Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 16 – 25.5.2007, rigettò gli appelli principale e incidentale proposti, nel contradditorio della Provincia Autonoma di Bolzano, dal Ministero della Pubblica Istruzione e da R. E. avverso la sentenza di prime cure che aveva:
– dichiarato l’inammissibilità della domanda, proposta datta R. relativa alla nullità del decreto di sospensione cautelare del servizio in data 30.11.2001 e di sospensione cautelare in data 10.12.2001;
– dichiarato la nullità del provvedimento) in data 29.8.2002, di dispensa della R. dal servizio di insegnante di ruolo di scuola elementare, limitatamente agli effetti retroattivi ivi previsti, ossia con decorrenza dal 13.7.2002, anzichè dalla sua data di emanazione;
– condannato le Amministrazioni convenute alla ricostituzione giuridica ed economica della posizione lavorativa della R. a far data dai 13.7.2002 e fino al 29.8.2002 e al pagamento delle somme illegittimamente non corrisposte in conseguenza del titolo dichiarato nullo, oltre rivalutazione e interessi legali nei limite di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36, con il restauro della posizione assicurativa e contributiva.
A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui specificamente rileva, la Corte territoriale ritenne quanto segue:
– andava disattesa l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata in grado d’appello dal Ministero – rimasto contumace in primo grado – posto che le domande svolte implicavano effetti destinati al soggetto da cui la ricorrente dipendeva, ossia appunto allo Stato; le questioni dedotte in giudizio implicavano valutazioni di fatto sulla effettiva natura e titolarità dei rapporto di lavoro, di cui non poteva tornarsi a discutere per le preclusioni determinatesi a seguito della contumacia del Ministero in primo grado; anche in punto di fatto il Ministero appellante aveva riconosciuto che, nonostante l’asserita delega della gestione operativa del personale della scuola, era rimasta ferma la dipendenza dalla Stato di tale personale;
– avendo la R. delimitato l’ambito del thema decidendum atte sole questioni formali dei provvedimenti oggetto di controversia e non essendo stata posta alcuna questione sulla loro fondatezza sostanziale, doveva rilevarsi, a conferma della declaratoria di inammissibilità della domanda relativa ai provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio, che la lavoratrice non aveva alcun interesse giuridicamente rilevante alla mera declaratoria dell’astratta illegittimità di tali provvedimenti; indipendentemente dalla dimostrazione dell’esistenza di riflessi sostanziali dai medesimi sulla sua posizione patrimoniale e di status: doveva in particolare ritenersi: la tardività e inammissibilità della prospettazione di un maggior avere in termini retributivi;
l’inammissibilità, per difetto di un minimo di giustificazione delle ragioni a supporto, dell’allegazione dell’esistenza di pregiudizi sotto il profilo dell’ostacolo a future partecipazioni a concorsi pubblici, comunque insussistenti stante la natura non disciplinare dei provvedimenti in questione; l’insussistenza del dedotto collegamento tra i ridetti provvedimenti di sospensione e il provvedimento di dispensa, posto che i primi costituiscono un semplice fatto storico, del tutto indipendente dalla loro legittimità formale, nell’ottica della valorizzazione della censura rivolta contro il secondo; la natura di mera petizione di principio, peraltro inintelligibile in difetto dell’allegazione dei fatti storici che ne costituiscono il sostrato, dell’allegazione secondo cui l’adozione dei provvedimenti di sospensione dal servizio (pure ammesso che questi fossero stati davvero illegittimi) avrebbe reso legittimo il suo rifiuto di sottoporsi alla visita medica collegiale;
l’impossibilità, stante l’omissione della ricostruzione degli antecedenti storici e processuali, di valutare se fosse astrattamente fondato l’assunto secondo cui anche la visita collegiale sarebbe stata illegittimamente disposta, con conseguente illegittimità derivata dei provvedimento di dispensa; – rilevato che doveva intendersi che la R. avesse riconosciuto la fondatezza della ricostruzione in chiave non disciplinare della natura del provvedimento di dispensa dal servizio, doveva considerarsi che:
