Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. La Società S. R s.r.l., An.Di., la Società S. S. V. s.r.l. e A.D. hanno proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma, n. 390/2012, in data 2 maggio 2012, con la quale è stata confermata l’ordinanza applicativa della misura cautelare reale, imposta ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2, con decreto di sequestro preventivo emesso dal gip del Tribunale di Roma in data 4 aprile 2012, quale diretto reimpiego del profitto dei reati di cui ai capi 22 e 23 della provvisoria imputazione contenuta nel suddetto provvedimento e di seguito specificata al punto 2, nella sola parte riferita al sequestro delle palazzine G ed H, del complesso sportivo ubicato in (OMISSIS), fino alla concorrenza della somma pari al valore catastale dei predetti immobili.
Non fa parte di questo processo il sequestro preventivo per equivalente disposto con lo stesso decreto del Gip del Tribunale di Roma e concernente una serie ulteriori di immobili dettagliatamente specificati, e relativo a numerose contestazioni di delitti tributari.
2. Le odierne impugnazioni fanno riferimento dunque soltanto alla parte del provvedimento, concernente i reati contestati ai capi 22 e 23 dell’originario capo di imputazione, relativi ad alcune opere (a finanziamento pubblico) eseguite in vista dei Campionati mondiali di nuoto che si sono svolti a Roma nell’anno 2009, in particolare ascritti, per quanto riguarda il capo 22, ad A.L., nella qualità di Legale rappresentante della soc. "Impresa A. C." s.r.l. e ad A.D., e concernenti:
a) il delitto p.e p. dagli artt. 110 e 646 c.p., e art. 61 c.p., n. 11, perchè in concorso tra loro, A.L. nella qualità di legale rappresentante prò tempore della società "Impresa A. C." s.r.l. e A.D. quale beneficiario delle somme, si appropriavano della somma complessiva di Euro 20.000.000,00, sottraendola dalle casse della società e, in particolare:
1) in data 29 aprile 2009, senza valida giustificazione economica, con la causale fittizia "anticipazione soci", trasferivano Euro 9 milioni con bonifico bancario addebitato sul c/c (OMISSIS), intestato alla società "Impresa A. C." s.r.l. ed acceso presso la Unicredit Corporate banking, in favore del c/c 2885, acceso presso l’Ag. (OMISSIS), Roma Banca delle Marche, intestato ad A.D.;
2) in data 29 luglio 2009, senza valida giustificazione economica e con causale fittizia : "anticipazione", trasferivano Euro 11 milioni con bonifico bancario addebitato sul c/c (OMISSIS), intestato alla società "Impresa A. C.", s.r.l. ed acceso preso la Unicredit Corporate banking, in favore del c/c (OMISSIS), acceso presso l’Ag. 81, Roma Banca delle Marche, intestato ad A.D.;
In Roma 29 aprile e 29 luglio 2009 (luogo e data del bonifico).
e ascritti ad An.Di. per quanto riguarda il capo 23) e concernenti:
a) il delitto p.p. dall’art. 648 bis c.p., perchè avendo ricevuto da A.D., sul proprio conto corrente n. 3077, acceso presso la l’agenzia (OMISSIS) Roma, Banca delle Marche, le seguenti somme, provento del delitto di cui al capo precedente 22:
a) Euro 9 milioni accreditati in data 30 aprile 2009;
b) Euro 11 milioni accreditati in data 30 luglio 2009, effettuando le seguenti operazioni a debito sul medesimo conto:
– bonifico in data 5 maggio 2009 in favore della fiduciaria soc. "S." s.p.a., con causale aumento di capitale sociale" dell’importo di Euro 4.350.000,00;
– bonifico in data 5 maggio 2009 in favore della fiduciaria soc. "F." s.r.l., con causale "aumento di capitale sociale" dell’importo di Euro 4.350.000,00;
– assegno bancario in data 30 aprile 2009 di Euro 300.000,00 emesso in favore della soc. S. R s.r.l.;
– bonifico in data 30 luglio 2009 in favore della fiduciaria soc. "S." s.p.a., con causale "finanziamento soci" dell’importo di Euro 5.500.000., 00;
– bonifico in data 30 luglio 2009 in favore della fiduciaria soc. "F." s.r.l., con causale "finanziamento soci" dell’importo di Euro 5.500.000,00;
somme tutte, ad eccezione dell’assegno bancario bonificato direttamente da An.Di., successivamente bonificate dalle società fiduciarie, in favore del c/c n. (OMISSIS) acceso preso la Unicredit Corporate banking, intestato alla società "S. R" s.r.l. con causale "aumento capitale sociale" per Euro 9 milioni e con causale "finanziamento soci "per Euro 11 milioni, compiva in relazione a dette somme operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della relativa provenienza delittuosa.
In Roma 5 maggio e 30 luglio 2009 (luogo e data del bonifico).
3. La Società S. S. V. a.r.l. e la Società S. R a.r.l. hanno proposto impugnazione nella loro qualità di terzi interessati dal provvedimento di sequestro.
4. I motivi di impugnazione sono sostanzialmente identici per tutti i ricorrenti, tranne che per le argomentazioni sulla legittimazione passiva dedotte dai soli An.Di. e A.D.. I motivi saranno quindi trattati unitariamente pur prendendo a base l’impugnazione del ricorrente An.Di..
A sostegno dell’impugnazione An.Di. ha dedotto:
1) Sulla legittimazione di An.Di. a proporre richiesta di riesame e ricorso per cassazione.
Il ricorrente ribadisce la sua legittimazione a proporre ricorso per cassazione, oltre che il ricorso di fronte al Tribunale del riesame, dove, pur senza arrivare a dichiarare l’inammissibilità del ricorso presentato in tale sede, il Tribunale stesso ha sollevato dubbi in ordine alla sussistenza in favore del ricorrente, oltre che del fratello D., della legittimazione ad impugnare il provvedimento del Gip del Tribunale di Roma, sul presupposto che, in ogni caso, anche nell’ipotesi di annullamento del provvedimento impositivo del vincolo cautelare, gli immobili non sarebbero ritornati nella disponibilità dei ricorrenti.
Viene ribadito l’interesse all’impugnazione sulla base di un potere di disposizione comunque riconducibile ai ricorrenti e in forza dell’influenza che, in ogni caso, le decisioni relative ai ricorsi avverso procedimenti cautelari hanno poi sul corso del procedimento penale principale. In ogni caso An.Di. sottolinea di avere un interesse immediato e diretto all’impugnazione, essendo proprietario al 100% della Soc. S. R a.r.l..
2) Sul reato di appropriazione indebita – Violazione di legge – Vizio di motivazione – Travisamento del contenuto della documentazione depositata dalla difesa all’udienza del 2 maggio 2012 e della memoria di enunciazione dei motivi a sostegno della richiesta di riesame.
Motivazione apparente.
Viene lamentata la carenza assoluta di motivazione con conseguente violazione di legge.
2.1) Il contenuto del decreto di sequestro preventivo – La richiesta di riesame – Violazione di legge – Insussistenza del delitto di appropriazione indebita e conseguente insussistenza del delitto di riciclaggio.
Il ricorrente, dopo aver ripercorso l’iter logico – fattuale delle ipotesi accusatorie (v. pag. 5 del ricorso) ricorda come in sede di riesame abbia contestato la configurabilità del reato di appropriazione indebita, osservando che il trasferimento della somma di 20 milioni di Euro dal conto corrente dell’impresa A. C. s.r.l. al conto corrente di A.D. non era avvenuta con motivazione apparente ma con la motivazione reale "anticipazione soci", considerando che tale trasferimento risultava regolarmente iscritto nei bilanci dell’Impresa A. C. s.r.l. relativa agli anni 2009 e 2010 e che tali bilanci erano stati approvati dall’assemblea dei soci. Peraltro in ogni momento l’Impresa A. C. avrebbe potuto recuperare il credito nei confronti del socio A.D., con la conseguente impossibilità di configurare il reato di appropriazione indebita.
Sottolineava, inoltre, che il trasferimento della somma di Euro 20.000.000.,00 in favore di A.D., e da questi in favore di An.Di. sul suo conto corrente personale, con il bonifico di Euro 9.000.000 in data 30 aprile 2009 e di 11.000.000 in data 30 luglio 2009, era avvenuto con il consenso dello stesso A.D., proprietario della soc. di capitali e al legittimo scopo di finanziare l’attività della soc. S. R s.r.l., appartenente all’unico gruppo imprenditoriale facente capo alla famiglia A., a seguito della richiesta proveniente dall’Istituto per il C.S. di aumento del capitale sociale per 8,7 milioni di Euro e di finanziamento per soci di almeno 10 mil.
di Euro, quali condizioni per l’erogazione del mutuo agevolato per il finanziamento per la ristrutturazione e ampliamento del S. S. V., nell’ambito dell’organizzazione dei Mondiali di nuoto di Roma del 2009.
Il finanziamento pertanto doveva essere ritenuto lecitamente effettuato all’interno della relativa attività infra gruppo, con il consenso espresso dei soci ex art. 41 Cost..
La ricostruzione trovava riscontro nell’iscrizione al bilancio della società S. R s.r.l. di un aumento di capitale pari ad Euro 8.700.000,00, corrispondente all’importo della somma dei bonifici a titolo di aumento di capitale da parte delle due soc. fiduciarie soc. "S." s.p.a e soc "F." s.r.l. su incarico del fiduciante An.Di. e di un finanziamento di Euro 11.000.000,00 pari all’importo della somma dei bonifici fatti sempre dalle stesse soc. fiduciarie su incarico del fiduciante An. D. in ossequio alle richieste del C.S., che aveva condizionato l’erogazione del mutuo di 18 milioni di Euro finalizzato alla ristrutturazione del S. S. V. per i mondiali di nuoto, proprio ad un aumento di capitale di 8,7 milioni di Euro e a un finanziamento soci subordinato all’aumento di capitale di almeno 10 ml. di Euro.
