Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-06-2012, n. 10588 Procedimento possessorio divieto di cumulo

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 1996 V.M., premesso che con ricorso possessorio, proposto insieme a V.S., aveva denunziato che il proprietario confinante T.S. aveva realizzato al centro del viale sito in (OMISSIS) un foro per l’alloggiamento di un paletto di ferro che, se collocato, avrebbe gravemente intralciato il transito carraio da lui esercitato sulla predetta via e che il predetto ricorso, all’esito della fase sommaria, era stato respinto dal Pretore, convenne in giudizio il vicino chiedendo che fosse accolta la richiesta possessoria e che fosse altresì accertato che egli era titolare del diritto di servitù di passaggio sul predetto viale per averlo acquistato per destinazione del padre di famiglia o comunque per usucapione.

Il convenuto si oppose alla domanda e chiese, in via riconvenzionale, che fosse dichiarata l’insistenza della servitù vantata dalla controparte.

Con sentenza del 2002 il Tribunale di Torre Annunziata rigettò le domande dell’attore ed accolse quella riconvenzionale del convenuto.

Interposto gravame da parte di V.P., nella sua qualità di erede di V.M., con sentenza n. 429 del 15 febbraio 2005 la Corte di appello di Napoli confermò integralmente la decisione impugnata. Il giudice di secondo grado motivò tale conclusione sostenendo che la richiesta possessoria doveva ritenersi assorbita nella domanda petitoria avanzata dall’attore in primo grado e che nella specie, atteso il contenuto delle domande delle parti, che non era diretto ad ottenere un mutamento dello stato di fatto incidente sul diritto di servitù in contestazione, non sussisteva ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti di V. S., proprietario per la metà del viale; nel merito affermò che l’attore non aveva provato il vantato diritto di servitù, atteso che l’atto di donazione e di divisione del 1955, da lui richiamato a sostegno della domanda confessoria della servitù per destinazione del padre di famiglia, aveva qualificato la striscia di terreno contestata di pertinenza esclusiva del fabbricato assegnato a V.V., dante causa di T.S., per l’accesso ai cantinati del suo fabbricato, mentre la servitù di passaggio per accedere alle diverse proprietà era stata costituita su un altro e diverso viale, aggiungendo che anche la domanda subordinata di usucapione della servitù appariva infondata, mancando il requisito dell’apparenza delle opere destinate al suo esercizio, tanto che la striscia in questione era stata distinta dal viale comune da un cordolo in cemento e che anche prima di tale delimitazione il passaggio era stato contestato con l’apposizione di materiali volti ad impedirne l’esercizio. Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 3 aprile 2006, ricorre V.P., affidandosi a quattro motivi.

Nessuno degli intimati si è costituito.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione o falsa interpretazione degli artt. 1168 e 1170 cod. civ. e dell’art. 100 cod. proc. civ., nonchè motivazione inesistente ed apodittica, travisamento dei fatti e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., assumendo che del tutto erroneamente e senza alcuna motivazione la Corte di appello ha ritenuto assorbita nella questione petitoria la richiesta di manutenzione del possesso avanzata dall’attore in primo grado e riproposta, con specifici motivi di censura, nel giudizio di appello.

Il motivo non è fondato.

Occorre premettere le vicende, non del tutto lineari, attraverso cui si è svolto e sviluppato il processo.

V.M. – cui è poi succeduto l’erede V.P. – propose ricorso possessorio per tutelare il suo passaggio carraio su una strada di proprietà del vicino e dopo la fase sommaria, conclusasi con il diniego dell’interdetto, riassunse la causa per il merito riproponendo la richiesta di tutela possessoria, ma affiancando ad essa anche la domanda, di natura petitoria, volta a vedere riconosciuto il suo diritto di servitù di passaggio; il convenuto, T.S., nel costituirsi in giudizio, rispose avanzando, a sua volta, domanda riconvenzionale di negatoria servitutis. In primo grado il Tribunale respinse tutte le domande dell’attore ed accolse quella del convenuto, dichiarando l’inesistenza del diritto di servitù dedotto in giudizio. La Corte di appello confermò quindi integralmente questa decisione, affermando, con riguardo alla richiesta di tutela possessoria reiterata dall’attore nel proprio atto di appello, che essa non doveva essere esaminata, in quanto assorbita dalla questione petitoria.