il profilo dell’insufficienza del periodo di osservazione, che in tesi avrebbe dovuto essere non minore di un anno, aveva introdotto, contraddittoriamente all’assunto di voler limitare il thema decidendum agli aspetti formali dei provvedimenti, una questione valutativa di merito in ordine alla fondatezza del provvedimento di dispensa, senza peraltro che la censura esprimesse considerazioni alcuna delle ragioni per le quali il primo Giudice aveva disatteso gli argomenti svolti, con conseguente sua inammissibilità e senza che, comunque, l’assunto fosse fondato su un dato normativo o su principi generali desumibili dal sistema, bensì su massime della giurisprudenza di merito, in relazione alte quali il congruo accertamento di cui si parla non poteva costituire un mero elemento cronologico esatto e determinato, ma solo un criterio di valutazione del corretto esercizio del potere (del che l’autonoma limitazione frapposta dalla stessa parte appellante precludeva appunto che si discutesse);
non era dato intendere la rilevanza, ai fini in esame, della menzione della figura dell’Ispettore tecnico che sarebbe preposto alla funzione di controllo tecnico didattico secondo il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 397 nè perchè mai l’attività istruttoria del provvedimento avrebbe dovuto essere espletata da quello soltanto;
la censura inerente all’immediatezza della contestazione era totalmente inintelligibile, non essendo stati menzionati il dato normativo su cui la regola sarebbe stata fondata ed essendo stati i dati storici utili a consentire la valutazione della censura espressi in termini caotici e indeterminati;
anche in relazione alla immutabilità della contestazione non era stato precisato, alla luce della natura non cautelare del provvedimento di dispensa, quale regola presidiasse il principio di cui si era supposta la violazione;
la doglianza per la quale non sarebbe stato consentito alla lavoratrice l’accesso agli atti dei fascicolo era rimasta del tutto priva di supporto fattuale, non essendo stato detto in qual modo sarebbe stato negato il ridetto accesso al fascicolo, così come non era stata data la prova dell’assunto secondo cui due atti di speciale significato sarebbero stati nascosti; inoltre non era dato intendere in che termini i due atti avrebbero avuto rilevanza ai fini della soluzione della lite, sicchè la censura, oltre che infondata, era anche inammissibile;
del tutto generica era la censura relativa all’omessa indicazione di quale fosse stato l’organo che aveva accertato i fatti oggetto del provvedimento di dispensa, nè si comprendeva perchè tale organo avrebbe dovuto essere necessariamente ispettivo;
alla luce della normativa di riferimento e tenuto conto della natura non disciplinare del provvedimento di dispensa dal servizio, non vi era ragione di ritenere che il funzionario S. – cui competeva il ruolo di Capo dei personale – non avrebbe potuto partecipare ai lavori del consiglio scolastico provinciale ai fini dell’attività consultiva prevista dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 513 onde andava esclusa la dedotta violazione del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 112; nè l’appellante aveva allegato che il S. si fosse trovato in una delle situazioni per le quali la disciplina menzionata prevedeva l’incompatibilità; era infondata anche la censura secondo cui il S. (nella duplice veste di Capo del personale e di presidente del Consiglio scolastico provinciale) avrebbe omesso di osservare le regole di garanzia procedurali previste dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 111, anzitutto per l’estraneità della procedura de qua alla materia di rilevanza disciplinare; andava poi rilevato che, seguendo l’avviso espresso da una sentenza del Consiglio di Stato secondo cui talune garanzie tipiche del procedimento disciplinare, quali cadenzate dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, artt. 111 e 112, siccome fondate sulla esigenza di assicurare il contraddittorio, potevano trovare ingresso nella procedura di dispensa dal servizio nei soli limiti in cui apparivano rivolte a garantire al dipendente di intervenire nel procedimento, di prendere conoscenza degli atti e di fare sentire la proprie ragioni sia mediante osservazioni scritte che mediante la personale comparizione davanti all’organo deputato ad esprimere il proprio parere, doveva ritenersi, anche alla luce della documentazione prodotta in causa, che tutti gli obiettivi posti dall’ordinamento erano risultati in concreto rispettati (non emergendo che fosse stato frapposto alcuno specifico ostacolo alla conoscenza degli atti; essendo stata l’interessata avvisata dell’esistenza del procedimento amministrativo; avendo potuto produrre controdeduzioni scritte; essendo stata invitata a far pervenire osservazioni scritte al Consiglio del personale, nonchè a comparire personalmente innanzi al medesimo, facoltà di cui lalavoratrice non aveva inteso avvalersi).