A sostegno della sua tesi il ricorrente ha richiamato la sentenza della Corte di cassazione, sez. 2^, 6 maggio 2011, n. 20062, in cui i principi nella stessa affermati farebbero ritenere configurabile il reato di appropriazione indebita solo in danno della società e dei singoli soci e non di soggetti terzi; pertanto la stessa creazione, in ipotesi, di riserve occulte di bilancio e la utilizzazione extrabilancio di fondi sociali non sarebbero condotte di per sè sufficienti ad integrare il reato di appropriazione indebita, in presenza di un interesse, anche indirettamente riconducibile all’oggetto sociale, come potrebbe verificarsi nelle ipotesi di estero vestizione di quote o di sottrazione di utili con relativo accantonamento di conti fiduciari, ove il tutto risulti finalizzato a sottrarre le relative attività al controllo della gestione valutaria e agli oneri fiscali. In questo senso l’appropriazione dovrebbe essere riguardata come vicenda tutta "interna" alla società con esclusione di qualsiasi risalto di terzi o potenziali vittime della condotta appropriativa o di creditori. Nell’ipotesi in esame non sarebbe altresì configurabile il requisito del profitto ingiusto in ragione del fatto che le diverse operazioni, concretizzanti in ipotesi l’appropriazione, sono state realizzate non solo nella piena consapevolezza dei rappresentati legali delle società coinvolte e con il loro benestare e diretta condotta partecipativa, ma anche nel quadro di una totale convergenza di volontà ed interessi tra i diversi componenti soggettivi delle compagini associative.
Il ricorrente censura dunque le valutazioni del TDL che ha ritenuto di non condividere i principi affermati nella sentenza citata. In primis ha contestato l’inapplicabilità di tali conclusioni al caso di specie, come ritenuto dal TDL, sul base del fatto che nella presente circostanza si discute su una fattispecie di appropriazione indebita consumata in danno di una società di capitali e non di una società di persone, come invece è avvenuto per la sentenza richiamata. La presenza di un patrimonio societario distinto e autonomo da quello dei singoli soci non rafforzerebbe dunque la configurabilità del reato contestato, anche per il fatto che l’appropriazione indebita non sarebbe configurabile se vi sia il consenso dei soci ed anche se realizzata per finalità illecite. Nel caso in esame vi sarebbe stato il consenso espresso di A. D. (detentore del 98% delle quote e il consenso tacito del socio che detiene il 2%., oltre l’approvazione dell’assemblea dei soci (come da bilancio) e per rendere possibile ad altra società dello stesso gruppo di fruire del mutuo erogato dal C.S..
Nè sarebbe condivisibile il ragionamento del TDL quando estende l’ambito della protezione normativa all’interesse di eventuali ed ipotetici creditori; in tal caso si introdurrebbe nell’applicazione della norma uno schema tipico delle procedure concorsuali, mentre il rilievo della necessaria protezione dell’integrità del capitale trova protezione e fondamento nelle norme sulla bancarotta e non su quelle dell’appropriazione indebitai D’altra parte, se anche la Impresa A. C. fosse fallita, il curatore avrebbe potuto agire contro il socio A.D. per recuperare i 20 mi di Euro, rispondendo lo stesso con il suo patrimonio personale.
In definitiva non sarebbe configurabile l’elemento oggettivo dell’ingiustizia del profitto per ritenere sussistente l’appropriazione indebita, con la conseguenza che non potrebbe essere configurato neppure il reato di riciclaggio.
2.2 Vizio di motivazione – Motivazione apparente – Violazione di legge.
La motivazione del TDL, in riferimento alla sussistenza del fumus delicti dei reati contestati dovrebbe considerarsi assente, o comunque meramente apparente, in base alle considerazioni in precedenza effettuate.
In particolare il ricorrente censura il dubbio, avanzato dal TDL, sulla veridicità dei bilanci dell’Impresa A. C. s.r.l.
e della Società S. R s.r.l., basato, tra l’altro, sul fatto che sarebbero stati depositati in copia e sul fatto che i verbali di assemblea in cui sono stati approvati, sarebbero privi di sottoscrizione. Da ciò deriverebbe la non decisività del contenuto degli stessi per affermare la fondatezza del gravame proposto. In realtà il TDL non avrebbe valutato ai fini dell’autenticità dei documenti contabili gli estremi risultanti dalle ricevute dell’invio telematico dei documenti.
Dall’erronea valutazione di tali presupposti deriverebbe la natura apparente della motivazione, oltre che dalle valutazioni relative alle voci iscritte nei bilanci delle suddette società. In particolare si fa riferimento alla somma di Euro 20 milioni trasferita con bonifico dal c/c dell’Impresa A. C. srl al c/c di A.D. e poi trasferita con bonifico sul conto del fratello An.Di., somma che dunque risulta iscritta nei bilanci 2009 e 2010. In particolare nella voce "crediti verso terzi" vi è inclusa la voce "credito verso soci" comprendente anche il credito nei confronti del socio A.D.. Tale circostanza sarebbe stata erroneamente pretermessa nella valutazione operata dal TDL, sul presupposto della ritenuta falsità dei bilanci.
Ancora il ricorrente lamenta la confusione valutativa operata dal TDL rispetto alla voce "crediti verso soci per versamenti ancora dovuti" (pari a zero), in entrambi i bilanci della soc. A. C. srl., con la voce "crediti verso soci per anticipazioni", pari ad Euro 22.1888.000,00, nel bilancio 2009, e pari ad Euro 22.156.000,00 nel bilancio 2010. L’importo zero allocato nella prima categoria significherebbe che i soci nulla devono delle somme dovute in virtù dell’atto costitutivo, mentre la seconda voce (dove sono imputati i 22.156.000,00 Euro nel bilancio 2010) si riferisce a crediti maturati per attività e/o rapporti successivi alla costituzione delle società. A ciò deve aggiungersi che nella voce "Crediti verso altri" devono essere ricompresi anche gli importi delle somme vantate nei confronti dei soci, con l’evidente possibilità per l’impresa A. C. s.r.l. di recuperare il credito vantato nei confronti di A.D.. Ribadisce inoltre l’omessa valutazione del fatto che i bilanci sono stati approvati dall’assemblea dei soci. La motivazione dell’ordinanza sarebbe viziata inoltre dalla confusione tra supposta falsità delle operazioni fiscali contestate nei capi d’imputazione, non oggetto di riesame, e supposta falsità dei bilanci.
Il TDL sembra confondere i reati fiscali per fatturazione di operazioni inesistenti, con la presunta falsità dei bilanci, neppure contestata nel decreto di sequestro preventivo. In realtà in questa sede la contestata falsità delle fatture non dovrebbe avere rilevanza ai fini della configurabilità dell’appropriazione indebita contestata al capo 22, con la conseguenza che le affermazioni contenute nell’ordinanza impugnata circa la rilevanza della falsità delle fatturazioni per costi sostenuti sarebbero viziate da radicale e manifesta illogicità.
Il ricorrente censura infine la valutazione operata dal TDL circa la destinazione delle somme di denaro trasferite dal conto corrente dell’impresa A. C. s.r.l., al conto corrente di A.D. e da questi trasferite a A.D. per consentire l’aumento di capitale e il finanziamento soci della Società S. R s.r.l. Non potrebbe essere contestato, infatti, che il trasferimento era finalizzato all’erogazione del mutuo da parte del C.S. pari a 18.000.000,00 di Euro alla Società S. R s.r.l. per la ristrutturazione e l’ampliamento del centro sportivo denominato S. S. V. nell’ambito del programma di realizzazione dei nuovi impianti sportivi per i mondiali di nuoto del luglio 2009, condizionato ad un aumento di capitale nella misura di 8,7 mi di Euro con conferimento in denaro e subordinato al ricorso al finanziamento soci per almeno 10 mi, di Euro. Tali evidenze contabili dimostrerebbero come la destinazione della somma pari ad Euro 19.700.000,00 non sia rimasta ignota ma sia stata interamente trasferita alla Società S. R s.r.l. come emerge dal relativo bilancio 2009 e 2010 dove il capitale è indicato in Euro 8.750.000.00 (8.700.000,00 due bonifici delle due società fiduciarie che trasmettono quanto versato da Impresa A. C. srl ( An.Di. secondo la difesa) + 50.000,00 Euro iniziale) e la voce "Debiti verso soci" (14.213.866 che comprende gli 11.000.000 di Euro bonificati dalle due società fiduciarie, dopo aver ricevuto i soldi da An.Di., finanziamento infruttifero e senza clausola di postergazione).
Sulla base di queste considerazioni sarebbe immotivata anche la valuta-zione dell’operazione di cui al verbale dell’assemblea straordinaria del 9 maggio 2009, di aumento del capitale sociale.
3. Sul reato di riciclaggio. – Violazione di legge – Vizio di motivazione – Motivazione apparente.
Il ricorrente deduce la non configurabilità del reato di riciclaggio, in considerazione dell’insussistenza del reato di appropriazione indebita. Tale conclusione viene supportata anche dalle impostazioni dei procedimenti penali aperti anche a carico dello stesso An.Di. a Perugia, unitamente al fratello D., dove entrambi sono imputati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di plurimi reati di corruzione. Tale impostazione si fonda sul presupposto che An.Di. fosse il riferimento unico delle imprese del gruppo; inoltre, in base alle considerazioni già sviluppate appare evidente che il finanziamento della Società S. R era di fatto realizzato dallo stesso An.Di., tramite le società fiduciarie S. s.p.a. e F. s.r.l. Le operazioni di finanziamento, inoltre, erano ampiamente tracciabili ed iscritte regolarmente nei bilanci. Peraltro il concorso di An.Di. non sarebbe stato giustificato, secondo la difesa, sulla base della partecipazione del An. D. all’associazione a delinquere ma sulla base del suo ruolo di amministratore di fatto di tutte le società del gruppo. Nè potrebbero prendersi in considerazione i tempi della movimentazione delle somme, come fatto dal TDL, in ragione dell’unicità complessiva dell’operazione finanziaria.
