Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
B.E. propone ricorso contro la sentenza della corte d’appello di Trento che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha circoscritto l’affermazione di responsabilità, per il falso contestato, relativamente alle sole dichiarazioni rese al cancelliere presso il negozio del defunto, escludendola, pertanto, per le dichiarazioni rese in sede di inventario presso l’abitazione del de cuius.
Sostiene la ricorrente che la corte d’appello abbia violato gli artt. 597 e 581 c.p.p. per aver fondato la responsabilità del falso su un fatto di reato diverso e nuovo, essendosi i giudici di primo grado limitati a prendere in considerazione, ai fini della sussistenza del falso contestato, un unico episodio accaduto in data 11 gennaio 2005.
Secondo il ricorrente, dunque, non essendoci appello del pubblico ministero sul capo relativo alla responsabilità per il falso, la corte d’appello avrebbe violato il principio del tantum devolutum quantum appellatum, dovendosi ritenere formato un giudicato sostanziale sulla mancata dichiarazione di colpevolezza per i fatti commessi in data 25 gennaio 2005, presso il negozio del de cuius.
Il procuratore generale della corte di cassazione ha concluso chiedendo il rigetto, in quanto la contestazione era omnicomprensiva sia con riferimento ai luoghi che con riferimento alle date. Il difensore di parte civile avv. Petretti insiste per il rigetto, proponendo il ricorso questioni di merito.
L’avv. Nettis per l’imputata ribadisce che la motivazione della sentenza fa riferimento esclusivamente all’episodio dell’11.01.2005 presso l’abitazione (pag. 6 primo grado), mentre il PM e la parte civile non hanno impugnato il capo specifico relativo al falso, per cui si sarebbe formato un giudicato sostanziale (sent. 1/1995 SSUU).
L’avv. Valenti ribadisce la violazione del giudicato sostanziale e del principio tantum devolutum quantum appellatum.
Motivi della decisione
Costituisce questione preliminare assorbente quella relativa alla qualificazione giuridica del fatto ed alla sua illiceità; è opinione di questo collegio, in ciò uniformandosi ad una precedente pronuncia di questa stessa sezione (Sez. 5, Sentenza n. 28210 del 12/06/2008, Rv. 240451, Covelli) che il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ( art. 483 cod. pen.) sia integrato, in sede di erezione dell’inventario, laddove vi sia una falsa dichiarazione al pubblico ufficiale in ordine ai beni da ricomprendere nell’asse ereditario. Ciò in quanto detto verbale costituisce atto pubblico preordinato a descrivere l’entità del patrimonio del defunto attraverso gli accertamenti dello stesso pubblico ufficiale che redige l’atto, riportando (ex art. 192 disp. att. cod. proc. civ.) anche le dichiarazioni del privato, il quale ha l’obbligo, sul punto, di dire la verità; si rammenta, infatti, che l’art 483 c.p. punisce il falso ideologico in atto pubblico solo qualora il privato attesti falsamente al pubblico ufficiale fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità. Ne consegue che non rientra nella fattispecie penale in esame la falsa dichiarazione resa dal privato relativamente a fatti dei quali l’atto non è destinato provare a la verità; ebbene, se il verbale di inventario ha la funzione di individuare i beni che ricadono nell’asse ereditario, non è invece destinato a provare la verità di altre circostanze, pur relative alla successione in senso lato. Nel caso di specie, le dichiarazioni rese dalla ricorrente attenevano non alla individuazione dei beni ereditari, bensì al suo possesso delle chiavi della cassaforte ed erano dunque relative a circostanze ipoteticamente utili alla ricerca di detti beni, ma non dirette alla loro individuazione. Ne consegue che la falsa dichiarazione dell’imputata relativamente a tali circostanze non configura il reato di cui all’art. 483 c.p., proprio perchè di tali circostanze l’atto non è destinato a provare la verità; tale funzione specifica deve infatti risultare da una norma positiva del ordinamento, non essendo sufficiente che si tratti di dichiarazione resa ad un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni e destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 19361 del 13/02/2006, Rv. 234538, Caccuri, ove si legge che "..la fattispecie criminosa di cui all’art. 483 cod. pen. è configurabile solo nel caso in cui una specifica norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale").
Consegue a quanto detto l’annullamento della sentenza limitatamente alla condanna per il reato di cui all’art. 483 c.p., dato che il fatto contestato all’imputata non è previsto dalla legge come reato;
poichè in sede di appello erano già state escluse anche le altre ipotesi delittuose, devono essere altresì eliminate le statuizioni di carattere civile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nel capo relativo al delitto di cui all’art. 483 c.p., perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, nonchè nel punto delle statuizioni civili, che elimina.
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