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale R. E. ha proposto ricorso per cassazione, nei confronti della sola Provincia Autonoma di Bolzano, assistito da sette motivi.
L’intimata Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige ha resistito con controricorso.
Contro la medesima sentenza anche il Ministero della Pubblica Istruzione ha proposto ricorso per cassazione, nei confronti di R.E. e della Provincia Autonoma di Bolzano, assistito da tre motivi.
Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.
Con ordinanza del 27.10.2011 questa Corte, rilevato che il ricorso della R. era stato proposto e notificato soltanto nei confronti della Provincia Autonoma di Bolzano e non anche nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione, litisconsorte necessario, ha disposto affinchè la ricorrente provvedesse alta notifica del ricorso introduttivo.
Eseguita la notifica, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Va preliminarmente disposta fa riunione dei ricorsi siccome proposti avverso la medesima sentenza.
Seguendo il criterio dell’anteriorità della notificazione, il ricorso della R. va qualificato come principale e quello dei Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca come incidentale.
2. Con il primo motivo la ricorrente principale solleva questione di legittimità costituzionale, per eccesso di delega, ex art. 76 Costituzione, del D.Lgs. n. 434 del 1996, art. 10, comma 1, rispetto all’art. 19 dello Statuto d’Autonomia della Regione Trentino Alto Adige, assumendo che l’attribuzione di funzioni all’Intendente scolastico per le scuole di lingua tedesca, per quanto inerente alla materia della dispensa dal servizio, non rientra tra i provvedimenti contemplati dall’art. 19 dello Statuto d’Autonomia, che, proprio per il carattere tassativo dei provvedimenti contemplati, esclude la sua devoluzione anche con il meccanismo di cui all’art. 16, comma 3, del medesimo Statuto.
Il secondo, terzo, quarto e quinto motivo del ricorso principale ineriscono alle questioni relative ai provvedimenti di sospensione cautelare.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 506, nonchè vizio di motivazione, sotto il profilo che erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto che i provvedimenti de quibus non sarebbero stati impugnabili esclusivamente sub specie di eventuali vizi formali, senza presa di posizione rispetto al merito del medesimo provvedimento; in relazione al motivo è stato formulato il seguente quesito di diritto:
"1 – Il provvedimento di sospensione cautelare, previsto e disciplinato dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 506 è o no impugnabile dal lavoratore esclusivamente sub specie di eventuali vizi formali, che, in ipotesi, affliggono esso o la relativa procedura d’emissione, senza presa di posizione rispetto al merito del medesimo provvedimento?.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 506 e D.P.R. n. 3 del 1957, art. 92, nonchè vizio di motivazione, deducendo, con specifico riferimento al provvedimento sospensivo del 30.11.2001, che la sua illegittimità era in re ipsa, essendo stato adottato sino all’espletamento della visita collegiale e, perciò, a tempo indeterminato; la Corte territoriale aveva inoltre omesso di prendere posizione sugli aspetti di illegittimità e di intervenuta decadenza del provvedimento, in contemplazione dei quali essa ricorrente aveva spiegato le ragioni per cui aveva ritenuto di non doversi sottoporsi alla visita collegiale; al contempo la Corte territoriale aveva omesso di prendere posizione sulla questione relativa alla legittimità dell’ordine di sottoposizione a visita medico legate collegiale presso la ASL, laddove il medico competente di cui alla L. n. 626 del 1994 avrebbe potuto esprimere immediatamente un giudizio di inidoneità temporanea al servizio e fornire un indirizzo di carattere sanitario nella gestione e nel superamento dell’eventuale patologia; in relazione al motivo sono stati formulati i seguenti quesiti di diritto:
"2. – La funzione e la ratio dell’emissione della sospensione cautelare di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 506 è correlata ad ipotesi di condotte lesive dei doveri inerenti la funzione, con carattere di particolare gravità, ovvero la stessa può essere estesa a qualsiasi situazione ritenuta "urgente" dalla parte datoriale pubblica, quale sorta di strumento cautelare atipico senza rispetto di termini di durata? "3. – Può, in ogni caso, la sospensione cautelare essere finalizzata ovvero protratta, anche oltre i termini di legge, con richiesta di sottoposizione della docente a visita medica collegiale? "4. – in esito all’entrata in vigore della L. n. 626 del 1994, il controllo delle condizioni di salute del dipendente pubblico, anche ai fini delineati nei precedenti quesiti, è rimesso alle A.S.L., ovvero al medico competente di cui alla cennata legge?’.