4. Sulla non confiscabilità degli edifici G ed H del S. S. V. – Violazione di legge – Vizio di motivazione.
Il ricorrente contesta la sussistenza del periculum in mora e la confiscabilità ex art. 240 c.p., comma 1, e perciò la sequestrabilità ex art. 321 c.p.p., comma 2, delle palazzine G e H del complesso sportivo denominato S. S. V., quale diretto reimpiego del profitto dei delitti di cui ai capi 22 e 23 della provvisoria imputazione, così come ritenuto dal GIP; in tale occasione è stato affermato che gli 8 milioni di Euro sono stati utilizzati per il pagamento dei lavori edili eseguiti dalla R. s.r.l. relativi alla costruzione dell’impianto adibito a piscine del suddetto circolo sportivo. Tale affermazione è stata contestata ritenendo insussistente il vantaggio economico di A.D. e la realizzazione delle due palazzine in epoca anteriore alla data di consumazione dell’appropriazione indebita e del riciclaggio (aprile 2009); circostanza dimostrata indirettamente anche dal fatto che i due immobili venero sequestrati nel maggio 2009 per fatti connessi a violazione edilizie. In sostanza la realizzazione delle due palazzine sarebbe totalmente sganciata dalla richiesta del C.S. alla soc. S. R s.r.l. di un aumento di capitale di 8.700.000,00 Euro e di un finanziamento soci di Euro 10.000.000,00, circostanza che escluderebbe la confiscabilità delle medesime. La stessa sentenza del GUP presso il Tribunale di Perugia di n.l.p. nei confronti di An.Di. in ordine al reato di corruzione per l’erogazione del mutuo di Euro 8.700.000,00 da parte del C.S., in quanto lo stesso non veniva erogato per l’avvenuto sequestro degli immobili del maggio 2009, dovrebbe portare ad elidere qualsiasi collegamento tra il reato e gli immobili in questione.
4. La soc. S. R s.r.l., la Soc. S. S. V. s.r.l., A.D., come detto, hanno dedotto gli stessi motivi sopra espressamente elencati ad eccezione del motivo concernente la legittimazione passiva di An.Di. a proporre richiesta di riesame e ricorso per cassazione, ripreso solo da A.D. per quanto allo stesso riferibile.
Quest’ultimo ricorrente ribadisce la sua legittimazione a proporre ricorso per cassazione, oltre che il ricorso di fronte al Tribunale del riesame, dove, pur senza arrivare a dichiarare l’inammissibilità del ricorso presentato in tale sede, il Tribunale stesso ha sollevato dubbi in ordine alla sussistenza in suo favore, oltre che del fratello Di., della legittimazione ad impugnare il provvedimento del Gip del Tribunale di Roma, sul presupposto che, in ogni caso, anche nell’ipotesi di annullamento del provvedimento impositivo del vincolo cautelare gli immobili non sarebbero ritornati nella disponibilità dei ricorrenti.
Viene ribadito l’interesse all’impugnazione sulla base di un potere di disposizione comunque riconducibile al ricorrente e in forza dell’influenza che, in ogni caso, le decisioni relative ai ricorsi avverso procedimenti cautelari hanno poi sul corso del procedimento penale principale. In ogni caso A.D. sottolinea di avere un interesse diretto, concreto ed attuale alla rimozione del vincolo cautelare, essendo titolare del 100% delle quote della soc. S. S. V. a.r.l., affittuaria degli edifici G ed H sottoposti a sequestro.
Motivi della decisione
1. Osserva preliminarmente la Corte che, come già evidenziato, le odierne impugnazioni fanno riferimento esclusivamente alla parte del provvedimento concernente i capi 22 e 23 dell’originaria imputazione, e, pertanto, in questo caso, l’analisi del Collegio, pur dovendo necessariamente prendere cognizione dell’intera ordinanza del Gip del Tribunale di Roma, si soffermerà in particolare sulla valutazione del fumus commissi delicti e del periculum in mora concernenti i reati contestati ai suddetti capi, e legati ad alcune opere (a finanziamento pubblico) eseguite in vista dei Campionati mondiali di nuoto che si sono svolti a Roma nell’anno 2009, in particolare ascritti ad A.L., nella qualità di Legale rappresentante della soc. "Impresa A. C." s.r.l. e ad A.D., quale concorrente con A.L. nel reato di appropriazione indebita e ad An.Di. quale indagato per il reato di riciclaggio.
Orbene, secondo la ricostruzione operata dal Tribunale del Riesame, A.L., amministratore della società "Impresa A. C. s.r.l." ha svuotato il conto corrente di tale società per trasferire la somma così indebitamente sottratta, sul conto personale del socio di maggioranza A.D., cosicchè quest’ultimo va ritenuto concorrente morale nel reato di appropriazione indebita in danno della società "Impresa A. C." s.r.l., posto che non risulta giuridicamente configurabile in capo ai singoli soci un potere di disposizione delle somme di pertinenza delle società di capitali e ciò in ragione del principio di autonomia patrimoniale perfetta.
Dopo questo primo trasferimento, in base al provvedimento impugnato, An.Di., terzo estraneo al reato di appropriazione indebita (nella sua condizione di non socio e di non amministratore), riceveva dal fratello D. la somma sottratta alla società "Impresa A. C.", in quanto quest’ultimo aveva provveduto a versarla su un conto personale dello stesso An.Di..
Quest’ultimo, dopo aver ricevuto la somma dal fratello, provvedeva a versare immediatamente (v. imputazione capo 23) una piccola percentuale di tale somma (pari a 300.000,00 Euro), alla "Società S. R" s.r.l., e, successivamente versava il rilevante residuo importo pari ad Euro 19.700.000,00, alle due società fiduciarie "S." s.p.a. e "F." s.r.l., mediante quattro operazioni: due effettuate in data 5 maggio 2009 e due effettuate in data 30 luglio 2009.
Da ultimo le due società fiduciarie sopraindicate, di cui era titolare al 100%. Lo stesso An.Di., versavano tali somme alla "Società S. R" s.r.l., rispettivamente con causale "aumento per capitale sociale" per Euro 9 milioni e con causale "finanziamento soci" per Euro 11 milioni.
Emerge dagli atti, inoltre, che, all’epoca delle suddette operazioni le due società fiduciarie "S." s.p.a. e "F." s.r.l.
controllavano, con eguali quote, sia il capitale sociale della "Società S. R" s.r.l. sia quello della società "S. S. V." s.r.l..
La "Società S. R" s.r.l. era stata inizialmente costituita, in data 19 maggio 2004, con capitale pari ad Euro 50.000,00 tra An.Di. (per metà del capitale) e da B.F. (per l’altra metà). In data 19 dicembre 2004 i due soci conferivano un mandato fiduciario alla "S." s.p.a. e alla "F." s.r.l., attuando un "trasferimento incrociato", con atto di compravendita, "delle quote sociali"; il B. infatti trasferiva il proprio 50% alla S. s.p.a. che operava per conto di An.Di. e quest’ultimo trasferiva il rimanente 50% di cui era titolare alla F. s.r.l.., che operava per conto di B. F.. In questo modo veniva realizzato un ulteriore schermo in relazione alla reale proprietà della società "S. R".
Il 23 febbraio 2006 B.F. cedeva le sue quote ad An.Di., il quale diventava socio unico (di fatto) della Società S. R, attraverso le due fiduciarie.
E’ opportuno evidenziare, come emerge altresì dagli atti, che i 20 milioni di Euro sottratti all’"Impresa A. C. s.r.l." provenivano, a loro volta, dalla società consortile "A." a r.l. e dalla società consortile "La M." e costituivano, secondo le contestazioni non oggetto di impugnazione, provento della falsa fatturazione ovvero della sottrazione a tassazione dei compensi corrisposti all’"Impresa A. C." dalla M. s.a.r.l. (v. da pag.43 del provvedimento di sequestro del GIP).
In sostanza, secondo la ricostruzione fatta propria dal Tribunale del riesame, la Società S. R s.r.l., controllata nella misura del 100% da An.Di., è stata individuata come la "società cassaforte", in cui far confluire, attraverso lo strumento della schermatura societaria fiduciaria sopra illustrato, sia il risparmio d’imposta correlato alle singole violazioni fiscali, sia il profitto dei delitti di appropriazione indebita commessi in danno delle diverse società del gruppo per ingenti somme fatte transitare nella quasi totalità dei casi sui conti personali dei componenti della famiglia A..
Allo stato le imputazioni relative alle violazioni tributarie e alle false fatturazioni contestate agli odierni imputati, come ha confermato la difesa in sede di discussione del presente procedimento, non risultano essere state oggetto di impugnazione in alcuna sede.
2. In via preliminare la Corte ritiene altresì opportuno affrontare anche la questione relativa alla legittimazione di An.Di. e A.D. all’impugnazione del provvedimento di sequestro del Gip, pur se i dubbi e le perplessità formulati dal TDL non si sono poi concretizzati in una formale declaratoria di inammissibilità delle impugnazioni dedotta nel primo motivo di ricorso dei due ricorrenti.
Osserva il collegio che l’art. 322 c.p.p., attribuisce la legittimazione alla proposizione dell’impugnazione contro il decreto in materia di sequestro preventivo, all’imputato (e al suo difensore), alla persona alla quale le cose sono state sequestrate e a quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Tale previsione deve essere letta alla luce del principio generale sancito dall’art. 568 c.p.p., comma 4, secondo cui, ai fini della proposizione dell’impugnazione, è necessario avervi interesse. Al pari delle altre impugnazioni, pertanto, anche il ricorso al TDL avverso i provvedimenti in materia di sequestro deve essere sorretto da un interesse concreto ed attuale. Al riguardo, in giurisprudenza è stato affermato, in particolare, che la persona che avrebbe diritto alla restituzione, legittimata a proporre impugnazione contro i provvedimenti di sequestro, deve individuarsi non in ogni persona che abbia una qualunque forma di interesse alla restituzione, ma solo in quella che abbia una posizione giuridica autonomamente tutelatile e coincidente quindi con un diritto soggettivo (reale o anche solo personale) o anche con una situazione di mero rapporto di fatto tuttavia tutelato (ad esempio il possesso) (Cass. Sez. 6^, 4 ottobre 1994 n. 3779). Ancora, è stato puntualizzato che, sebbene all’indagato e al suo difensore sia in linea di principio riconosciuta la legittimazione a impugnare con la richiesta di riesame o con il ricorso diretto per cassazione il provvedimento di sequestro preventivo, indipendentemente dalla formale titolarità del bene sottoposto a sequestro, per l’ammissibilità del gravame deve sussistere l’interesse all’impugnazione. L’imputato o indagato che non sia titolare del bene sottoposto a sequestro, pertanto, in tanto può impugnare, in quanto il provvedimento del giudice sia idoneo a produrre una lesione della sua sfera giuridica e che, quindi, la eliminazione o la riforma del provvedimento in questione renda possibile il conseguimento di un risultato a lui giuridicamente favorevole (Sez. 6^, 15 giugno 1998,n. 2158, Mazzeri, CED, n. 212233;
Sez. V, Ord. 9 novembre 2001, n. 6676 " CED, n. 221899, Graci; Sez. 1^, Ord. 21 settembre 2005, n. 36038, Kibak, CED, n. 232254,; Sez. 6^, Ordinanza 27 aprile 2004, n. 26012, Manghisi, CED, n. 229977;
Sez. 6^, 30 ottobre 2008 n. 41682/08, Hussein, CED, n. 241921; Sez. 6^, 12 febbraio 2009, n. 10029/09, De Nicola, CED, n. 243075).
