Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
G. e G.C., con atto di citazione del 21 maggio 2004, impugnavano la sentenza con la quale il Tribunale di Milano respingeva la loro domanda di risoluzione della disposizione testamentaria, con la quale B.G. deceduta il (OMISSIS) aveva istituito erede universale L’Almo Collegio Borromeo, per l’inadempimento dell’onere apposto all’istituzione. Secondo G. e G.C. l’Almo Collegio Borromeo aveva accettato l’eredità di B.G. con beneficio di inventario, dopo aver ottenuto autorizzazione governativa, ma non aveva dato esecuzione agli obblighi e oneri imposti dalla testatrice poichè aveva svuotato le case relitte di (OMISSIS), aveva stipulato un compromesso di vendita delle stesse con terzi soggetti, aveva venduto terreni siti nel Comune di (OMISSIS) a prezzi non di mercato, ma non aveva istituito le borse di studio annuali e premi di poesia previsti dalla testatrice. Gli appellanti, avevano chiesto al Tribunale che venissero dichiarati eredi legittimi, che venisse dichiarato l’Almo Collegio Borromeo decaduto dall’istituzione di erede per non aver dato esecuzione agli oneri e obblighi imposti dalla testatrice e venisse ordinato, allo stesso Almo Collegio, l’immediato rilascio a favore degli attori, di tutti i beni ereditali, i irutti percepiti dei beni suddetti e il corrispettivo al valore di mercato dei beni alienati e di quelli non più rinvenibili nell’asse ereditario.
L’Almo Collegio Borromeo aveva eccepito l’inammissibilità della domanda di declaratoria di decadenza dalla istituzione di erede, il difetto d legittimazione attiva degli attori, l’estinzione del diritto degli attori di accettare l’eredità relitta da B. G., oltre l’infondatezza nel merito della domanda per l’insussistenza del preteso inadempimento.
L’appello con il quale veniva impugnata la sentenza del Tribunale si fondava su due motivi: a) il primo relativo al mancato svolgimento di attività istruttoria, ed in particolare, alla mancata ammissione di una CTU e b) il secondo al mancato riconoscimento dell’inadempimento da parte dell’Almo Collegio Borromeo delle disposizioni testamentarie laddove prevedevano l’istituzione di un Centro Culturale.
Si costituiva anche nel giudizio di appello l’Almo Collegio Borromeo, contestando integralmente il fondamento del gravame ed, in particolare, la carenza di legittimazione degli attori, considerata la mancata dimostrazione della loro qualità di eredi legittimi.
La Corte di Appello di Milano respingeva l’appello, ritenuta la prescrizione del diritto degli appellanti ad accettare l’eredità.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da G. e G.C. con ricorso affidato ad un unico motivo, illustrato con memoria. L’Almo Collegio Borromeo ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1.= In via preliminare, vanno esaminate le eccezioni sollevate dal controricorrente in ordine alla nullità della procura e alla violazione del principio dell’autosufficienza.
1.a).= Secondo l’Almo Collegio Borromeo la procura rilasciata dai sigg. G. in favore del loro difensore Avv. Italo Maggioni sarebbe affetta da un grave vizio perchè: a) apposta in calce all’avversario ricorso per cassazione ed in un foglio separato dal corpo dell’atto, b) la procura cosi come il foglio che la contiene erano senza data; c) i sigg. G. avrebbero eletto domicilio presso un avvocato con studio in Vigevano e non in Roma, pertanto non era dato desumere nè la provenienza dell’atto da un difensore munito di procura speciale nè la posteriorità del rilascio della procura alla sentenza impugnata.
1.a.1).= L’eccezione è infondata e non può essere accolta perchè la procura conferita per il giudizio di legittimità costituisce parte integrante del ricorso cui accede quando, conformemente al disposto dell’art. 83 c.p.c., comma 3, come novellato dalla L. 27 maggio 1997, n. 141, art. 1, essa risulti (come nel caso di specie) apposta in calce al ricorso su un foglio separato, materialmente congiunto al ricorso e collocata prima della relata di notifica del ricorso stesso. Ad un tempo, non assume alcun rilievo l’eventuale mancanza della data, la quale, avendo la funzione di attestare che la procura è stata rilasciata dopo la pubblicazione della sentenza impugnata e prima della notifica del ricorso, può essere desunta anche "aliunde", come nell’ipotesi in esame, in cui la procura risulta collocata prima della relata di notifica del ricorso stesso e la relata di notifica risulta inserita nello stesso foglio che contiene l’atto della procura.