Con il quarto motivo viene denunciata violazione del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 512 e D.P.R. n. 3 del 1957, art. 92, nonchè vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale non abbia ravvisato lo stretto collegamento esistente tra la sospensione cautelare e il provvedimento di dispensa dal servizio.
Con il quinto motivo, in ordine alla presunta carenza di diretto interesse all’annullamento della sospensione cautelare, viene denunciata violazione del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 512 e D.P.R. n. 3 del 1957, art. 92, nonchè vizio di motivazione, deducendo che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale:
la domanda relativa ai corrispettivi per rivalutazione ed indennità spettanti per il periodo di illegittima sospensione non era nuova, siccome contenuta nelle conclusioni del ricorso introduttivo di primo grado;
erroneamente la Corte territoriale aveva escluso che non sussistesse un interesse ad ottenere l’espunzione dal proprio curriculum professionale di un provvedimento (illegittimo) grave e serio come la sospensione cautelare, tanto più che non era stato avviato nel termine di legge il previsto procedimento disciplinare e, quindi, nessun provvedimento definitivo era stato emesso.
Il sesto e il settimo motivo de ricorso principale ineriscono alle questioni relative al provvedimento di dispensa dal servizio.
Con il sesto motivo vengono denunciati vizi di violazione di legge e di motivazione, deducendo l’applicabilità del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 111 e 112 e T.U. n. 417 del 1974, art. 4 e lamentando l’assenza nel provvedimento impugnato di presa di posizione al riguardo; in relazione al motivo sono stati formulati i seguenti quesiti di diritto:
"5. – Al procedimento di dispensa per incapacità didattica si applicano o no le garanzie previste dalla legge per un ordinario procedimento disciplinare? "6. – In ipotesi di risposta parzialmente negativa al precedente quesito quali di queste residuali garanzie devono, comunque, essere rispettate e garantite al lavoratore sottoposto a procedimento di dispensa per incapacità? "7. – Sono o meno applicabili, nel dettaglio le garanzie contenute nel D.P.R. n. 3 del 1957, art. 111 (Atti preliminari al giudizio disciplinare), nel D.P.R. n. 3 del 1957, art. 112 (Modalità per la trattazione orale e per la deliberazione della Commissione di disciplina) ed infine nel T.U. n. 417 del 1974, art. 4 (Funzione ispettiva), oggi D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 397?".
Con il settimo motivo, denunciando vizio di omessa motivazione su punti decisivi della controversia, la ricorrente principale deduce:
– quanto alla prova dell’incapacità, che l’attività ispettiva non era stata svolta dagli ispettori di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 397 bensì soltanto dalla direttrice didattica, si era svolta per non più di due mesi e appariva in conflitto con precedenti giudizi emessi nei confronti della medesima lavoratrice;
– quanto all’immediatezza della contestazione, che il DLgs. n. 165 del 2001, art. 71, comma 1, non aveva avuto l’effetto di eliminare, dal procedimento di dispensa, le garanzie di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 103, nè la contrattazione collettiva, stante il mancato riordino degli organi collegiali, poteva modificare le norme relative alle sanzioni previste per il personale docente (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69), cosicchè, per tale personale, deve ritenersi la permanenza in vigore del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 129 e D.P.R. n. 297 del 1994, art. 512; in diversa ipotesi la normativa presenterebbe caratteri di incostituzionalità per diversità ingiustificata di trattamento tra dipendenti pubblici del medesimo comparto scuola; erroneamente quindi la Corte territoriale aveva ritenuto come non esposto il delineato complesso quadro normativo di riferimento; considerando che essa ricorrente era stata allontanata dal lavoro sin dal 30.11.2001 e che il procedimento di dispensa era rimasta in fase di quiescenza sino al successivo 9.8.2001, doveva ritenersi che la contestazione definitiva era stata formulata solo a distanza di otto mesi e perciò non tempestivamente;
– quanto all’immutabilità della contestazione, doveva rilevarsi che nella nota di riavvio erano stati contestati nuovi e diversi addebiti e, in particolare, la mancata presentazione alle visite mediche collegiali, senza che la sentenza impugnata si fosse confrontata con tali temi;
– quanto alla violazione del diritto di accesso agli atti, la presa di posizione redatta dalla dirigente scolastica sulle controdeduzioni di essa ricorrente e il suo stato di servizio erano effettivamente stati nascosti, poichè la prima occasione in cui le era stato concesso di avere accesso agli atti del procedimento era stato solo allorchè, in una con la contestazione e la comunicazione di avvio della procedura di dispensa, la parte datoriale aveva inviato in allegato alcuni documenti, tanto che in data 21 agosto 2002 essa ricorrente aveva nuovamente richiesto, senza ottenere risposta di poter accedere agli atti;
– quanto alle competenze, erroneamente la Corte territoriale, omettendo di motivare sul punto, aveva ritenuto normale, stante la natura non disciplinare del procedimento di dispensa, che il funzionario S. nell’ambito di tale procedimento avesse assunto prima la veste di funzionario istruttore, agito in qualità di Capo del personale e presieduto il Consiglio scolastico provinciale emettendo il previsto parere, in violazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 112 e dell’art. 11 del Regolamento dei Consiglio scolastico provinciale di cui alla L.P. n. 24 del 1996.