Pertanto, con riferimento alla fattispecie in esame, la circostanza che An.Di. e A.D. siano indagati nell’ambito di un procedimento in cui è stato disposto il sequestro preventivo degli immobili che sarebbero stati oggetto di diretta utilizzazione del profitto dei reati loro rispettivamente contestati ai capi 22 e 23 dell’originaria imputazione, non può comportare il loro difetto di legittimazione ad impugnare il provvedimento emesso dal GIP. E’ evidente, infatti, che la valutazione dell’ammissibilità dell’impugnazione deve muoversi nella diversa prospettiva della verifica della sussistenza, in capo ai ricorrenti, di un concreto interesse ad impugnare, apparendo eccessivamente formale e riduttiva una interpretazione del disposto dell’art. 322 c.p.p., che circoscriva, sul piano dell’astratta legittimazione ad impugnare, la nozione di "imputato" (o indagato) al solo soggetto che rivesta tale qualità rispetto ad una determinata ipotesi di reato, escludendo tout court dal novero dei soggetti legittimati la persona imputata per un reato connesso, ovvero che comunque poi non potrebbe rientrare in possesso degli stessi beni, ma che pure, in ipotesi, potrebbe essere portatrice di un interesse concreto e attuale ad ottenere il ripristino o la rimozione del vincolo cautelare. Tali conclusioni ovviamente valgono sia per le deduzioni proposte da An.Di.
che per quelle proposte da A.D..
3. Ciò premesso ritiene la Corte che i ricorsi, in relazione a tutti gli altri capi comuni, siano infondati e debbano essere rigettati.
Il Collegio tratterà unitariamente le singole censure riprese da tutti i ricorrenti nei rispettivi ricorsi, in considerazione della sostanziale identità dei contenuti delle medesime.
4. Con riferimento alla configurabilità del reato di appropriazione indebita osserva dunque la Corte che, nell’ipotesi in cui un soggetto ponga in essere atti di aggressione al patrimonio societario, appropriandosi del denaro o della cosa mobile dell’ente di cui abbia la disponibilità in ragione della carica, la disposizione normativa prevede, come quella di cui all’art. 2634 e.e, che in questa materia è stata direttamente o indirettamente evocata per escludere l’applicabilità dell’art. 646 c.p. aggravato ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11, come elemento costitutivo la "deminutio patrimonii" della persona offesa e l’ingiusto profitto; deve essere sottolineato, tuttavia, che l’appropriazione indebita è attuata con l’interversione del possesso e si qualifica non solo per la natura del bene che esclusivamente ne può essere l’oggetto e l’irrilevanza del perseguimento di un semplice vantaggio in luogo del profitto, ma anche e soprattutto per l’assenza di un preesistente ed autonomo conflitto di interessi, quale presupposto necessario per individuare la deviazione dell’atto di disposizione dal suo fine istituzionale e ricondurre quindi la condotta nell’alveo del reato societario. La disposizione di cui all’art. 2634 c.c., come modificato dal D.Lgs. n. 61 del 2002, peraltro, pacificamente secondo la giurisprudenza, non esaurisce la tutela penale verso le aggressioni ai beni sociali da parte di soggetti qualificati, come se il legislatore avesse sottratto la materia degli illeciti societari alla generale disciplina dei reati contro il patrimonio; ne tipizza piuttosto le condotte di infedeltà connesse all’attività di gestione, lasciando impregiudicata la rilevanza criminale di quelle che, non previste dalla specifica normativa, risultino punibili in base al diritto comune (v. Cass., sez. F., 4 agosto 2011, n. 40136, Brancher, CED, n. 251197), secondo un rapporto di specialità reciproca esistente fra le due diverse ipotesi criminose, come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 1^, 24 giugno 2004, n. 30546/04, Bisignani, CED n. 229801; Cass., Sez. 2^, 26 ottobre 2005 n. 40921/05, Francis ed altro, CED 232525; Cass. Sez. 2^, 27 marzo 2008, n. 15879/08, Baruffaci, CED n. 239776). Nel caso in esame, secondo la ricostruzione effettuata in questa fase, e con la quale il collegio si deve confrontare per la valutazione della legittimità dell’impugnata misura cautelare reale e del provvedimento che l’ha confermata, è assente qualsiasi ipotesi di conflitto di interessi, inteso come ipotesi di antagonismo economico preesistente, dichiarabile e risolvibile con l’astensione o con adeguata motivazione della delibera, ma si è realizzata da parte dell’amministratore A.L. e del suo concorrente nel reato A.D. la mera appropriazione di denaro in danno della società offesa, mascherata da contestuali operazioni fittizie, per quanto verrà di seguito indicato, solo per giustificarne la fuoriuscita dalle casse sociali: correttamente, pertanto, secondo la Corte, appare ipotizzabile l’applicazione della norma incriminatrice in questione, i cui elementi sono stati riscontrati presenti nella fattispecie concreta. I principi affermati dal Tribunale del riesame sono peraltro conformi a quelli già dettati dalla Corte di Cassazione la quale ha affermato, ad esempio, che: "Sussiste il delitto di appropriazione indebita nel fatto dell’amministratore di società che, costituendo riserve di denaro extrabilancio, con gestione occulta, le distragga in favore di terzi per scopi illeciti ed estranei all’oggetto sociale ed alle finalità aziendali, così procurando ad essi un ingiusto profitto: la condotta di appropriazione, che caratterizza il delitto di cui all’art. 646 c.p., consiste infatti non solo nell’annettere al proprio patrimonio il denaro o la cosa mobile altrui, bensì anche nel disporne arbitrariamente uti dominus, sotto qualsiasi forma, in modo tale che ne derivi per il proprietario la perdita irreversibile" (Cass., Sez. 2^, 4 aprile 1997, nr. 5136, imp. Bussei). Tale principio può essere applicato, mutatis mutandis anche all’ipotesi in cui le somme oggetto di appropriazione indebita, formalmente appostate in bilancio, e illecitamente sottratte al patrimonio della società, siano riconducibili ad operazioni inesistenti, giustificate da false fatturazioni, ovvero provento della sottrazione a tassazione dei compensi corrisposti all’Impresa A. C. s.r.l. dalla M. Scarl e A. scarl; l’unico interesse concreto ed evidente perseguito è risultato essere quello di rendere "pulite" le somme di denaro ricevute dall’Impresa A. C., giustificate come detto, da false fatturazioni rilasciate alle Società M. Scarl e A. Scarl, in modo tale da renderle fisiologicamente utilizzabili, all’esito del processo di "camuffamento". Infatti non ha ricevuto sostanziale smentita dalle acquisizioni in atti che A.L., nella qualità di Legale rappresentante della soc. "Impresa A. C." s.r.l. e A.D. in proprio, quale beneficiario delle somme, si siano appropriati, in concorso tra loro, della somma complessiva di Euro 20.000.000,00, sottraendola dalle casse della società e, in particolare, attuando in data 29 aprile 2009, senza valida giustificazione economica, con la causale fittizia "anticipazione soci", il trasferimento di Euro 9 milioni con bonifico bancario addebitato sul c/c (OMISSIS), intestato alla società "Impresa A. C." s.r.l. ed acceso presso la Unicredit Corporate banking, in favore del c/c 2885, acceso presso l’Ag. (OMISSIS), Roma Banca delle Marche, intestato allo stesso A.D.; e in data 29 luglio 2009, senza valida giustificazione economica e con causale fittizia: "anticipazione", trasferivano Euro 11 milioni con bonifico bancario addebitato sul c/c (OMISSIS), intestato alla società "Impresa A. C.", s.r.l. ed acceso preso la Unicredit Corporate banking, in favore del c/c (OMISSIS), acceso presso l’Ag.