Tanto precisato, l’anomalia della vicenda processuale in esame risiede nell’indebita commistione che è stata fatta dalle parti tra la materia possessoria e quella petitoria, questioni che invece sia dal punto sostanziale che processuale la legge vuole che siano tenute distinte e separate. In particolare, entrambe le domande petitorie avanzate dalle parti, di confessoria e di negatoria servitutis, avrebbero dovuto essere dichiarate inammissibili. Quella del convenuto, in ragione dell’espresso divieto posto dall’art. 705 c.p.c., comma 1; quella dell’attore perchè domanda nuova, dotata di una causa petendi e di un petitum diversi da quella originaria.

Con riferimento a quest’ultima merita osservare che, in via generale, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, il divieto di proposizione del petitorio previsto dall’art. 705 sopra citato trova la sua ratio dell’esigenza di evitare che la tutela possessoria chiesta dall’attore possa essere paralizzata, prima della sua completa attuazione, dall’opposizione diretta ad accertare l’inesistenza dello ius possidendi e riguarda, perciò, il solo convenuto; se ne deduce che, diversamente da quest’ultimo, l’attore possa, anche in pendenza del possessorio, agire autonomamente per la tutela petitoria, dovendosi interpretare tale ulteriore iniziativa come finalizzata ad un rafforzamento della tutela giuridica e non già come rinuncia all’azione possessoria (Cass. n. 13495 del 2005;

Cass. n. 1666 del 2004; Cass. n. 5110 del 1998). Deve tuttavia ribadirsi che tale facoltà non può essere esercitata nello stesso giudizio possessorio, ma soltanto con una autonoma e separata iniziativa. Ciò in quanto la fase di merito del giudizio possessorio costituisce prosecuzione della fase sommaria, attesa la struttura unitaria del procedimento (Cass. n. 1142 del 2005), ed è funzionalmente destinata ad accertare, con cognizione piena, l’esistenza dei presupposti della tutela possessoria, sicchè è evidente che la domanda petitoria finisce per introdurre una causa petendi ed un petitum completamente diversi da quelli originari. Da qui l’inammissibilità della relativa domanda se proposta dall’attore nella fase di merito del giudizio possessorio (Cass. n. 13495 del 2005; 6881 del 1991; cfr. anche Cass. n. 7747 del 1999).

Ciò posto, deve tuttavia darsi atto che, nel caso di specie, il giudice di primo grado si è pronunciato, non solo sulla richiesta possessoria, ma anche su entrambe le domande petitorie avanzate dalla parti, riconoscendone così implicitamente la loro ammissibilità, e che sia l’atto di appello che il giudizio di secondo grado non si sono interessati del tema pregiudiziale dell’ammissibilità delle domande di confessoria e di negatoria servitù, ma hanno trattato e discusso il merito delle contrapposte pretese. Deve quindi concludersi sul punto che la relativa questione non può più essere esaminata in questa sede, essendo preclusa in forza del giudicato interno formatosi a seguito della mancata impugnazione della pronuncia di primo grado nella parte in cui, decidendo sul merito delle domande petitorie, ne ha riconosciuto, sia pure per implicito, l’ammissibilità (Cass. S.U. n. 1764 del 2011; Cass. n. 25573 del 2009). E’ noto infatti che le questioni che attengono alla proponibilità ed alla inammissibilità delle domande possono essere rilevate d’ufficio dal giudice con il limite che su di esse non si sia formato il giudicato c.d. interno.

La conclusione è pertanto che la Corte di appello si è trovata investita di entrambe le domande, possessoria e petitoria; di fronte a tale anomala situazione ha quindi ritenuto di non doversi pronunciare sulla domanda possessoria, ritenendola assorbita in quelle petitorie.