Con il primo motivo il ricorrente incidentale Ministero della Pubblica Istruzione denuncia violazione del D.Lgs. n. 434 del 1996, artt. 1, 5, 7, 8 e 9, dolendosi che la Corte territoriale non abbia ritenuto configuratole, con riferimento ai provvedimenti adottati dagli organi della Provincia Autonoma di Bolzano nei confronti degli insegnanti delle scuole elementari, medie e secondarie, il difetto di legittimazione passiva di esso Ministero, atteso il carattere particolare con cui era stata disposta la cosiddetta provincializzazione della scuola, con la delega (ma, in realtà, trasferimento) delle attribuzioni alla Provincia Autonoma di Bolzano, posto che, stante l’ampiezza e la profondità dei trasferimento delle competenze amministrative e legislative, la stessa previsione dell’art. 1, secondo cui resta "ferma la dipendenza dallo Stato del personale insegnante", assumeva valore poco più che formale e costituiva "più che altro un rituale omaggio all’art. 19 dello Statuto di autonomia che, per l’appunto, reca tale formula e che non è modificabile attraverso una mera norma di attuazione; doveva quindi ritenersi che, a partire dal 1 gennaio 1996, vi era stata una vera e propria successione ex lege della Provincia rispetto all’amministrazione statale; non era quindi condivisibile l’assunto della Corte territoriale secondo cui la questione non sarebbe relativa alla legittimazione passiva in senso proprio, posto che, proprio in virtù delle norme regolatrici del rapporto, il Ministero non avrebbe potuto, neppure in astratto, venire in considerazione come legittimo contraddittore della R.; in relazione al motivo è stato formulato il seguente questo di diritto:
"Dica, pertanto, codesta Ecc.ma Corte di Cassazione se, alla luce del D.Lgs. n. 434 del 1996 – e segnatamente degli artt. 1, 5, 7, 8 e 9 che disciplina la cd. "provincializzazione" della scuola nella Provincia di Bolzano, il Ministero della Pubblica Istruzione difetta di legittimazione passiva in ordine alle controversie di lavoro proposte dal personale insegnante relativamente ad atti adottati, in materia di rapporto di lavoro, dagli organi della Provincia Autonoma di Bolzano e se, pertanto, il Ministero non può neppure in astratto venire in considerazione come parte nelle suddette controversie". Con il secondo motivo il ricorrente incidentale deduce violazione dell’art. 24 Cost., art. 2907 c.c., artt. 112, 171, 291, 339, 342, 345 434 e 437 c.p.c., deducendo in subordine che era stato comunque formulato "un apposito motivo di appello in ordine alla carenza di titolarità del rapporto sostanziale" in capo al Ministero della Pubblica Istruzione, in relazione al quale erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto la sussistenza di una preclusione determinatasi per la contumacia serbata in primo grado, non potendo ritenersi quest’ultima in ordine alla cognizione d questioni e valutazioni di fatto circa la "effettiva natura e titolarità del rapporto di lavoro", dovendo comunque l’attore fornire la prova della ricorrenza dei presupposti del diritto vantato e dovendo essere rilevato ex actis il difetto di una condizione di accoglibitità della domanda; in relazione al motivo è stato formulato il seguente quesito di diritto: "Dica, pertanto, codesta Ecc.ma Corte di Cassazione se a norma dell’art. 24 Cost., art. 2907 c.c., art. 112 c.p.c., artt. 171 e 291 c.p.c., artt. 339, 342, 345, 434 e 437 c.p.c., all’appellante sia precluso – per il solo fatto di essere rimasto contumace in primo grado – la facoltà di proporre appello, in generale, e, in modo particolare, di formulare censure avverso la sentenza di primo grado vertenti su valutazioni di fatto espresse dal primo giudice o implicanti la verifica di profili sostanziali della decisione impugnata (nella specie: relativi alla natura e alla titolarità del rapporto di lavoro per cui è causa)".