(OMISSIS), Roma Banca delle Marche, intestato sempre ad A.D.;
è bene sottolineare che il primo trasferimento è avvenuto senza alcuna delibera preventiva dell’assemblea dei soci, intervenuta nel mese di maggio 2009, mentre il secondo trasferimento viene giustificato con la mera dizione "anticipazione". Peraltro il trasferimento viene effettuato indicando il "consenso tacito" di soci titolari del 2% del capitale sociale. Deve essere ancora sottolineato come il giorno successivo al primo trasferimento, arco temporale in cui l’appropriazione indebita della prima tranche di denaro deve ritenersi consumata, cioè in data 30 aprile 2009, A.D. trasferiva su di un conto personale del fratello An.Di. la somma ricevuta sul proprio conto; correttamente, a parere della Corte, An.Di., è stato ritenuto terzo estraneo al reato di appropriazione indebita, proprio facendo riferimento alla sua condizione di non socio e di non amministratore della società interessata alla distrazione patrimoniale. Dopo il passaggio delle somme disposte dal fratello A.D., Di. pone in essere la prima delle attività finalizzate a ripulire il denaro ricevuto senza alcun titolo, attraverso il bonifico in suo favore su di un conto corrente personale, della somma di Euro 9.000.000 illecitamente sottratta al patrimonio della società "Impresa A. C." s.r.l. In questa fase il ruolo di amministratore di fatto di An.Di. anche dell’"Impresa A. C." s.r.l., a lui contestato in altre situazioni processuali per molte società del gruppo, reclamato dalla difesa per escludere la sussistenza del reato di riciclaggio allo stesso ascritto, non ha, a parere della Corte, alcuno spazio di riferimento e alcun elemento concreto per acquisire giuridica e formale rilevanza; la ricostruzione effettuata in base ai dati processuali emersi non è tale da far ritenere A.L. e il fratello di Di., A.D. mere teste di legno nell’evento in esame; il TDL, correttamente, a parere della Corte, in base agli elementi da cui la difesa fa derivare l’invocata qualità in favore di An.Di., ha riconosciuto pari dignità "sociale" a A.D. nella gestione delle società del gruppo e autonoma rilevanza di ruolo e di funzione. Ciò che conta, secondo la Corte, nella valutazione dei fatti è il ruolo storicamente svolto, e giuridicamente qualificabile, sotto il profilo qualitativo, all’interno delle fattispecie contestate. Pertanto An.Di., dopo che gli è stato accreditato il denaro sul suo conto personale, provvede ad accreditare, con bonifico in data 5 maggio 2009 in favore della fiduciaria soc. "S." s.p.a., con causale "aumento di capitale sociale" l’importo di Euro 4.350.000,00; e con bonifico in data 5 maggio 2009 in favore della fiduciaria soc. "F." s.r.l., con causale "aumento di capitale sociale" l’importo di Euro 4.350.000,00;
e con assegno bancario in data 30 aprile 2009 la somma residua di Euro 300.000,00 in favore della soc. S. R s.r.l.; la stessa procedura viene posta in essere dai medesimi protagonisti il 29 luglio 2009; in questa data infatti, senza valida giustificazione economica e con causale fittizia : "anticipazione", A.L. trasferiva Euro 11 milioni con bonifico bancario addebitato sul c/c (OMISSIS), intestato alla società "Impresa A. C.", s.r.l. ed acceso preso la Unicredit Corporate banking, in favore del c/c (OMISSIS), acceso presso l’Ag. (OMISSIS), Roma Banca delle Marche, intestato ad A.D.; successivamente An.Di., avendo ricevuto dal fratello Daniele, sul proprio conto corrente n. (OMISSIS), acceso presso l’agenzia (OMISSIS) Roma, Banca delle Marche, Euro 11 milioni accreditati in data 30 luglio 2009, effettuava le due operazioni a debito sul medesimo conto: il bonifico in data 30 luglio 2009 in favore della fiduciaria soc. "S." s.p.a., con causale "finanziamento soci" dell’importo di Euro 5.500.000,00; e il bonifico in data 30 luglio 2009 in favore della fiduciaria soc. "F." s.r.l.., con causale "finanziamento soci" dell’importo di Euro 5.500.000,00; tutte queste somme sono state successivamente bonificate dalle società fiduciarie, in favore del c/c n. (OMISSIS) acceso preso la Unicredit Corporate banking, intestato alla società "S. R" s.r.l., che aveva già ricevuto in precedenza i 300.000,00 Euro con un assegno da parte di An. D., con causale "aumento capitale sociale" per Euro 9 milioni e con causale "finanziamento soci "per Euro 11 milioni.
Sulla base di questi presupposti di fatto, appare corretta la valutazione operata dal Tribunale del riesame in ordine all’inapplicabilità, nel caso di specie, dei principi affermati dalla sentenza della Corte di cassazione, sez. 2^, 6 maggio 2011, n. 20062, secondo i quali sarebbe configurabile il reato di appropriazione indebita solo in danno della società e del singoli soci e non di soggetti terzi. Le conclusioni raggiunte nella sentenza citata non possono essere infatti ritenute applicabili al caso in esame per la diversità della fattispecie di riferimento, e rappresenterebbero una scelta ermeneutica forzata rispetto all’inquadramento giuridico della fattispecie (prescindendo al momento da ogni altra considerazione, occorre ribadire che tali principi sono stati affermati per fatti connessi alla gestione di una società di persone e in una ipotesi in cui i capitali originariamente sottratti sono poi rientrati nel patrimonio sociale, mentre nel caso in esame siamo in presenza di fatti relativi a società di capitali ed in cui il patrimonio sociale è stato di fatto quasi completamente azzerato a seguito del comportamento degli indagati). Il reato di appropriazione indebita in danno della società "Impresa A. C." s.r.l., in base agli arresti giurisprudenziali assolutamente prevalenti della Corte di cassazione, deve ritenersi infatti ipotizzabile proprio perchè non risulta giuridicamente configurabile in capo ai singoli soci un potere di disposizione delle somme di pertinenza delle società di capitali e ciò in ragione del principio di autonomia patrimoniale perfetta di tali enti; con la conseguenza che la società di capitali risponde delle proprie obbligazioni esclusivamente con il suo patrimonio, che pertanto deve rimanere integro, in quanto, in caso di insolvenza della società, i creditori non possono rivalersi sul patrimonio personale dei singoli soci che, a loro volta, proprio per tale ragione, non possono amministrare il capitale sociale. E che sia configurabile un interesse diretto dei creditori all’osservanza di tale schema giuridico trova conferma sempre negli arresti giurisprudenziali della Corte di cassazione, secondo i quali il creditore di una società, che sia danneggiato dalle condotte di appropriazione di un amministratore della società stessa, è legittimato, (specie in assenza della dichiarazione di fallimento della società in Italia), alla costituzione di parte civile nei confronti dell’amministratore, imputato del reato di appropriazione indebita (Cass., Sez. 2^, 21 marzo 2007, n. 14088/07, C.E.D. cass., n. 236464). Ritiene infatti il collegio che non possa essere contestata la circostanza che il creditore di una società o di un’impresa sia danneggiato dalle condotte di appropriazione di un amministratore o dell’imprenditore, posto che, nell’ipotesi di bancarotta fraudolenta, la L. Fall., ex art. 240 pone limiti alla costituzione di parte civile dei singoli creditori, che altrimenti potrebbero costituirsi. Peraltro, "la previsione secondo la quale la costituzione di parte civile dei singoli creditori è possibile soltanto se non si sia costituito il curatore (nel fallimento), il commissario giudiziale (nel concordato preventivo e nell’amministrazione controllata) o il commissario liquidatore (nella liquidazione coatta amministrativa), concerne esclusivamente il reato di bancarotta fraudolenta commesso dall’imprenditore commerciale dichiarato fallito o sottoposto alle altre procedure concorsuali. Ne consegue che, qualora si proceda per alcuno dei reati commessi da persona diversa dal fallito, secondo la descrizione contenuta nelle disposizioni di cui alla L. Fall., capo 2^ del titolo 6^, la suddetta limitazione non opera". (Cass. Sez. 5^, 14 ottobre 1987, n. 1727/1988, CED 177556). Per le stesse ragioni non vi sono ostacoli alla costituzione di parte civile del creditore della società nei confronti dell’amministratore della società stessa, imputato di appropriazione indebita (in assenza di fallimento dichiarato in Italia). D’altra parte la giurisprudenza ha ritenuto, sin da epoca risalente, che soggetto passivo del delitto di appropriazione indebita, e quindi titolare del diritto di querela, può essere anche una persona diversa dal proprietario della cosa, che abbia su questa un diritto reale o anche personale, in quanto nel concetto di altruità della cosa deve essere compresa anche l’altrui titolarità di ogni tipo di diritto. (Cass., sez. 2^, 26 gennaio 1970 – dep. 23 gennaio 1971, Serughetti, CED, n. 116345). Le conclusioni esposte rendono chiaramente infondate le deduzioni, peraltro genericamente formulate, relative alla presunta garanzia sussistente con riferimento alla consistenza del patrimonio di cui sarebbe titolare A.D., circostanza che, secondo l’impostazione difensiva, anche per questo renderebbe non ipotizzabile l’evento dannoso. Deve aggiungersi, infine, che, poichè appare pacifico che la distrazione richiede la destinazione di un bene a uno scopo diverso da quello precostituito, deve, nel caso in esame, essere qualificata come distrattiva, e più correttamente appropriativa, un’erogazione di danaro che, compiuta in violazione delle norme organizzative della società, risponda esclusivamente ad un interesse personale del beneficiario riconducibile alla volontà di consolidare illeciti profitti che trovano la loro originaria fonte in violazioni di norme tributarie attraverso l’emissione di false fatturazione; tale finalità non è riconducibile, nè direttamente nè indirettamente all’oggetto sociale, nè all’interesse della società nè dei soci, nè dei creditori. L’appropriazione posta in essere riguarda, infatti, una condotta non necessaria, anzi vietata dalla legge, che dunque non può essere giustificata o giustificabile come pertinente all’azione o all’interesse della società, ed anzi, proprio perchè penalmente rilevante, tale da interrompere senza possibilità di recupero, il rapporto organico tra amministratore e società (e del socio concorrente persona fisica). E che tale condotta, in base alle risultanze degli atti, debba essere individuata come il reale obiettivo dei soggetti coinvolti, deriva da una necessaria lettura unitaria dei vari segmenti processuali, che l’opzione difensiva di impugnare soltanto i due capi di imputazione oggetto del presente procedimento in realtà obiettivamente tenta di porre nel cono d’ombra dell’indifferente giuridico, anche attraverso l’improprio richiamo all’art. 41 Cost.. Infatti, isolare dal contesto complessivo le due fattispecie criminose inevitabilmente contribuisce a smarrire l’univocità di senso dei comportamenti sottostanti, che invece vanno storicamente e logicamente ricondotti all’analisi dei rapporti tra la "M." s.c.a.r.l., l’"A." s.c.a.r.l. e l’Impresa A. C. s.r.l. e ai conseguenti flussi di denaro convogliati verso la Società S. R s.r.l., (che hanno dato origine alla Segnalazione Operativa Sospetta n. (OMISSIS) del 30 marzo 2010 D.Lgs. n. 231 del 2007, ex art. 47) e da questa alla Società R. 2002 s.r.l., e che non trovano legami concreti con il motivo alternativo introdotto dalla difesa, relativo all’ipotesi del finanziamento della Banca del C.S., in realtà rimasto alla fase prodromica dell’istruttoria ed anzi, storicamente scomparso dall’orizzonte finanziario della società interessata, come di seguito verrà precisato. Da ultimo vi è da aggiungere che, nel caso in esame, è assolutamente infondato ogni richiamo giustificativo di tali operazioni alla logica di gruppo che legherebbe l’attività imprenditoriale di tali società ed anche i relativi comportamenti finanziari. Sono state già sottolineate le ragioni che rendono inapplicabile al caso di specie il reato di cui all’art. 2634 c.c., ed il carattere di specialità reciproca rispetto al reato di appropriazione indebita previsto dall’art. 646 c.p.. Pertanto il "vantaggio compensativo" nell’ipotesi del collegamento della società o del gruppo di società, ai sensi dell’art. 2634 c.c., comma 3, come riformulato dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, art. 1, (secondo cui "in ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo), poichè presuppone un conflitto di interessi effettivo ed attuale tra il soggetto agente (amministratore, direttore generale e liquidatore) che compie l’atto dispositivo e la società, non può ritenersi insito in ogni atto che vada a nocumento di una società ed a vantaggio di un’altra, collegata o facente parte del gruppo. Il concetto di " vantaggio compensativo", dunque, non può andare oltre la sfera dell’"infedeltà patrimoniale" per la quale è previsto e non è, pertanto, applicabile, ad esempio, alle ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria riguardante una società collegata od appartenente al gruppo, o ai casi che ricadono sotto la disciplina dell’art. 646 c.p., come sopra perimetrata; il fenomeno del collegamento societario, infatti, non può vulnerare il principio dell’autonomia soggettiva delle società interessate con la conseguenza che, nei casi sopra ricordati, la illecita deminutio patrimoni di una di esse prescinde dalla considerazione degli interessi del gruppo societario ( si vedano sul punto anche Cass., Sez. 5^, 24 aprile 2003, n. 23241/03, Tavecchia, CED, n. 224952;
Cass., sez. 5^, 5 giugno 2003, n. 36629/03, Longo ed altri, CED 227149).
