio e alla realizzazione delle opere stesse; o a stabilire o modificare la localizzazione di esse, o ad influire nella loro realizzazione mediante sospensione o revoca dei relativi provvedimenti (Cass., sez. un., 337/2003; 493/2000; 457/2000; 10934/1997; 9430/1997;
10826/1993). E perciò contrapponendola, per un verso, a quella del Tribunale regionale delle Acque che è organo (in primo grado) della giurisdizione ordinaria, cui i precedente art. 140 lett. c) attribuisce le controversie in cui si discuta in via diretta di diritti correlati alle derivazioni e utilizzazioni di acque pubbliche: a cominciare da quelli di utilizzazione di acque pubbliche, collegati alla gestione di opere idrauliche, nonchè i criteri di ripartizione degli oneri economici. E7per altro verso,alla giurisdizione del complesso TAR – Consiglio di Stato ricorrente per tutte le controversie che abbiano ad oggetto atti soltanto strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque pubbliche, quali esemplificativamente quelli compresi nei procedimenti ad evidenza pubblica volti alla concessione in appalto di opere relative alle acque pubbliche (Cass. sez. un. 14195/2005; 337/2003; 9424/1987), alle relative aggiudicazioni (Cass. 10826/1993), ed in genere concernenti la selezione degli aspiranti alla aggiudicazione dell’appalto o all’affidamento della concessione (sent. 10934/1997; 8054/1997; 7429/1987): posto che è assolutamente estranea a ciascuna di queste controversie la esigenza di tutela del regime delle acque pubbliche, ed in esse viene in rilievo esclusivamente l’interesse al rispetto delle norme di legge nelle procedure amministrative volte all’affidamento della concessione o dell’appalto.
Nessuna delle disposizioni dell’art. 143 si riferisce invece ai limiti interni della giurisdizione del TSAP, o ne limita i poteri alle azioni di impugnazione: menzionati invece, come ha rilevato la Corte Costituzionale, perchè il R.D. n. 1775 del 1933, ha disciplinato il rimedio in conformità al sistema – all’epoca vigente – dettato, per la giurisdizione generale di legittimità degli atti amministrativi, dal testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato (R.D. n. 1054 del 1924). Il quale, in quanto diretto a regolare una giurisdizione generale, non legata cioè ad una determinata materia, era considerato il prototipo del sistema di giustizia amministrativa, cui è stata uniformata anche la disciplina speciale, in materia di acque pubbliche: non ravvisandosi evidentemente, in ragione della sua specialità, alcuna ulteriore esigenza di differenziazione oltre quella che richiedeva la particolare competenza tecnica di un giudice (amministrativo) specializzato.
3. Nell’ambito di tale riparto delle giurisdizioni, l’impossibilità per il privato di ottenere dal TSAP una tutela diversa da quella dell’annullamento del provvedimento illegittimo derivava dunque non dall’art. 143 del T.U. citato, ma, per un verso, dalla inconfigurabilità della responsabilità civile della P.A. – attribuita per decenni da dottrina e giurisprudenza al precetto dell’art. 2043 cod. civ. – per il risarcimento dei danni derivanti ai soggetti privati dalla emanazione di atti o di provvedimenti amministrativi illegittimi, lesivi di situazioni di interesse legittimo; e per altro verso, dal limite posto alla giurisdizione del giudice amministrativo dal R.D. n. 1054 del 1924, art. 30 che anche nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva riservava "tuttavia, sempre… all’autorità giudiziaria ordinaria le questioni attinenti a diritti patrimoniali consequenziali alla pronunzia di legittimità dell’atto o provvedimento contro cui si ricorre". Con la conseguenza che, anche il concessionario di utenza idrica, divenuto per effetto dell’atto autorizzativo titolare di un diritto soggettivo alla fruizione della derivazione idrica, in presenza di un provvedimento autoritativo illegittimo "degradante" il suo diritto ad interesse legittimo (cfr. art. 43 del T.U.) doveva dapprima procedere all’impugnazione dell’atto davanti al Tribunale Superiore per ottenerne la preventiva caducazione; per poi richiedere al giudice ordinario,una volta ripristinato il suo diritto, la tutela risarcitoria in relazione ai danni prodotti dal provvedimento illegittimo (Cass. sez. un. 5210/1994; 13021/1997; 671/1971).