Con il terzo motivo il ricorrente incidentale denuncia ulteriormente violazione del D.Lgs. n. 434 del 1996, artt. 1, 5, 7, 8 e 9 e, ripercorrendo le argomentazioni in diritto svolte con il primo motivo, si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto una contraddittorietà tra l’asserita delega della gestione operativa e la dipendenza dallo Stato del personale della scuola; in relazione al motivo è stato formulato il seguente quesito di diritto:
"Dica, pertanto, codesta Ecc.ma Corte di Cassazione se, il D.Lgs. n. 434 del 1996 – e segnatamente degli artt. 1, 5,7, 8 e 9- che disciplina la cd. "provincializzazione" della scuola nella Provincia di Bolzano, è da interpretare nel senso che per effetto della "delega" ivi prevista, la titolarità del rapporto di lavoro con gli insegnanti delle scuole elementari, medie e secondarie è stata trasferita dal Ministero della Pubblica Istruzione alla Provincia Autonoma di Balzano e che, pertanto, alla medesima Provincia compete in via esclusiva la qualifica di datore di lavoro e che, dunque, su di essa devono ricadere tutte le connesse conseguenze derivanti dal rapporto".
3. Osserva preliminarmente la Corte che l’art. 366 bis c.p.c. è applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore (2.3.2006) del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (cfr, D.Lgs. n. 40 del 2006. art. 27, comma 2) e anteriormente al 4.7.2009 (data di entrata in vigore della L. n. 68 del 2009) e, quindi, anche al presente ricorso, atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 25.5.2007.
In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20360/2007), mentre la censura concernente l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo de) quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007). In particolare deve considerarsi che i quesito di diritto imposto dall’art. 366 bis c.p.c., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 11535/2008; 19892/2007).
Conseguentemente è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico (cfr, ex plurimis, Cass., SU, 20360/2007, cit.).
4. La disamina del ricorso incidentale del Ministero è logicamente prioritaria.
4.1 Il primo e il terzo motivo, tra loro strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente.
Contrariamente a quanto opinato dalla Corte territoriale, l’eccezione su cui le doglianze si fondano era ammissibile in grado d’appello, vertendo su questione in diritto, concernente le norme regolatrici del rapporto, rilevabile anche d’ufficio e non necessitante di allegazioni e accertamenti fattuali.
4.2. D.P.R. n. 670 del 1972, art. 19, comma 10 e 11, (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) prevedono rispettivamente che:
"Ferma restando la dipendenza dallo Stato del personale insegnante, sono devoluti all’intendente per la scuola in lingua tedesca e a quello per la scuola di cui al secondo comma, i provvedimenti in materia di trasferimento, congedo, aspettativa, sanzioni disciplinari fino alla sospensione per un mese dalla qualifica con privazione dello stipendio, relativi al personale insegnante delle scuole di rispettiva competenza.
"Contro i provvedimenti adottati dagli intendenti scolastici ai sensi del comma precedente è ammesso ricorso al Ministro per la pubblica istruzione che decide in via definitiva, sentito il parere del soprintendente scolastico".
A sua volta il D.Lgs. 24 luglio 1996, n. 434, art. 1 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige recanti modifiche ed integrazioni al D.P.R. 10 febbraio 1983, n. 89, concernente l’ordinamento scolastico in provincia di Bolzano) ha sostituito il D.P.R. n. 89 del 1983, art. 1, comma 2 disponendo che, "2. Ferma restando la dipendenza dallo Stato del personale insegnante – ispettivo, direttivo e docente – di ruolo e non di ruolo, le attribuzioni dell’amministrazione dello Stato in materia di stato giuridico ed economico del predetto personale, attualmente esercitate dai suoi organi centrali e periferici, sono delegate alla Provincia di Bolzano nell’osservanza delle norme del presente decreto. La provincia esercita le funzioni predette a far data dal 1 gennaio 1996".