5. Con l’ulteriore punto del secondo motivo il ricorrente deduce che la motivazione del TDL, in riferimento alla sussistenza del fumus delicti dei reati contestati dovrebbe considerarsi assente, o comunque meramente apparente, in base al dubbio avanzato dal giudice del riesame sulla veridicità dei bilanci dell’Impresa A. C. s.r.l. e della Società S. R s.r.l.; tale valutazione sarebbe stata basata, tra l’altro, sul fatto che i documenti contabili sarebbero stati depositati in copia e sul fatto che i verbali di assemblea in cui sono stati approvati, sarebbero privi di sottoscrizione. In realtà il TDL non avrebbe valutato, ai fini dell’autenticità degli stessi, gli estremi risultanti dall’invio telematico dei documenti; l’erroneità della valutazione inficerebbe la correttezza del giudizio formulato. In ogni caso erroneamente il TDL avrebbe tratto dalla presenza di gravi indizi in ordine alla commissione di reati fiscali per fatturazione di operazioni inesistenti, la presunta falsità dei bilanci e, comunque, l’assoluta inattendibilità dei medesimi.
Anche in questo caso la censura, complessivamente considerata, appare infondata. Il ricorrente premette correttamente che in questa procedura il ricorso può essere proposto esclusivamente per violazione di legge. Tuttavia il fatto che i giudici del riesame abbiano erroneamente considerato falsi i bilanci degli anni 2009 e 2010, renderebbe la motivazione apparente.
Orbene, rileva la Corte che l’invio telematico dei bilanci effettivamente esonera dalla presenza della sottoscrizione degli stessi, ma le mere appostazioni presenti nei documenti contabili non per questo conferiscono legittimità sostanziale ai profili oggettivamente contestati con riferimento alle operazioni effettuate.
E’ un dato di fatto, peraltro, che, nel caso in esame, ci si trovi di fronte ad un bilancio ordinario, come per l’Impresa A. C. s.r.l. (analitico) e ad un bilancio abbreviato (sintetico), come per la Società S. R s.r.l.; che gli stessi siano stati depositati rispetto all’anno di riferimento a mesi di distanza dalla chiusura (per l’Impresa A. C. s.r.l.
il bilancio relativo all’anno 2009 è stato inviato alla Camera di Commercio l’8 agosto 2010, e per il 2010 è stato inviato alla Camera di Commercio il 21 ottobre 2011, mentre il bilancio abbreviato della soc. S. R s.r.l. è stato trasmesso per il 2009, l’8 agosto 2010 e per il 2010, il 24 agosto 2011); ciò premesso ritiene la Corte che la effettiva giustificazione delle operazioni in questione non può, in questa fase, trarsi da un’analisi formale dei documenti contabili delle società interessate, che obiettivamente non spiegano in modo dettagliato l’obiettivo della movimentazione finanziaria e della sua funzionalità intrinseca, come emerge dalle valutazioni espresse dal TDL (v. da pag. 13 a pag. 16), supportate anche da specifiche deposizioni testimoniali, quali quelle del D. S., amministratore dell’Impresa A. C. s.r.l. già dalla fine dell’anno 2009, e in ordine alle quali non vi è alcuna valutazione difensiva; a parere del Collegio le causali effettive delle movimentazioni bancarie, in questa fase, devono essere ricercate nella collocazione temporale delle stesse e nella loro contestualità e consequenzialità, presupposto "autoevidente" del disegno funzionale riconducibile alle operazioni bancarie medesime, che, proprio perchè strutturalmente "sospette", hanno sollecitato l’azione di controllo della Banca d’Italia e le susseguenti indagini della Guardia di Finanza, ben prima della presentazione dei bilanci (v. rif. SEG. OP. SOSP. n. 115391 del 30 marzo 2010). Anche in questo caso, dunque, la Corte non può esimersi dal valutare, per rispondere alla censura concernente la presenza di una motivazione apparente, il quadro complessivo dei fatti all’interno dei quali trae origine il provvedimento impugnato.
Orbene è una circostanza storicamente accertata, che allo stato non ha trovato alcuna smentita processuale, che l’adozione del provvedimento di sequestro nasce, come emerge dagli atti, dal fatto che i 20 milioni di Euro sottratti all’"Impresa A. C." s.r.l. provenivano, a loro volta, dalla società consortile A. a r.l. e dalla società consortile "La M." e costituivano, secondo le numerose contestazioni non oggetto di impugnazione, supportate da dati di fatto allo stato non contestati, provento della falsa fatturazione ovvero della sottrazione a tassazione dei compensi corrisposti al’"Impresa A. C." dalla M. s.a.r.l.
e A. s.a.r.l. (v. pag.43 e ss. del provvedimento di sequestro del GIP).
In sostanza, secondo la ricostruzione fatta propria dal Tribunale del riesame, e che trova conferma nell’ampia documentazione citata e nelle dichiarazioni di persone informate sui fatti, la Società S. R, controllata nella misura del 100% da An. D., attraverso le due società fiduciarie S. s.p.a. e F. s.r.l. è stata individuata come la "società cassaforte", in cui far confluire, attraverso lo strumento della schermatura societaria fiduciaria sopra illustrato, sia il risparmio d’imposta correlato alle singole violazioni fiscali, sia il profitto dei delitti di appropriazione indebita commessi in danno delle diverse società del gruppo per ingenti somme fatte transitare nella quasi totalità dei casi sui conti personali dei componenti della famiglia A., e, per quel che qui interessa, in particolare di A.D.. Tale conclusione, assolutamente logica in base agli elementi probatori acquisiti, rende incompatibile con la ricostruzione effettuata la giustificazione dedotta per motivare le operazioni in questione e cioè la necessità che le stesse fossero da ricondurre ad una specifica richiesta della Banca del C.S., formulata per la concessione di un mutuo di sostanziale pari importo. Più ragioni, secondo il TDL, contrastano con questa prospettazione difensiva a partire dalla circostanza che il mutuo non solo non è stato mai concesso, ma la sua fruibilità nell’orizzonte finanziario della Soc. S. R s.r.l. appare piuttosto finalizzato alla realizzazione degli ulteriori lavori da eseguirsi all’interno del Centro sportivo "S. S. V.", come emerge dalle dichiarazioni del teste D.S. e dalla lettera inviata dal C.S. l’8 aprile 2009, alla soc. S. R s.r.l., quando quindi le due palazzine con le piscine erano sostanzialmente ultimate, in cui si fa riferimento, come riportato nell’ordinanza del TDL "alla ristrutturazione e ampliamento centro sportivo denominato Salaria Village s.r.l,, nell’ambito del programma nuovi impianti sportivi per i mondiali di nuoto del 2009 (intervento parziale). Il ragionamento del TDL non appare dunque illogico, anche perchè emerge in modo assolutamente lineare dalla ricostruzione dei tempi della movimentazione bancaria e degli importi trasferiti, come, in realtà, larga parte dei 20.000.000 di Euro siano stati quasi integralmente utilizzati per il pagamento delle fatture emesse dalla soc. R. 2002 s.r.l., controllata al 50% da P.V. (moglie di An.Di.) e al 50% da D.S.A. (moglie di A.D.), per i lavori concernenti le piscine poste sotto sequestro ed eseguite nell’ambito dei lavori previsti per i mondiali di nuoto svoltisi a Roma nel luglio 2009. Peraltro non appare illogico ritenere che, a seguito dell’avvenuto sequestro nel mese di maggio 2009 delle due palazzine per reati edilizi, la concessione del mutuo fosse ormai di fatto tramontata alla fine del luglio 2009, quando vennero posto in essere le operazioni per complessivi 11.000.000,00 circa di Euro.