2.= Secondo l’Almo Collegio Borromeo, il ricorso "avversario" sarebbe inammissibile anche per l’insufficiente indicazione dei fatti di causa, ed in particolare per quanto riguarda la carente esposizione sia dello svolgimento dei precedenti gradi di giudizio sia del contenuto della sentenza impugnata. Il deducente chiarisce che la parte avversaria non ha adeguatamente specificato quali in realtà fossero i motivi specifici di impugnazione dedotti nel giudizio di appello nè ha avuto cura di illustrare quali fossero le eccezioni, le domande proposte dalle parti costituitesi in giudizio nè di riprodurre le conclusioni assunte dalle parti nel medesimo giudizio nè di trascrivere i dispositivi delle decisioni che hanno definito i gradi di merito. E di più la difesa avversaria, pur indicando le norme di diritto che sarebbero state violate o falsamente applicate dai Giudici di secondo grado, non ha assolto l’onere di esporre le ragioni e le argomentazioni a sostegno della dedotta violazione delle norme di diritto richiamate.
2.1.= L’eccezione non ha motivo d’essere perchè il ricorso in esame contiene un’esposizione adeguata e sufficiente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dai quali risultano le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. A sua volta, l’esposizione dell’unico motivo di ricorso contiene: a) l’indicazione della norma e dei principi giuridici che, secondo i ricorrenti, sarebbero stati violati dalla Corte milanese e, b) le ragioni dell’asserita violazione di diritto.
3.= Con l’unico motivo di ricorso, G. e G.C. lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 480 cod. civ..
Avrebbe errato la Corte milanese, secondo i ricorrenti, nel non aver applicato o aver applicato erroneamente l’art. 480 c.c., comma 2, per il quale nelle ipotesi di eredità devolute a persone giuridiche o enti morali ed ecclesiastici il termine previsto dall’art. 480 cod. civ., comma 2, per accettare l’eredità.
inizierebbe a decorrere dal momento dell’autorizzazione ex art. 17 c.c. (ne testo previgente rispetto alla L. n. 127 del 1997), in quanto tale autorizzazione aveva valore di elemento costitutivo della capacità giuridica dell’ente di accettare l’eredità e rappresentava perciò un impedimento giuridico all’acquisto della stessa. Ai sensi dell’art. 480 cod. civ., comma 2, a sua volta, secondo i ricorrenti, anche per gli eredi legittimi il dies a quo dovrebbe essere quello dell’avvenuta autorizzazione perchè solo con la autorizzazione si è avverata la condizione cui si riferisce l’art. 480 cod. civ..
Ora, specificano i ricorrenti, la successione si è aperta il 7 marzo 1983, il Borromeo ha accettato l’eredità il 24 gennaio 1991 ed ha deliberato di alienare i beni ereditati l’11 marzo 1996. Il Borromeo è stato sempre consapevole che sino alla data del 24 gennaio 2001 gli eredi legittimi avrebbero potuto ritualmente accettare l’eredità.
In considerazione di ciò, i ricorrenti formulano il seguente quesito di dritto:
"Atteso che il termine di prescrizione per l’accettazione dell’eredità da parte delle persone giuridiche ed enti morali od ecclesiastici (eredi testamentari) decorre dal giorno dell’accettazione autorizzata e beneficiata dell’eredità ex abrogato art. 17 cod. civ. (come concordemente affermato dal Tribunale e dalla Corte di Appello di Milano) dica la Suprema Corte se il termine di prescrizione per l’accettazione dell’eredità da parte degli eredi legittimi decorra o meno dalla stessa data, secondo il disposto del dell’art. 480 cod. civ., comma 2 in relazione all’art. 2935 c.c.".
3.1.= Il motivo è infondato e non può essere accolto perchè la Corte milanese ha correttamente interpretato l’art. 480 cod. civ., comma 2 così come ha correttamente coordinato l’art. 480 cod. civ. con l’art. 2935 cod. civ in tema di prescrizione del diritto.