4.3 In tale, per vero inequivoco, contesto normativo, anche di rango costituzionale, l’assunto del ricorrente incidentale secondo cui la previsione legislativa contenuta nel ridetto D.P.R. n. 89 del 1983, art. 1, comma 2, come sostituito dal D.Lgs. n. 434 del 1996, art. 1 "ferma la dipendenza dallo Stato del personale insegnante", assumerebbe "poco piò che valore formale" è apodittica e non scalfisce ciò che la norma stessa ribadisce, ossia che il personale insegnante nella provincia di Bolzano è dipendente statale; con il che, del resto, è pienamente coerente il disposto del D.P.R. n. 670 del 1972, art. 19, comma 11, che, come ricordato, prevede il ricorso al Ministro per la pubblica istruzione avverso i provvedimenti adottati dagli intendenti scolastici della provincia di Bolzano.
Ne consegue che il rapporto di lavoro, ancorchè pressochè interamente gestito dagli organi provinciali, si instaura con lo Stato, che è quindi legittimato passivo rispetto alle domande inerenti la cessazione di tale rapporto. Deve convenirsi quindi per l’infondatezza dei motivi all’esame.
4.4 Il secondo motivo, che presenta peraltro profili di inammissibilità, per violazione del principio di autosufficienza, non essendo stato riportato in ricorso il contenuto del motivo di appello asseritamente svolto in ordine alla carenza di titolarità del rapporto sostanziate, resta assorbito per effetto della inaccoglibilità delle altre censure. 5. L’eccezione di illegittimità costituzionale su cui si fonda il primo motivo del ricorso principale investe il D.Lgs. 24 luglio 1996, n. 434, art. 10, comma 1, a mente del quale, "Fino a quando non sarà diversamente disposto con legge provinciale, il sovrintendente scolastico, l’intendente per le scuole in lingua tedesca e l’intendente per le scuole delle località ladine, esercitano relativamente alle scuole di ogni ordine e grado nelle circoscrizioni di competenza, nel rispetto e in applicazione della normativa in materia di ordinamento scolastico provinciale le stesse attribuzioni che, a norma delle vigenti disposizioni, spettano ai provveditori agli studi ed ai sovrintendenti scolastici regionali. Nei confronti del personale direttivo e docente, di ruolo e non di ruolo, delle predette scuole, compreso il personale addetto all’insegnamento della seconda lingua nelle scuole elementari e secondarie, il sovrintendente e gli intendenti per le scuole in lingua tedesca e delle località ladine esercitano le stesse attribuzioni che sono deferite dalle leggi dello Stato ai provveditori agli studi ed ai sovrintendenti scolastici regionali. Gli ispettori scolastici dipendono dal sovrintendente o dall’intendente scolastico rispettivamente competente. I ricorsi proposti dal predetto personale avverso provvedimenti non definitivi adottati dal sovrintendente e dagli intendenti sono decisi dalla Giunta provinciale, su parere, ove previsto, del competente organo collegiale".
Osserva la Corte che gli artt. 16 e 19 dello Statuto di Autonomia della Regione Trentino-Alto Adige rivestono eguale valenza normativa, con la conseguenza che la mancata espressa previsione nel già ricordato art. 19, comma 10, della materia relativa alla dispensa dal servizio fra i provvedimenti per i quali è prevista l’attribuzione delle funzioni all’Intendente scolastico per le scuole di lingua tedesca non elide la disposizione generale di cui all’art. 16, comma 3, sulla potestà dello Stato di delegare alla Provincia di Bolzano "funzioni proprie della sua Amministrazione".
Ne discende quindi la manifesta infondatezza dell’eccezione svolta con il motivo all’esame.
6. Il secondo e il quinto motivo vanno esaminati congiuntamente, siccome fra loro connessi.
Come già diffusamente ricordato nello storico di lite, la sentenza impugnata afferma la ritenuta carenza di interesse giuridicamente rilevante alla mera declaratoria astratta di vizi formali dei provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio "indipendentemente dalla dimostrazione dell’esistenza di riflessi sostanziali che da detti provvedimenti derivano sulla sua posizione patrimoniale o di status"; non di meno la Corte territoriale passa a poi ad analizzare, escludendoli, tali eventuali riflessi sostanziali.