E’ poi noto che siffatto sistema c.d. della doppia tutela, sostanzialmente riproposto dalla Regione Lombardia, è venuto meno in conseguenza dell’indirizzo giurisprudenziale di queste Sezioni Unite, che ha avuto inizio con la sentenza 500/1999, per il quale anche la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può essere fonte di responsabilità aquiliana, e, quindi, dar luogo a risarcimento del danno postularle direttamente al giudice ordinario senza più la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento davanti al giudice amministrativo. E, d’altra parte, proprio in quegli anni dapprima il D.Lgs. n. 80 del 1998, artt. 33-35 poi recepiti nella L. 205 del 2000, art. 7 hanno dato attuazione alla delega contenuta nella L. n. 59 del 1997, art. 11, comma 4, lett. g), che aveva previsto la estensione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle concernenti il risarcimento dei danni, in materia di edilizia, urbanistica e servizi pubblici; istituendo altrettante ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Nella nuova normativa è stata quindi mantenuta la separazione di competenze tra il TAR – Consiglio di Stato da un lato ed il TSAP dall’altro nella materia urbanistica,in quanto il D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34 ha disposto (comma 3) che "nulla era innovato in ordine alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque: con tale formula significando non certamente che la cognizione di quest’ultimo giudice restava limitata all’annullamento dell’atto, che sarebbe stata priva di senso in una disposizione modificativa dei consueti criteri di riparto tra le giuridizioni ordinaria ed amministrativa ed attributiva nell’ambito di quest’ultima di una nuova materia di cognizione esclusiva per le ragioni appena esposte; ma che anche nell’ambito della neo materia urbanistica, significativamente devoluta "al giudice amministrativo" in tutte le sue articolazioni – e non soltanto al TAR – Consiglio di Stato – restava salva e quindi immutata quella del TSAP di cui al T.U. 1775 del 1933 nelle controversie riguardanti l’utilizzazione de demanio idrico ed incidenti comunque in maniera diretta e immediata sul regime delle acque inteso come regolamentazione del loro decorso e della loro utilizzazione (Cass. sez. un. 16798/2007).
Con la conseguenza che, a partire dal menzionato sistema normativo nella materia suddetta, allorchè ricorre taluna delle ipotesi previste dal ricordato art. 143 del T.U. in tema di tutela giurisdizionale intesa a far valere la responsabilità della P.A. da attività provvedimentale illegittima, la giurisdizione sulla tutela dell’interesse legittimo spetta al TSAP, sia quando il privato invochi la tutela di annullamento, sia quando insti per la tutela risarcitoria, in forma specifica o per equivalente, non potendo tali tecniche essere oggetto di separata e distinta considerazione ai fini della giurisdizione. E che, siccome deve escludersi la necessaria dipendenza del risarcimento dal previo annullamento dell’atto illegittimo e dannoso, al giudice suddetto può essere chiesta la tutela demolitoria e, insieme o successivamente, la tutela risarcitoria completiva, ma anche la sola tutela risarcitoria, senza che la parte debba in tal caso osservare il termine di decadenza pertinente all’azione di annullamento (Cass. sez. un. 13659/2006 e succ.).
L’unicità ed unitarietà di tale tutela è stata da ultimo ribadita dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 7, comma 5, il quale, pur mantenendo la distinta giurisdizione del TSAP nelle controversie già ricordate (art. 133, comma 1, lett. b ed f) nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e dall’art. 133, ha disposto che il giudice amministrativo – e, quindi anche il TSAP,come ha finito per riconoscere anche la Regione Lombardia – conosce pure delle domande di risarcimento del danno,posto che (comma 7) "il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione davanti a giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi" (Cass. sez. un. 25395/2010;
30254/2008).
4. Vero è che le controversie con cui la soc. A2A ha ottenuto l’annullamento dei provvedimenti illegittimi della Regione rientravano nella giurisdizione di legittimità del TSAP, e non in una delle fattispecie di giurisdizione esclusiva; e che in ordine a questa categoria la L. n. 1034 del 1971, art. 7, comma 2 come modificato dal ricordato L. n. 205 del 2000, art. 7 ha disposto che "Il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali": perciò riferendosi testualmente al solo TAR e non al giudice amministrativo in generale, come è avvenuto per le materie in cui è stata istituita la giurisdizione esclusiva.
Ma un limite siffatto alla tutela risarcitoria nella giurisdizione di sola legittimità, oltre alla conseguenza paradossale di escluderne lo stesso Consiglio di Stato, non menzionato, dalla relativa cognizione (in grado di appello), si pone in palese contrasto con la evidenziata finalità perseguita dalla Legge Delega n. 59 del 1997, nonchè con un’interpretazione sistematica delle innovazioni introdotte dalla L. n. 205 del 2000, art. 7 le quali palesano una decisa scelta del legislatore nel senso del superamento del tradizionale sistema del riparto della giurisdizione in riferimento alla dicotomia diritto soggettivo – interesse legittimo, a favore della previsione di un riparto affidato al criterio della materia e della eliminazione del sistema della doppia tutela.