La soluzione è sostanzialmente condivisibile, sia pure con alcune precisazioni. In particolare deve rilevarsi che non tanto la sua proposizione in giudizio, quanto l’accoglimento della domanda riconvenzionale di negatoria servitutis ha reso di fatto priva di possibile rilevanza l’attuazione della tutela possessoria. In ipotesi, la compresenza dell’azione possessoria con quella petitoria non da luogo a conseguenze necessariamente incompatibili, nè dal punto di vista logico nè da quello giuridico. Lo stesso codice di rito (art. 704) ammette il concorso, sia pure con riferimento all’ipotesi particolare in cui nel corso del giudizio petitorio sia avanzata richiesta di tutela possessoria, dettando al riguardo una disciplina specifica, di sostanziale assimilazione della tutela possessoria con quella cautelare, sotto il profilo quanto meno del suo assorbimento nella sentenza definitiva che decide la controversia petitoria (Cass. n. 6648 del 2003; Cass. n. 11833 del 1997; Cass. n. 3718 del 1994). Al di là di tale ipotesi, deve però convenirsi che il rigetto della domanda petitoria da parte di chi ha agito per la tutela possessoria non precluda necessariamente l’esame di quest’ultima, basandosi essa su presupposti diversi rispetto alla domanda petitoria, legati all’esigenza di salvaguardare la situazione di fatto. E’ sufficiente al riguardo riflettere sul fatto che una tale pronuncia, se nega il diritto dell’attore, non accerta per questo il diritto del convenuto a porre in essere quella condotta nei cui confronti la tutela possessoria è stata richiesta. Rimane pertanto in questo caso spazio per la tutela del possesso.

Ben diverso è invece il caso in cui risulti affermato in giudizio un diritto inconciliabile con la tutela possessoria, situazione riscontrabile nell’ipotesi in cui venga accolta la domanda del convenuto di accertamento in suo favore di un diritto reale inconciliabile con il comportamento che il ricorrente ha inteso tutelare con il ricorso possessorio. In tale evenienza è invero ravvisabile una obiettiva incompatibilità. Ragioni di coerenza del sistema impediscono che in uno stesso provvedimento possa essere affermata la tutela possessoria nei confronti di un soggetto, con conseguente ordine ad un altro di astenersi dall’impedirne o ostacolarne l’esercizio, e nel contempo riconosciuto a quest’ultimo lo ius possidendi sullo stesso bene, incompatibile con la situazione possessoria, accertamento che tra l’altro comprende, per implicito, il divieto per gli altri di utilizzarlo in contrapposizione al suo diritto. La riconosciuta ed affermata titolarità del diritto in capo al soggetto convenuto con l’azione possessoria (c.d. spoliator) appare quindi in grado di paralizzare la tutela della situazione di fatto incompatibile con la suddetta statuizione (Cass. n. 2371 del 2012).

Il fenomeno non è dissimile da quello che pacificamente si verifica nei casi in cui, terminato il giudizio possessorio, venga introdotto dal soggetto destinatario dell’interdetto possessorio il giudizio petitorio e quest’ultimo termini con l’affermazione del suo diritto, situazione da cui non può non derivare una caducazione dell’attuazione della tutela possessoria (Cass. n. 2005 del 1967).

Per tali ragioni la decisione della Corte di appello di non prendere in esame la domanda possessoria appare esatta, in ragione della statuizione da essa adottata con la quale ha riconosciuto fondata la domanda del convenuto di inesistenza del diritto di servitù ed il conseguente diritto di quest’ultimo di disporre liberamente del proprio bene.

Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 102 cod. proc. civ. e motivazione illogica, contraddittoria e/o erronea, lamentando che il giudice di secondo grado abbia respinto la sua eccezione di nullità del giudizio per difetto di integrità del contraddittorio nei confronti del proprietario dell’altro fondo dominante, V.S., senza considerare che il tema dedotto in giudizio non era meramente dichiarativo in ordine alla sussistenza o inesistenza della servitù, avendo le parti da un lato contestato e dall’altro affermato la legittimità della modificazione dello stato dei luoghi posta in essere dal convenuto mediante la realizzazione del foro e l’apposizione del paletto.

Il mezzo è infondato.

Dalla ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza risulta invero che il terzo menzionato dal ricorrente, V.S., è il proprietario del fabbricato prospiciente il tratto di strada ove è esercitato il passaggio e della metà della stessa, mentre il convenuto è proprietario dell’altra metà e che, a sua volta, l’attore è proprietario di altro e diverso fabbricato.