Dunque appare esente da censure logico giuridiche ritenere, come ha fatto il TDL, che in questo modo la provenienza di tali somme dalla società "IMPRESA A. C." s.r.l., che, come emerge dalla lettura del provvedimento del GIP, le aveva indebitamente ricevute dalle società consortili "M." e "A.", anch’esse riconducibili al gruppo A., impegnate nell’appalto per il G8 nell’isola sarda La M., abbia potuto usufruire dello schermo derivante dal suddetto passaggio intermedio, in forza del fatto che gli importi in precedenza indicati risultavano "ufficialmente" provenire dalle due fiduciarie e non già, come era invece avvenuto realmente, da un’operazione concretizzante il reato di appropriazione indebita commesso da A.L., in concorso con A. D., in danno della società "IMPRESA A. C." s.r.l., e che aveva come presupposto della ricezione di tali somme la consistente attività di false fatturazioni per operazioni inesistenti. Proprio in forza di tale schermatura rispetto all’illecita provenienza della somma complessivamente considerata, è stata dunque configurata anche la fattispecie di riciclaggio contestata ad An.Di..
Orbene, in base a queste considerazioni, ritiene il Collegio che non possa parlarsi nel caso in esame di motivazione apparente. Secondo la costante giurisprudenza la motivazione apparente e, dunque, inesistente è ravvisabile soltanto quando sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5^, 19 maggio 2010, n. 24862/10, Mastrogiovanni, CED 247682). Nel caso in esame, l’incidenza probatoria dei bilanci in ordine ai reati contestati, per le ragioni di seguito dette e rispetto agli altri gravi indizi sopra evidenziati, esclude la sussistenza del vizio di motivazione così come dedotto dalle parti ricorrenti. Tale conclusione trova, secondo il Collegio, corretto riferimento anche nel principio dettato dalle Sezioni Unite secondo il quale, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio ammesso solo per violazione di legge, ricomprende in tale nozione quei vizi della motivazione così radicali però da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice, (Conf. S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692), circostanza che non può ritenersi sussistente nel caso in esame.
Nella fattispecie concreta, infatti, deve sottolinearsi che i bilanci della Impresa A. C. s.r.l. presentano gravissimi indizi di disallineamento rispetto ai criteri collegati alla funzione di oggettiva informazione di detto documento, funzione espressa con il richiamo alla chiarezza e a una "rappresentazione veritiera e corretta" (art. 2423 c.c., comma 2).
Tale obbiettiva informazione è in funzione dell’interesse dei soci, dei terzi e della stessa società, nonchè della collettività nel suo insieme, che riconnette importanza al regolare funzionamento delle imprese nell’ambito dell’economia nazionale.
Orbene, se l’obbiettivo fondamentale del documento di bilancio è quello di fornire informazioni indirizzate sia verso l’esterno che verso l’interno della società, il requisito della correttezza potrà ritenersi soddisfatto quando, innanzitutto, si siano osservate tutte le specifiche norme dettate dalla legge (momento ogget-tivo) ed, in secondo luogo, quando ciò venga effettuato dal redattore con uno spirito di correttezza, per la necessità, appunto, che il bilancio ottemperi alla sua funzione e, nello stesso tempo, rispecchi il più possibile la situazione reale. A livello procedurale, le ipotesi di falsità per quanto riguarda la valutazione degli accadimenti contabili, possono riguardare sicuramente, tra l’altro, le operazioni di scambio relative all’area della produzione, comprendente i fatti amministrativi di gestione riguardanti vendite fittizie di beni o servizi, conseguite con emissione di fatture false o per operazioni inesistenti, sottofatturazioni rispetto all’effettivo valore di mercato dei beni (con eventuale possibile ristorno della differenza), falsificazione nell’entità delle quantità oggetto di effettiva cessione cedute e/o nell’indicazione dei relativi prezzi di vendita;
la fattispecie di false comunicazioni sociali di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c., individua le condotte penalmente rilevanti sia nell’esposizione di fatti materiali che non rispondono ad una concreta e/o veritiera realtà (condotta attiva), sia nell’omissione di dati e/o di informazioni la cui comunicazione è prevista da disposti normativi (condotta omissiva). In pratica, il disposto incriminante delle "false comunicazioni societarie" tende a tutelare la veridicità e la completezza delle informazioni relative all’esercizio dell’attività. A parere della Corte i gravissimi indizi di una annotazione in bilancio di operazioni in entrata per oltre 20 milioni di Euro, riconducibili alla emissione di fatture per operazioni inesistenti e a comportamenti finalizzati all’evasione fiscale, costituisce, allo stato, fatto "autoevidente", della non veridicità dell’informazione percepibile da terzi, in ordine alle condizioni economiche della società e dei rapporti economici che la medesima intrattiene con altre imprese destinatane di quelle fatture, e che concretizza una ipotesi di falsità dello stesso documento contabile.
A ciò deve aggiungersi che i bilanci depositati il 9 settembre 2010, per l’anno d’esercizio 2009, e il 24 ottobre 2011 per l’anno d’esercizio 2010 per la soc. S. R s.r.l., sono bilanci redatti nella forma abbreviata ed essi rappresentano una versione semplificata del modello ordinario previsto dall’art. 2423 c.c. e ss.. Tale tipologia di bilancio, la cui adozione costituisce una facoltà ma non un obbligo, è destinata alle aziende di minori dimensioni, prevedendo infatti una notevole riduzione del contenuto informativo. E, obiettivamente, la sua costituzione è dovuta alla necessità di differenziare il grado di trasparenza e d’informazione del bilancio in relazione al ruolo e al contesto in cui opera l’azienda, tanto che sono previsti precisi limiti dimensionali, che ove superati, richiedono, invece, l’obbligo di redazione del bilancio nella forma ordinaria. Una ragione ulteriore per non enfatizzare, oltre che per i motivi di carattere sostanziale espressi specificamente nell’ordinanza del TDL, in questa fase, il ruolo di tali documenti contabili all’interno della presente vicenda, proprio per il loro "strutturale" e "intrinseco" deficit informativo e di trasparenza di cui sono portatori.
6. Con riferimento al terzo motivo dell’impugnazione concernente l’insussistenza del reato di riciclaggio si è già anticipato come questo collegio condivida le conclusioni del TDL. Ciò posto, osserva la Corte che, ancora con riferimento al prospettato ruolo di amministratore di fatto di An.Di. nella gestione dell’"Impresa A. C." s.r.l., la questione si risolva essenzialmente nella critica ad un apprezzamento di merito del Tribunale, il quale ha diffusamente e logicamente argomentato che, alla luce di quanto emerso dalle indagini, poteva affermarsi che le dazioni effettuante in favore di An.Di. da parte del fratello D. dimostravano che i fondi distratti dalla soc. "Impresa A. C." s.r.l. venivano funzionalmente incanalati in percorsi estranei allo scopo sociale, ma oggettivamente riconducibili in via prioritaria alla realizzazione di una "schermatura" della loro provenienza illecita. Il ruolo di An. D., in base alle acquisizioni processuali sulla base delle quali si sono sviluppate le valutazioni del G.I.P. e poi del TDL, si è rivelato essenziale, e tutto esterno alla consumazione del reato di appropriazione indebita come sopra evidenziato, prima attraverso la disponibilità a ricevere su un proprio conto corrente personale le somme acquisite dal fratello A.D. con il concorso dell’Amministratore della soc. "Impresa A. C. s.r.l., A.L., e poi ponendo in essere tutte le operazioni bancarie necessarie ai passaggi delle suddette somme nel patrimonio delle soc. S. s.p.a e F. s.r.l. e poi da queste nel patrimonio della Soc. S. R s.r.l. che, in base a queste risorse, ha provveduto a saldare le fatture emesse dalla R. 2002 s.r.l.
appaltatrice dei lavori concernenti la realizzazione delle due piscine, meglio specificate nel capo di imputazione. Per quanto riguarda la configurazione del reato di riciclaggio il ricorrente An.Di., con l’adesione degli altri ricorrenti, lamenta che negli addebiti a lui ascritti a questo titolo si sia omesso di considerare che la intera gamma delle operazioni oggetto di contestazione, non poteva di per sè ritenersi volta ad impedire l’accertamento della origine dei beni, posto che si è sempre trattato di somme di denaro in ogni caso agevolmente "tracciabili", rendendo, dunque, non configurabile la fattispecie indicata nell’imputazione; tale circostanza si contrapporrebbe, infatti, alla ratio della norma, che è proprio quella di precludere la ricostruzione della provenienza di determinate attività o valori, ponendo come fulcro della condotta, appunto, la "specifica finalità di far perdere le tracce dell’origine illecita". L’assunto, come già sottolineato, non può essere condiviso. Non c’è dubbio, infatti, che le disposizioni di cui agli artt. 648 bis e 648 ter c.p., pur configurando reati a forma libera, richiedono che le condotte di riciclaggio o di reimpiego siano caratterizzate da un tipico effetto dissimulatorio, risultando dirette in ogni caso ad ostacolare l’accertamento sull’origine delittuosa di denaro, beni o altre utilità (Cass., Sez. 2^, 23 febbraio 2005 n, 13448/05, De Luca, CED,n. 231053;Cass., Sez. 1^, 11 dicembre 2007, n. 1470, P.G. in proc. Addante CED,n.238840; Cass., Sez. 2^, 5 ottobre 2011, n. 39756/11, Ciancimino e altri, CED, n. 251194); è altrettanto vero, però, che tale obiettivo ben può essere realizzato anche attraverso condotte che non escludono affatto l’accertamento, o la astratta individuabilità, della origine delittuosa del bene, non trattandosi di evento del reato. La giurisprudenza della Corte di cassazione è ormai costante nell’affermare il principio secondo il quale integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere. Tale principio è stato affermato, anche con riferimento a fattispecie concernenti la effettuazione di versamenti di denaro di illecita provenienza in favore di varie società controllate dagli imputati, attraverso il temporaneo utilizzo di "conti di sponda" su cui affluivano in modo da non conservare traccia delle operazioni, mancando gli elementi identificativi sia della provenienza delle somme confluite nelle società, sia della destinazione di quelle dalle stesse defluite (v. anche, oltre le massime citate, Cass., Sez. 6^, 18 dicembre 2007, n. 16980/08, Gocini e altri, CED,n. 239844; v.
anche Cass., Sez. 2^, 12 gennaio 2006, n. 2818/06, Caione, CED,n. 232869). In base a tali valutazioni, le varie operazioni dissimulatorie analiticamente passate in rassegna dai giudici del merito, e relative alle diversificate compagini sociali interessate dalle singole operazioni, nonchè gli interventi di disposizione delle somme su conti correnti di carattere strettamente personale, u- nitamente ai fatti di reimpiego univocamente rivolti non soltanto a mettere a frutto le somme di denaro di illecita origine, ma anche a "manipolarne" l’essenza per occultarne la relativa "storia", ampiamente giustificano le valutazioni operate dal GIP prima e dal TDL successivamente, circa la sussistenza dei gravi indizi in ordine al reato in contestazione, una volta considerato che la ipotetica "conformità" di quella origine (allo stato peraltro affermata in via deduttiva e contrastata ab imis dall’esito del complesso e approfondito iter investigativo, sostenuto da acquisizioni documentali e testimoniali) non è certo di ostacolo alla integrazione del reato stesso, al cui perfezionamento basta la realizzazione di un qualsivoglia risultato di un espediente dissimulatorio idoneo ad ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro.