E d’altra parte, tale dizione riduttiva è stata immediatamente corretta dal citato art. 7 cod. proc. amm., il quale ha stabilito in modo assolutamente esplicito ed inequivoco che "Sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma". Non senza considerare che il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto,come più volte rilevato dalla Corte Costituzionale e da queste Sezioni Unite, non costituisce sotto alcun profilo una nuova "materia" attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione; e soprattutto affonda le sue radici nella previsione dell’art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che anche il TSAP sia munito del relativo adeguato potere.
La competenza a conoscere delle domande di risarcimento del danno non costituisce del resto un novum nell’ambito della giurisdizione di detto giudice,addirittura preesistendo a quella attribuita al complesso TAR – Consiglio di Stato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, posto che il Tribunale Superiore è anche giudice di appello nelle controversie devolute, in primo grado alla cognizione dei Tribunali regionali delle acque:comprendenti ai sensi dell’art. 140 T.U. sulle acque le domande in relazione alle quali l’esistenza dei danni sia ricondotta alla esecuzione, alla manutenzione e al funzionamento di un’opera idraulica, o comunque alle scelte dell’amministrazione per la tutela di interessi generali correlati al regime delle acque. Per cui, non vi è più spazio al lume dei vari interventi che si sono susseguiti nella recente legislazione appena citata per mantenere e/o ripristinare il meccanismo ormai del tutto anacronistico della doppia tutela,peraltro nel solo settore della giurisdizione di legittimità spettante al TSAP, una volta che il legislatore ha ritenuto, in via generale, più confacente alle esigenze della tutela del cittadino, nei confronti degli atti amministrativi illegittimi, la possibilità di accesso diretto ed immediato alla tutela risarcitoria concentrandola nella medesima giurisdizione amministrativa senza la necessaria intermediazione, prima prevista, di quella preventiva demolitoria. E che detta tutela diretta, come ha avvertito la Corte Costituzionale, una volta ammessa nei confronti della generalità degli atti amministrativi, non potrebbe essere limitata per questa particolare categoria di atti, se non in presenza di una ragionevole giustificazione in ordine alla diversità di trattamento: posto che la specialità della materia, se può giustificare l’attribuzione ad un giudice specializzato – quale è il Tribunale superiore delle acque pubbliche, – del sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi concernenti la materia stessa, non giustifica invece una tutela giurisdizionale differenziata, quanto alle modalità ed ai contenuti, in presenza di situazioni soggettive di identica natura (sent. 42/1991; 190/1985; 284/1974).
5. Con il secondo motivo, la Regione Lombardia deducendo violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. censura la sentenza impugnata per non avere fornito alcuna risposta alle proprie contestazioni in merito alla sussistenza di un danno risarcibile in quanto: a) essendo tutte le acque pubbliche e la società A2A, soltanto un concessionario, la stessa non aveva alcun diritto soggettivo in relazione ai volumi di acqua pubblica trattenuta e neppure al miglior utilizzo di quelle non travasate; b) era soltanto titolare di un interesse pretensivo alla derivazione di determinati quantitativi di acqua nei suoi tre serbatoi, ma non anche di specifici volumi; che non risultano peraltro quantificati nel titolo concessorio; c) non vi era la prova che un esatto e corretto bilanciamento degli interessi avrebbe fatto prevalere quello della concessionaria a trattenere le acque a scapito degli interessi alla produzione agricola facenti capo agli utenti dell’Adda sub lacuale.
Con il terzo motivo, deducendo illogicità ed ulteriori difetti della motivazione, addebita alla decisione impugnata di non avere specificato le ragioni che inducevano a configurare la colpa di essa Regione, necessaria per integrare la fattispecie dell’art. 2043 cod. civ.: invece confusa con le condotte affette da parzialità che avevano indotto le precedenti decisioni del TSAP ad annullare i provvedimenti limitativi emessi nel luglio 2005 e 2006.
6. Queste censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, di cui la Regione non ha tenuto conto, nel settore dei provvedimenti concessori inerenti ad attività riservate al potere di disposizione e di governo dell’amministrazione, – siano essi di beni o di servizi – occorre scindere la posizione del privato a seconda che lo stesso aspiri ad ottenere la concessione; ovvero detto provvedimento abbia già ottenuto, pur se a seguito di una scelta autoritativa e discrezionale dell’amministrazione: posto che nel primo caso egli è titolare di un’istanza di sviluppo della sfera giuridica personale e patrimoniale ed il suo interesse al provvedimento favorevole assume la qualifica di pretensivo. Laddove, conseguito il provvedimento che ha attribuito alla sua situazione soggettiva un diverso spessore giuridico trasformandola in una posizione di diritto soggettivo, muta anche il suo interesse rispetto al bene che diviene quello di conservare la posizione soggettiva di vantaggio personale e patrimoniale acquisita ed assume la qualifica di "interesse oppositivo" o se si utilizza la terminologia di parte della dottrina, in un diritto condizionato ed affievolito. Con la conseguenza verificatasi nel caso concreto, che ove sia successivamente emesso un provvedimento compressivo del diritto suddetto, impugnato davanti al giudice amministrativo e dallo stesso caducato, l’interesse alla conservazione de bene per l’effetto retroattivo della pronuncia di annullamento, riacquista la sua originaria consistenza attribuitagli dalla stessa amministrazione e deve considerarsi come non mai affievolito, consentendo anche al concessionario il diritto di conseguire il ristoro dei danni derivanti da quell’atto illegittimo (Cass. sez. un. 2436/1997; 2691/1989).
