Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Fatto e diritto
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza 25/9/2007, confermava la decisione 22/2/2007 del Tribunale di Padova, che aveva dichiarato OMISSIS colpevole del delitto di cui agli art. 110 c.p. e 73/1°bis dpr n. 309/90 – per avere, in concorso con OMISSIS, detenuto a fine di spaccio gr. 111 di cocaina (reato accertato il 5/8/2006) – e, in concorso delle circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato ad anni quattro di reclusione, euro 18.000,00 di multa e all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, disponendo altresì l’espulsione dell’imputato dal territorio nazionale a pena espiata.
Il Giudice distrettuale riteneva che il coinvolgimento dell’imputato nell’illecita detenzione della sostanza stupefacente aveva trovato puntuale riscontro probatorio negli accertamenti espletati dalla Polizia di Stato, che aveva sorpreso il OMISSIS e l’ OMISSIS (quest’ultimo già condannato con sentenza irrevocabile) nel mentre tentavano di recuperare la droga dal nascondiglio dove l’avevano riposta; aggiungeva che la destinazione allo spaccio era desumibile dalle modalità di occultamento della sostanza e dal dato ponderale, elemento quest’ultimo ostativo, peraltro, alla concessione dell’attenuante di cui al comma 5° dell’art. 73 dpr n. 309/90.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando l’omessa presa in considerazione del motivo d’appello col quale si era censurata la declaratoria d’inammissibilità (ordinanza 22/2/2007) della nuova richiesta di patteggiamento avanzata nel corso degli atti preliminari al dibattimento di primo grado (altra precedente richiesta rivolta al Gip non aveva ottenuto il consenso dei P.M.).
Il ricorso è fondato.
La sentenza impugnata è assolutamente silente sul motivo di gravame col quale si era censurata la pronuncia del Tribunale di Padova, che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di applicazione della pena concordata, in quanto formulata in termini diversi rispetto ad altra presentata al Gip dopo la notifica del decreto di giudizio immediato e non accolta perché priva dell’adesione del rappresentante della Pubblica Accusa; in sostanza, il Tribunale aveva ritenuto che, una volta proposta la richiesta di patteggiamento, la stessa, se non accolta, poteva essere rivalutata, ma non sostituita con altra di diverso tenore.
All’assenza di motivazione, nella sentenza in verifica, su questo specifico ed unico punto può e deve rimediare questa Corte.
Il termine “rinnovare” di cui all’art. 448, primo comma secondo periodo, c.p.p. non può essere interpretato nel senso che la riproposizione della richiesta di patteggiamento sia formulata in termini identici ad altra precedente, ma evoca il significato di “nuova richiesta”, secondo quanto osservato anche dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza n. 426/2001.
La richiamata norma, secondo cui, nel caso di dissenso del P.M., l’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può “rinnovare” la richiesta di cui all’art. 444/1° c.p.p., deve essere, pertanto, interpretata nel senso che la nuova domanda non deve reiterare quella precedente, come erroneamente ritenuto dal Giudice di primo grado.
La preclusione di una “nuova richiesta”, intesa come “diversa richiesta”, è prevista unicamente in caso di opposizione a decreto penale, ipotesi nella quale l’istanza ex art. 444 c.p.p., proposta contestualmente all’opposizione al decreto penale di condanna, una volta rigettata dal giudice, può essere riproposta all’apertura del conseguente dibattimento, solo se reitera esattamente quella precedente. La preclusione di cui all’art. 464/3° c.p.p., infatti, attiene alla richiesta di patteggiamento presentata per la prima volta nel giudizio conseguente all’opposizione al decreto penale, sicché la fedele reiterazione di una precedente richiesta costituisce il presupposto perché possa esercitarsi il sindacato del giudice del dibattimento sulla precedente decisione di rigetto (cfr. Cass. sez. III 28/5/2009 n. 28641).
Ciò posto, la nuova richiesta di applicazione della pena concordata, formulata dalle parti processuali prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, deve essere ritenuta ammissibile e va accolta, non venendo in discussione il giudizio di responsabilità né la legalità e la congruità della pena oggetto dell’accordo.
Conseguentemente la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nella parte relativa alla misura della pena, che va determinata, cosi come concordato, in anni due, mesi otto di reclusione ed euro 12.000,00 di multa.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla misura della pena, che determina in anni due, mesi otto di reclusione ed euro 12.000,00 di multa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.