Cassazione, Sez. trib., 3 marzo 2010, n. 5146 Responsabilità per i debiti ereditari, nella controversia con il Fisco vi è litisconsorzio necessario di tutti gli eredi?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Premesso:

– che Omissis propose ricorso avverso avviso, con il quale l’Agenzia, con metodo induttivo e sulla base dei “parametri” di cui al d.p.c.m. 29.1.1996 (come modificati dal d.p.c.m. 27.3.1997) ed emessi ai sensi dell’art. 3, commi 181 e ss. L. 549/1995, aveva accertato a carico del padre e dante causa Gerardo, per l’anno 1999, maggior irpef, iva ed irap;

– che l’adita commissione tributaria, accolse il ricorso con decisione che, in esito all’appello dell’Agenzia, fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale;

– che, avverso tale decisione, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione in due motivi, illustrati anche con memoria;

– che l’Agenzia ha resistito con controricorso;

rilevato:

– che, con il primo motivo di ricorso (articolato in più quesiti), il Omissis ha dedotto “violazione e falsa applicazione degli art. 112 e 115, comma 2, c.p.c. e 2697 c.c.”, e formulato i seguenti quesiti:

“Dica l’eccellentissimo Supremo Collegio, se il giudice che, ai fini della pronuncia di una sentenza, pone alla base del proprio ragionamento l’applicazione ad una determinata, questione giuridica di norme diverse da quelle invocate dalle parti, comporti o meno mutamento del petitum e della causa petendi e quindi vizio di ultrapetizione ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ovvero se tale mutamento non si rinviene allorché il giudice, nell’interpretare la domanda giudiziale secondo il suo contenuto sostanziale, deve tenere conto non soltanto della manifestazione di volontà specificamente formulata ed espressa, ma anche di quella che possa essere desunta implicitamente od indirettamente dalle deduzioni e dalle richieste di modo che, pervenendo alla completa determinazione dell’oggetto della domanda, pronunciando su di essa, fa corretto uso del suo potere decisionale, o, in subordine, incorrerebbe nel vizio di omesso esame ove limitasse la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo contenuto sostanziale della stessa. Dica l’eccellentissimo Supremo Collegio se il giudice d’appello, nel ritenere verificatosi il vizio di ultrapetizione, abbia violato, nel caso di specie, gli artt. 112 e 115, comma 2, c.p.c., per aver omesso di esaminare il ragionamento sviluppato dai giudici di prime cure ed il contegno delle parti nel corso del processo, ovvero per aver travisato il significato delle deduzioni dell’Agenzia delle Entrate, assumendo, quale elemento di prova che comporti il preteso vizio di ultrapetizione valutazioni che, invece, non costituiscono ex se prova. Dica l’eccellentissimo Supremo Collegio se era onere dell’Agenzia delle Entrate, ex art. 2697 c.c., dimostrare, nel procedimento in questione, la sussistenza della scarsa credibilità di una mera attività di recupero di crediti professionali operata dal Geom. Omissis e se il giudice d’appello abbia, violato l’art. 2697 c.c. nel ritenere la circostanza provata sulla base di ipotetiche valutazioni dell’Agenzia delle Entrate”;

osservato:

– che la doglianza non ottempera alle prescrizioni imposte, a pena d’inammissibilità, dall’art. 366 bis c.p.c.;

– che, in disparte la questione della legittimità di un unico motivo di ricorso articolato in una pluralità di quesiti, deve, invero, osservarsi che le ss. uu. di questa Corte sono chiaramente orientate a ritenere che – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – il quesito relativo ad una censura in diritto non può consistere in mera richiesta di accoglimento del motivo ovvero nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; con la conseguenza che, dovendo la Corte essere in grado di estrapolare dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (v. Cass. s.u. 3519/08) il quesito medesimo non può essere meramente generico e teorico ma deve essere necessariamente calato nella fattispecie concreta (v. Cass. s.u. 3519/08);

– che deve, peraltro, rilevarsi che il motivo ed i correlativi quesiti non colgono in alcun modo la ratio della decisione nella parte in cui esclude l’idoneità, degli elementi rilevati dal contribuente a determinare il superamento del dato presuntivo scaturente dall’applicazione dei paramentri;

rilevato:

– che, con il secondo motivo di ricorso, il Omissis ha dedotto “violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del d.lgs. 546/1992 e degli artt. 102 e 331 c.p.c.” e formulato il seguente quesito: se “qualora la pretesa tributaria riguardi più persone nella loro qualità di eredi del contribuente principale, si verifica una ipotesi di litisconsorzio necessario, ragion per cui tutti gli eredi devono essere messi nelle condizioni di partecipare al giudizio ed il relativo onere non può che essere a carico chi il giudizio introduce: con l’ulteriore conseguenza che la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario pretermesso deve essere rilevata di ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, anche quando la parte interessata non abbia posto siffatta eccezione”;

osservato:

– che anche tale doglianza va disattesa nella prospettiva di cui all’art. 366 bis c.p.c.;

– che, infatti, il quesito correlativamente proposto non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata, posto che questa si fonda sul rilievo che, in atti, non risultava compiutamente documentata l’esistenza di altri eredi e sul convincimento (conforme alla giurisprudenza di questa Corte: v. Cass. 5880/06) che, in mancanza di tale prova (gravante su colui che avanza la correlativa eccezione), non può farsi luogo all’integrazione del contraddittorio;

– che deve, peraltro, rilevarsi che gli eredi sono solidalmente responsabili per il debito fiscale del de cuius, sicché deve radicalmente escludersi che, nel giudizio con l’Amministrazione fiscale in merito a tale debito sia configurabile litisconsorzio necessario (diversa essendo la situazione – cui soltanto può riferirsi la giurisprudenza di cui a Cass. 1052/07 richiamata dal contribuente – in caso di unitario atto di accertamento per imposta di successione incidente su più eredi);

ritenuto:

– che, il ricorso del contribuente si rivela, quindi, infondato, sicché va adottata la correlativa declaratoria nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

– che, per la soccombenza, il contribuente va condannato al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 1.300,00 (di cui Euro 1.100,00, per onorario) oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

la Corte: dichiara inammissibile il ricorso; condanna il contribuente al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 1.300,00 (di cui Euro 1.100,00 per onorario) oltre spese generali ed accessori di legge.

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