In tal caso dunque il diritto al risarcimento del danno ha attuazione diversa occorrendo accertare soltanto se l’illegittima attività dell’Amministrazione abbia leso l’interesse alla conservazione di un bene o di una situazione di vantaggio, a differenza dell’ipotesi di interesse pretensivo, nella quale, concretandosi la lesione nel diniego o nella ritardata assunzione di un provvedimento amministrativo, occorre valutare a mezzo di un giudizio prognostico, da condurre in base alla normativa applicabile, la fondatezza o meno della richiesta della parte, onde stabilire se la medesima fosse titolare di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, o di una situazione che, secondo un criterio di normalità, era destinata ad un esito favorevole (Cass. 21170/2011; 2529/2009; 12455/2008;
2771/2007; sez. un. 500/1999).
A questi principi si è puntualmente attenuto il TSAP che, ritenuta la natura oppositiva dell’interesse della concessionaria alla conservazione della derivazione di acqua nella misura e consistenza attribuitale dalla concessione, illegittimamente compressa dai provvedimenti del luglio 2005 e 2006 della Regione, poi annullati dallo stesso Tribunale Superiore, ha perciò stesso condannato l’amministrazione concedente al risarcimento del danno: non senza accertare preventivamente,in conformità al principio ripetutamente accertato da questa Corte, l’esistenza della colpa in capo alla Regione, che della fattispecie di cui all’art. 2043 cod. civ. costituisce elemento costitutivo. La quale non è stata individuata affatto nella ritenuta illegittimità dei provvedimenti compressivi del luglio 2005 e 2006 ad opera della Regione da parte dello stesso TSAP; ma ravvisata in una serie di elementi che disvelavano un comportamento negligente, arbitrano ed inosservante delle leggi in capo all’amministrazione regionale la quale: a) aveva favorito una sola categoria di utilizzatori in base a criteri astratti ed incontrollabili; b) aveva violato il principio di proporzionalità e l’onere di leale collaborazione tra le parti anche nella valutazione dei dati sull’accumulo della risorsa offerte da queste ultime; c) aveva omesso di applicare la L. n. 36 del 1994, art. 30 che imponeva il coinvolgimento degli organi centrali idonei a stabilire il necessario raccordo tra i provvedimenti regionali e la distribuzione dell’energia su scala nazionale; d) non aveva valutato i riflessi dei suoi provvedimenti sulla produzione e distribuzione di energia elettrica su scaia nazionale; c)non aveva infine tenuto conto neppure degli accordi intercorsi tra la concessionaria ed il Consorzio dell’Adda che consentivano alla concessionaria di trattenere nei propri serbatoi proprio il quantitativo di acqua che gli illegittimi provvedimenti della Regione le avevano sottratto.
Trattasi all’evidenza di una motivazione articolata e logica del convincimento del Tribunale superiore in ordine alla esistenza di una serie di comportamenti colposi dell’amministrazione regionale,nessuno dei quali peraltro è stato revocato in dubbio dalla ricorrente; per cui non è riscontrabile, neppure, la mancanza od insufficienza di motivazione dalla stessa lamentata, mentre le diverse generiche valutazioni in fatto prospettate con la doglianza non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità, nel quale le valutazioni operate dal giudice del merito dei fatti e delle risultanze probatorie non sono censurabili, ove il convincimento dello stesso giudice sia – come nel caso di specie – sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici.
7. La sentenza impugnata si sottrae alla censura mossa dalla Regione anche in punto di criterio prescelto per la valutazione del danno cagionato alla società, essendosi il TSAP limitato ad applicare la disposizione del comma 2 del menzionato art. 7 della L. n. 205 del 2000 che consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine; e perciò ad invitare le parti a raggiungere un accordo al riguardo, indicando un tetto massimo non superabile costituito da un importo "non superiore alla media derivante all’incremento economico ottenuto dalla società nell’anno precedente ed in quello successivo a quelli in cui tali rilasci furono ordinati"; e neppur esso contestato dall’ente ricorrente.
Sicchè anche sotto questo profilo il ricorso deve essere respinto.
La novità delle questioni trattate in merito alla giurisdizione del TSAP sul risarcimento dei danno conseguente alla lesione di interessi legittimi, inducono il Collegio a dichiarare interamente compensate tra le parti le spese processuali.
P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso, e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012
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