Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-07-2012, n. 11745

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 6-9-2002 F.P. conveniva dinanzi ai Tribunale di Pordenone G.A., G. S. e G.P., quali eredi di C.M., e G.J.P., Gu.Pa., G.W., G. F. e G.B., quali eredi di C.R., per sentir accertare il suo diritto di proprietà, per acquisito fattone per usucapione, di due fondi catastalmente intestati rispettivamente a C.M. e a C.R., da essa posseduti in forma pacifica e pubblica da oltre venti anni.

Si costituivano solo G.A. e G.P., sostenendo che i loro fondi, costituiti da un bosco e da un prato, erano sempre stati posseduti dalla loro dante causa, la quale da circa un decennio aveva concesso in uso gratuito al marito dell’attrice solo il prato.

Gli altri convenuti rimanevano contumaci.

Con sentenza depositata il 6-10-2005 il Tribunale adito accoglieva la domanda con riguardo ai fondi intestati a C.R., mentre non riteneva raggiunta la prova del possesso utile all’usucapione con riferimento al fondo degli eredi di C.M., essendo emerso dalla prova testimoniale che il marito dell’attrice aveva chiesto alla proprietaria il permesso di usare il prato per il pascolo del bestiame.

La F. proponeva appello avverso la predetta decisione, deducendo che il Tribunale, nel rigettare la domanda nei confronti degli eredi di C.M., non aveva correttamente valutato le univoche dichiarazioni rese dai testi escussi per conto degli attori, i quali avevano riferito che sia il bosco che il prato erano stati usati sin dal 1980. Il giudice di primo grado, al contrario, aveva immotivatamente privilegiato le dichiarazioni dei testi di parte convenuta, interessati alle sorti della lite, i quali avevano falsamente affermato che i terreni in questione erano rimasti abbandonati fino ad una fantomatica telefonata di C. G., che aveva chiesto di poter usare il prato.

Instauratosi il contraddittorio, si costituivano G.A. e G.P., contestando la fondatezza del gravame.

Con sentenza depositata il 30-7-2007 la Corte di Appello di Trieste rigettava l’appello.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la F., sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso G.A., mentre gli altri intimati G.P. e G.S. non hanno svolto attività difensive.

In prossimità dell’udienza di discussione fissata per il 10-1-2012 la ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..

A seguito del rinvio della predetta udienza, la F. ha depositato una nuova memoria.
Motivi della decisione

1) Con il primo motivo la ricorrente, lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, si duole che la Corte di Appello abbia ritenuto non raggiunta la prova dell’usucapione per il contrasto emerso tra le deposizioni testimoniali raccolte, senza procedere alla valutazione dell’attendibilità dei testi escussi e della plausibilità delle circostanze dai medesimi riferite.

Osserva il Collegio che il motivo deve ritenersi ammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 (applicabile ratione temporis alla fattispecie), contenendo un momento di sintesi, che può essere ravvisato nell’affermazione finale, secondo cui "sulla questione decisiva, che è la valutazione della contrastanti testimonianze, ogni reale motivazione è assente".

Le censure mosse, tuttavia, sono infondate.

La Corte di Appello ha fornito adeguata giustificazione delle ragioni per le quali ha ritenuto non fornita dall’attrice la prova dell’avvenuta usucapione della proprietà del fondo di proprietà delle eredi di C.M.. Essa ha rilevato che, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante, il racconto dei testi escussi per conto dei convenuti, secondo cui il prato della C. era rimasto incolto fino alla metà degli anni novanta, allorchè il marito dell’attrice chiese telefonicamente di poterlo usare, non appare illogico, non essendovi alcuna prova certa dell’uso anteriore a tale richiesta telefonica, affermato dai testi dell’attrice. In particolare, la Corte territoriale ha evidenziato che gli stretti rapporti di parentela e la lontananza rendono verosimile una richiesta telefonica per l’uso di un prato incolto; ed ha osservato che le opposte tesi prospettate dai due gruppi di testi appaiono entrambe intrinsecamente logiche e plausibili, tanto che nessuna di esse è in grado di prevalere sull’altra.

Sulla base di tali considerazioni, che presuppongono una chiara, sia pure implicita, valutazione di pari attendibilità dei due contrapposti gruppi di testimoni, in modo del tutto logico e consequenziale la Corte distrettuale ha ritenuto non assolto dell’attrice l’onere probatorio sulla stessa gravante in ordine ai fatti posti a fondamento della domanda. Qualora, infatti, il giudice del merito ritenga sussistere un insanabile contrasto tra le deposizioni rese dai testimoni in ordine ai fatti costitutivi della domanda, fondando siffatto convincimento non sul rapporto strettamente numerico dei testi, bensì sul dato oggettivo di detto contrasto, ritenuto ostativo al raggiungimento della certezza necessaria alla decisione e, con apprezzamento di fatto congruamente motivato, reputi non superabile il contrasto sulla scorta delle ulteriori risultanze istruttorie, ritenute altresì inidonee a dimostrare la fondatezza della domanda, l’insufficienza della prova si riverbera in danno della parte sulla quale grava l’onere della prova, comportando, conseguentemente, il rigetto della domanda da questa proposta (Cass. 15-2-2010 n. 3468; Cass. 5-5-2003 n. 6760).

La sentenza impugnata, pertanto, risulta sorretta da argomentazioni sufficienti e razionali, che la sottraggono al sindacato di questa Corte, alla quale non è consentita un’ulteriore valutazione in fatto delle risultanze istruttorie.

La valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità d’alcuni piuttosto che d’altri, la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, come del pari l’esclusione della prevalente concludenza d’un gruppo di testimonianze rispetto ad un altro di contenuto contrapposto, infatti, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova a preferenza di altre o l’equivalenza di entrambe, non incontra altro limite se non quello della necessaria indicazione delle ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento od a confutare puntualmente ciascuna delle deduzioni difensive delle parti, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 5-5-2003 n. 6760).

2) Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione della Tariffa Forense di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127 e Tabelle allegate, in relazione alla liquidazione dei diritti ed onorari, effettuata in misura notevolmente superiore al massimo previsto dagli scaglioni applicabili in ragione del valore della causa.

Il motivo è inammissibile, non concludendosi con la formulazione di un quesito di diritto, come prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 dei 2006, applicabile ratione temporis al ricorso per cassazione in esame, proposto avverso una sentenza depositata dopo l’entrata in vigore della citata legge.

3) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2012

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