7. Allo stesso modo infondate si rivelano le censure poste a fondamento del quarto motivo di ricorso proposto da An.Di.
e condiviso dagli altri ricorrenti nelle loro rispettive qualità (terzo motivo per i terzi interessati), considerato che le censure si limitano a proporre una critica che coinvolge il merito delle valutazioni offerte dai giudici del TDL, in ordine ai reati di reimpiego e di riciclaggio, e riferiti all’utilizzazione della quasi totalità della somma ricavata dall’appropriazione indebita di gran parte del patrimonio della soc. Impresa A. C. s.r.l. da parte di A.D. (in concorso con A.L.) e alle operazioni di "sostituzione" del denaro prima depositato sul conto corrente dello stesso A.D. e poi transitato sul conto personale di An.Di., e quindi, dopo gli ulteriori plurimi passaggi societari, confluito nelle casse della soc. R. 2002 s.r.l.. Ciò che emerge dai provvedimenti dei giudici di merito, oltre una valutazione globale della origine illecita delle somme di denaro del cui reimpiego o riciclaggio si discute, è anche il fatto che la responsabilità di A.D. quale concorrente nel reato presupposto di appropriazione indebita, realizzatosi attraverso il trasferimento fraudolento delle somme dalla soc. IMPRESA A. C. s.r.l. al conto personale dello stesso A.D., ha impedito di configurare a suo carico, in qualità di concorrente, le relative, successive, condotte "trasfigurative" concretizzanti ipotesi di riciclaggio o di reimpiego, operando per il A. D. la clausola di salvezza che esclude la responsabilità per tali delitti in capo all’autore del delitto presupposto. Appare dunque corretta la configurazione di queste ultime fattispecie penali in capo a An.Di., che ha posto in essere le successive condotte di investimento e di sostituzione, connotate di altrettanta illiceità. Infatti i successivi "trasferimenti", reimpieghi e sostituzioni delle somme affluite sul conto personale di An. D. e poi su conti intestati a società dallo stesso controllate, integrano, come si è detto, condotte soggettivamente e strutturalmente autonome. E rappresentano lo snodo progressivo di una vicenda temporale che ha visto protagonisti più soggetti, in ruoli diversi, con azioni distinte ma funzionalmente collegate, di rilievo penale, secondo l’inquadramento configurato nel capo d’imputazione.
Dunque, si tratta, allo stato delle acquisizioni probatorie valutate all’interno del giudizio incidentale di riesame, di beni provenienti da reato, quello di cui all’art. 646 c.p., art. 61 c.p., n. 11, (cui fanno da cornice i reati tributari connessi all’emissione di false fatturazioni e la sottrazione a tassazione dei compensi corrisposti all’Impresa A. C. s.r.l. dalla M. scarl e dalla soc. A. a.r.l.) e come tali ritualmente sussumibili nelle fattispecie di cui all’art. 648 bis c.p..
8. Le valutazioni sopra espresse portano a ritenere infondate, ai limiti dell’inammissibilità, le censure dedotte in ordine alla confiscabilità dei due immobili sottoposti al provvedimento di sequestro. In pratica si contesta il reimpiego del denaro in questione nella realizzazione delle palazzine G ed H del complesso Sportivo denominato S. S. V., sottolineando come le palazzine, con le annesse piscine, risultassero già ultimate al più tardi nell’aprile 2009 e quindi in data largamente anteriore alla data di appropriazione indebita e di riciclaggio. Orbene, a prescindere dal fatto che la prima tranche dell’appropriazione indebita si consumò in data 30 aprile 2009 con l’afflusso sul conto personale di A.D. della somma di Euro 9.000.000,00, disposto dall’amministratore della Società Impresa A. C. s.r.l., L.A., è pacifico che in pari data A.D. dispose il bonifico sul conto personale di An.Di., il quale, attraverso i passaggi societari sopraindicati, dispose, attraverso la Società S. R s.r.l.
un primo bonifico pari ad 8.000.000,00 di Euro in data 12 maggio 2009, in favore della soc. R. 2002 r.l., in acconto fattura n. 22 del 2009 del 6 maggio 2009, da computarsi per il pagamento dei lavori relativi alla costruzione dell’impianto adibito a piscine ed eseguiti nell’ambito dei Mondiali di nuoto di Roma 2009; successivamente, sempre a favore della soc. R. 2002 r.l., con la stessa causale e attraverso gli stessi passaggi,fu effettuato dall’ An.Di.
l’ulteriore bonifico di 11.000.000,00 di Euro in data 31 luglio 2009.
Le valutazioni operate quindi dal GIP e dal TDL in ordine alla correlazione tra lavori eseguiti, immobili realizzati, modalità di acquisizione delle somme in questione e utilizzazione delle stesse per il pagamento delle fatture suindicate, appare esente da censure, risultando assolutamente eccentrico il riferimento all’epoca di ultimazione dei lavori, peraltro ravvicinato all’impiego del denaro per l’estinzione della relativa obbligazione (Si consideri che il collaudo delle opere avvenne significativamente nel maggio 2009).
Le censure sollevate dal ricorrente (sostanzialmente riprodotte dagli altri ricorrenti come per gli altri motivi e che quindi devono ritenersi unitariamente trattate) fuoriescono all’evidenza dal rigoroso perimetro di legittimità cui si riferisce il vizio denunciato, per diffondersi in una inammissibile critica del merito, concentrata sui diversi profili di fatto cosi come ricostruito dai giudici del tribunale del riesame. Una volta che il giudice del merito abbia, come è avvenuto nella specie, dato adeguato conto dei profili che rendono probatoriamente affidabile sia per quanto riguarda il fumus boni iuris che il periculum in mora, la ricostruzione posta a base del provvedimento impugnato, fondando queste valutazioni all’interno di un "discorso giustificativo" basato sulle acquisizioni processuali, che forniscono un reticolo di gravità indiziaria autonomamente resistente, rispetto alle valutazioni di elementi, quali ad esempio i bilanci delle società, che, comunque, per quanto sopra detto non riescono a scalfire la coerenza dell’iter logico argomentativo del provvedimento di sequestro prima e dell’ordinanza impugnata poi; un siffatto iter motivazionale si sottrae all’evidenza a censura in punto di legittimità, anche con riferimento all’esistenza del periculum e, precisamente con riferimento alla confiscabilità dei beni ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 1, e, conseguentemente alla loro sequestrabilità ex art. 321 c.p.p., comma 2, nella prospettiva del reimpiego delle somme in questione quale profitto dei delitti di cui ai capi 22 e 23 della provvisoria imputazione (si veda la dettagliata ricostruzione presente nel decreto del G.I.P., pagg. 53 e 54 in particolare); sulla base di queste premesse il controllo "interno" di ciascun elemento che componga quel giudizio ed il relativo apprezzamento globale, inevitabilmente sconfinerebbe in un ulteriore sindacato di merito, sostitutivo o integrativo rispetto a quello già compiuto dal giudice funzionalmente a ciò competente. La vicenda complessiva, per ciò che interessa in questa fase, è stata, infatti, più che adeguatamente scandagliata dal GIP e dai giudici del TDL, essendosi gli stessi ampiamente soffermati su questo punto e sugli altri aspetti del presente ricorso. Nè le indicazioni o la ricostruzione alternativa della difesa appare tale da scardinare l’impianto sostenuto dai giudici del riesame.
Il giudice del riesame ha evidenziato, nei punti sostanziali delle sue valutazioni, con chiarezza e precisione i termini della questione e le ragioni sottostanti alla necessità della apposizione del vincolo del sequestro preventivo, prodromico e strumentale alla successiva confisca, delle somme di denaro e/o dei beni degli indagati fino alla concorrenza degli importi complessivamente addebitati, vista la commistione di interessi e identità di componenti tra le società e i gestori delle stesse, circostanza che giustifica il sequestro disposto nei confronti delle persone fisiche indagate sui beni di cui la Soc. S. R s.r.l. risulta essere la committente e la Soc. S. S. V. la conduttrice.
Sono stati inoltre evidenziati gli elementi (v. l’analitica ricostruzione dell’erogazione dei pagamenti e il diretto collegamento con le fatture concernenti i lavori riconducibili agli immobili sequestrati, alla luce della illustrazione della vicenda finanziaria come sopra ricostruita) che rendono concreta l’esistenza del fumus commissi delicti, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma che per la cui valutazione, deve tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, non occorrendo la sussistenza d’indizi di colpevolezza o la loro gravità, ma solo elementi concreti conferenti nel senso della sussistenza del reato ipotizzato. (Conf. Cass., Sez. 5^, 15 luglio 2008 n. 37696, non massimata; v. Corte cost. ord. n. 153 del 2007;
Sez. 5^, 15/07/2008 – n. 37695/08, Cecchi Gori e altro, CED, n. 241632). Correttamente, nel caso in esame, e ciò dimostra l’infondatezza di tutti i motivi, che peraltro trovano complessiva adeguata risposta nell’ordinanza impugnata, è stato ritenuto dunque che sussistano gli elementi per la configurazione dei reati di cui all’art. 646 c.p., art. 61 c.p., n. 11, e art. 648 bis c.p., contestati.
9. Alla luce delle suesposte considerazioni, pertanto, i ricorsi devono essere rigettati e i soggetti ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.