6.1 Il quinto motivo censura tali statuizioni, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione, ma omette di formulare sia il quesito di diritto che il momento di sintesi, risultando perciò inammissibile.
6.2 L’inammissibilità del predetto motivo determina l’assorbimento del secondo, peraltro sostanzialmente inconferente rispetto al contenuto effettivo della decisione impugnata, che, come detto, non esclude l’ammissibilità delle doglianze solo perchè limitate a presunti vizi formati, ma per l’evidenziata carenza di interesse, in concreto, di tali ragioni di doglianza; lo stesso quesito di diritto, così come formulato, non coglie del resto l’esatta portata del decisum e, come tale, non risponde all’esigenza di indicazione di una regula iuris idonea di per sè a decidere la questione.
7. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, siccome inerente a questioni non esaminate dalla Corte territoriale, essendo rimaste le stesse assorbite in conseguenza della ritenuta inammissibilità della domanda, ormai irretrattabile per effetto della inaccoglibilità delle censure già esaminate.
8. Considerazioni sostanzialmente analoghe valgono anche per il quarto motivo, in relazione al quale è peraltro preliminare il rilievo di inammissibilità per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., non essendo stati formulati nè il quesito di diritto, nè il momento di sintesi, pur essendo state svolte censure sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione.
9. Anche il sesto motivo presenta profili di inammissibilità per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., atteso che i quesiti svolti consistono in mere domande senza la formulazione di appropriate regulae iuris.
9.1 Per completezza di motivazione deve comunque rilevarsi l’infondatezza delle doglianze svolte.
La Corte territoriale ha ritenuto, sulla scorta della giurisprudenza amministrativa, che le disposizioni concernenti il differente procedimento disciplinare possono trovare ingresso nella procedura di cui qui si tratta nei soli limiti in cui appaiono rivolte a garantire al dipendente di intervenire nel procedimento, di prendere conoscenza degli atti e di fare sentire le proprie ragioni sia nella forma scritta delle osservazioni sia mediante comparizioni personale davanti all’organo deputato ad esprimere il proprio parere, e, con accertamento in fatto, ha poi motivatamente escluso che nella fattispecie le garanzie di difesa non fossero state in concreto osservate.
La decisione resa sul punto è condivisibile, atteso che l’estraneità della procedura di dispensa rispetto al procedimento disciplinare porta ad escludere la diretta applicabilità delle norme specificamente dettate per quest’ultimo, salva l’esigenza che il procedimento adottato garantisca effettivamente il necessario contraddittorio.
Ferme le assorbenti considerazioni che precedono, va poi rilevata l’inconferenza del richiamo, effettuato nel terzo quesito, al D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 111 e 112, trattandosi di norme non più applicabili (cfr D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 71, comma 1, in relazione all’Allegato A, paragrafo 6^, comma 1, lett. d)), e del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 397, che non contempla affatto l’obbligatorietà dell’intervento degli ispettori tecnici nella procedura di dispensa da servizio.
10. Con il settimo motivo fa ricorrente principale, sotto la generale intestazione "Singole garanzie da riconoscersi al lavoratore sottoposto a procedimento; di dispensa dal servizio per incapacità;
omessa motivazione su punti decisivi per la decisione", svolge, secondo quanto già esposto nello storico di lite, una complessa serie di censure, nell’ambito delle quali sono denunciati sia vizi di motivazione, sia violazione di norme di diritto, sia errores in procedendo.
Difetta però del tutto la formulazione sia dei pertinenti quesiti di diritto, sia dei momenti di sintesi volti a delineare l’ambito dei denunciati vizi motivazionali.
Ne discende che il motivo all’esame, per tutti i distinti profili in cui si articola, è inammissibile.
11. In definitiva tanto il ricorso principale quanto quello incidentale vanno rigettati.
Seguendo il criterio della soccombenza e ritenuta prevalente quella della ricorrente principale nei confronti del ricorrente incidentale, la R. va condannata alla rifusione delle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e quello incidentale; condanna la ricorrente principale alla rifusione delle spese, che liquida, per ciascuno dei controricorrenti, in Euro 60,00 (sessanta), oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari ed accessori come per legge. Così deciso in Roma, il 23 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2012
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