Ciò precisato, appare evidente che al terzo debba essere negata la qualità di litisconsorte necessario in quanto, come correttamente osserva la Corte di merito, la questione su cui si controverte nel presente giudizio non riguarda la proprietà del vialetto ma se la metà dello stesso che appartiene al convenuto (dal punto in cui questi avrebbe praticato il foro al muro del suo fabbricato) sia asservita al diritto di passaggio dell’attore, questione a cui il terzo è formalmente e sostanzialmente estraneo, atteso che un’eventuale pronuncia sul punto non potrà mai pregiudicare i suoi diritti. Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, l’actio negatoria servitutis è un’azione di accertamento diretta soltanto a far dichiarare l’inesistenza del diritto nei confronti di chi lo afferma e, pertanto, la relativa causa ha natura scindibile, con l’effetto che, nel caso di pluralità di fondi, siano essi serventi o dominanti, non da luogo, nè dal lato attivo nè da quello passivo, ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra i proprietari interessati, dovendo sempre ravvisarsi una pluralità di rapporti di servitù (Cass. n. 10470 del 2001).

Il terzo motivo di ricorso, nel denunziare violazione o falsa applicazione dell’art. 1062 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., motivazione apodittica o insufficiente e travisato o mancato esame degli atti del processo e motivazione illogica, investe il capo della decisione che ha respinto la domanda di riconoscimento dell’esistenza della servitù per costituzione del padre di famiglia.

Sostiene al riguardo il ricorrente che la Corte di appello ha errato in quanto ha limitato la sua indagine sul punto all’esame dell’atto di divisione del 1955, senza estenderla, come avrebbe dovuto, alla situazione di fatto realmente esistente al momento della divisione dei fondi, non considerando che dagli atti processuali risultava che lo stato anteriore non era stato modificato se non in relazione alla rimozione del basolato di pietra vulcanica che in origine distingueva la porzione del T., già di V.V., prospiciente il passo carrabile sulla via pubblica e che l’ultimo possessore del compendio immobiliare, V.S., aveva vietato al figlio V. di ostacolare o rendere più incomodo ai fratelli l’accesso al viale. La sentenza della Corte di appello è inoltre criticata per avere considerato più attendibile degli altri il teste V.S., cugino delle parti, valorizzando oltremisura la sua dichiarazione in ordine all’esistenza di un cordolo in cemento di delimitazione della zona di accesso ai cantinati, escludendo senza alcuna motivazione la deposizione del teste Or., che pure appariva decisiva.

Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 1158 e 1167 cod. civ., e difetto assoluto di motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere respinto la domanda di usucapione del diritto di servitù in discussione senza accertare l’effettivo esercizio e la durata del passaggio da parte dell’attore e senza verificare se le contestazioni riferite in ordine a tale esercizio da parte del dante causa, V.M., che direttamente ne dimostravano la sussistenza, avessero o meno interrotto la manifestazione del possesso. La Corte di merito è poi incorsa in difetto assoluto di motivazione laddove ha ritenuto che l’esercizio della servitù di passaggio fosse stato utilmente interrotto dalla controparte. I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione obiettiva, sono entrambi infondati.

Assorbente in tale senso appare la considerazione che la Corte di merito abbia escluso in fatto che il passaggio di cui si discute presentasse opere permanenti e visibili destinate al suo esercizio, negandogli il carattere di servitù apparente, requisito che è invece necessario al fine di poter configurare tanto la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia quanto il suo acquisto per usucapione (art. 1061). La circostanza che tale accertamento sia stato svolto dalla sentenza impugnata in sede di esame della domanda di usucapione e non anche della diversa richiesta di accertamento della servitù per destinazione del padre di famiglia non toglie ovviamente ad esso valore di fatto obiettivo e non preclude, pertanto, che esso venga in evidenza anche con riferimento a quest’ultima.

Rilevante invece è che questa affermazione del giudice di merito non risulti investita da alcuna censura da parte dei motivi, fatto che di per sè induce a ritenerne l’infondatezza, atteso che la ritenuta non apparenza della servitù costituisce una ratio decidendi autonoma e sufficiente a giustificare le statuizioni di rigetto oggetto di impugnazione.

Il ricorso va pertanto respinto.

Nulla si dispone sulle spese di giudizio, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2012

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