3.1.a). Intanto, appare opportuno chiarire che il caso in esame non può essere ricondotto alla normativa di cui al secondo comma dell’art. 480 cod. civ. perchè l’istituzione contenuta nel testamento olografo della signora B., oggetto del presente giudizio, non integra gli estremi di un’istituzione condizionale, ma di un’istituzione modale, considerato che la testatrice ha posto a carico dell’erede l’obbligo ad una data prestazione senza che quell’obbligo incidesse, sospendendone l’efficacia, sulla disposizione testamentaria. Come afferma dottrina e giurisprudenza:
mentre il modo determina l’insorgenza di un’obbligazione cui il beneficiario è tenuto ad adempiere, nel negozio sottoposto a condizione risolutiva potestativa (dal momento che solo in questa ipotesi la realizzazione dell’evento dipende dalla condotta del soggetto beneficiato) il soggetto non è tenuto, invece, all’adempimento (la condizione sospende o risolve l’efficacia, ma non obbliga). Se si verificherà l’evento (che coincide con il risultato di una condotta volontariamente tenuta dal beneficiato) il negozio potrà dirsi definitivamente efficace, in caso contrario (senza che possa considerarsi inadempimento il comportamento del soggetto) si estingueranno gli effetti interinalmente prodotti. Insomma, la condizione sospende ma non obbliga, il modo obbliga ma non sospende.
Ora, nel caso in esame, non vi è dubbio che la prestazione cui era tenuto il beneficiario obbligava ma non sospendeva gli effetti della disposizione testamentaria di cui si dice, considerato che la prestazione identificata e richiesta dalla testatrice non incideva sull’istituzione di erede.
3.1.b).= Piuttosto, va qui osservato che appare condivisibile l’orientamento secondo il quale il termine previsto dall’art. 480 cod. civ. per l’accettazione di eredità da parte di persone giuridiche in generale, e degli enti morali ed ecclesiastici in particolare, non inizia a decorrere se l’ente chiamato all’eredità non sia stato ancora autorizzato dall’autorità competente considerato che, prima della L. n. 127 del 1997 (art. 13 della stessa) ai sensi della L. 27 maggio 1929, n. 848, artt. 9 e 10 "mancando l’autorizzazione gli acquisti e le accettazioni … erano nulli". Ed è, altresì, condivisibile l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il dies a quo del termine prescrizionale riferito all’accettazione dell’eredità delle persone giuridiche in generale, e degli enti morali ed ecclesiastici in particolare, va riferito anche a successivi chiamati e comunque ai chiamati all’eredità per legge. Come ha bene affermato la Corte milanese: "Proprio argomentando dalla simultaneità del decorso del termine per l’erede testamentario e per quello legittimo si deve infatti ritenere che per quest’ultimo il termine per l’accettazione dell’eredità non possa iniziare a decorrere prima di quello per l’erede testamentario".
3.1.c).= Tuttavia, va chiarito che il termine di prescrizione decennale di cui si dice decorrerà dalla data in cui il chiamato ha ottenuto la prescritta autorizzazione ad accettare l’eredità e non invece dall’accettazione autorizzata. Come ha avuto modo di evidenziare questa Corte in altra occasione; considerato l’impedimento di legge all’accettazione dell’eredità da parte delle persone giuridiche e per gli enti morali ed ecclesiastici, la decorrenza del termine tanto di decadenza quanto di prescrizione deve farsi risalire, ai sensi dell’art. 2935 c.c., al momento in cui l’autorizzazione è stata concessa. D’altra parte, non si capirebbe perchè l’erede legittimo dovrebbe attendere l’accettazione della persona giuridica per poter esercitare il diritto di accettare a sua volta l’eredità, dal momento che dopo l’autorizzazione l’erede testamentario soggetto ad autorizzazione viene a trovarsi nella condizione di poter esercitare il proprio diritto. Per altro, ove l’erede testamentario non fosse soggetto ad alcuna autorizzazione si verrebbe a trovare nella stessa situazione in cui si troverebbe l’erede legittimo e per entrambi il termine prescrizionale inizierebbe dall’apertura della successione e non anche dall’accettazione della successione testamentaria.
In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannati, in solido, al pagamento delle spese giudiziali che verranno liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in 7.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2012
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