Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-07-2012, n. 12242 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso al Tribunale di Caltagirone, in funzione di giudice del lavoro, depositato il giorno 23.10.2003 R.S., C. R., D.B.F. e S.M. esponevano che il Consorzio di Bonifica n. 7 di Caltagirone, con Delib. 5 gennaio 2001, n. 1 aveva adottato il Piano di Organizzazione Variabile (P.V.O.) stabilendo nel numero di 102 unità l’organico necessario alle proprie esigenze funzionali; che successivamente, con Delib. 3 gennaio 2001, n. 365 aveva accertato l’esistenza di una scopertura di 20 unità rispetto alla dotazione organica individuata nel P.O.V.;

che essi ricorrenti erano stati assunti dal Consorzio con contratti a tempo determinato, stipulati il 29.12.2001 per la iniziale durata di quattro mesi a decorrere dal 31.12.2001 e detti contratti erano stati successivamente prorogati atteso il permanere delle esigenze funzionali poste a base dell’assunzione. Ciò premesso, deducevano la nullità ed inefficacia della clausola di durata apposta ai rispettivi contratti con il diritto al riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dalla data di rispettiva assunzione e con il susseguente diritto all’inquadramento nella fasce funzionali e nei livelli spettanti sulla base delle mansioni di assunzione.

2. Instaurato il contraddittorio il Consorzio di Bonifica di Caltagirone si costituiva in giudizio eccependo, in primo luogo, la piena legittimità dei contratti di lavoro a tempo determinato in oggetto, in quanto, con la Delib. 3 gennaio 2001, n. 365 l’Amministratore provvisorio era stato autorizzato alla stipulazione di detti contratti di lavoro in presenza delle indifferibili necessità dell’Ente di sopperire alle esigenze funzionali accertate con l’approvazione del P.O.V. e ciò nelle more delle espletande procedure concorsuali volte alla copertura dei posti vacanti. In particolare la difesa del Consorzio convenuto rilevava che nei contratti in questione si faceva riferimento alle esigenze organizzative e produttive attestate dal P. O. V. e che quindi le ragioni poste a sostegno delle assunzioni dei ricorrenti erano esplicitate in via indiretta ai sensi del D.Lgs. n. 386 del 2001, art. 1, comma 10. Chiedeva pertanto il rigetto delle domande con il favore di spese e compensi di causa.

3. Il Giudice del lavoro, istruita la causa, con sentenza del 7.12.2005, dichiarava che tra i ricorrenti ed il Consorzio convenuto si era instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 29.12.2001 e condannava il Consorzio al pagamento delle spese di lite.

4. Appellava tale pronuncia il Consorzio di Bonifica di Caltagirone – con ricorso del 6.3.2006 – lamentandone l’erroneità e chiedendo affermarsi l’infondatezza delle domande avanzate con il ricorso introduttivo del giudizio di cui chiedeva il rigetto, con il favore delle spese del doppio grado.

Ricostituitosi il contraddittorio, gli appellati si costituivano con unica memoria resistendo al gravame di cui chiedevano il rigetto con il favore delle spese.

La corte d’appello di Catania con sentenza del 28 gennaio 2010 – 20 febbraio 2010 rigettava l’appello confermando la sentenza di primo grado.

5. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il consorzio con due motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata in particolare con riferimento alla possibilità per il consorzio di bonifica di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato. Denuncia altresì violazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 368 del 2001 e delle L.R. n. 45 del 1995 e L.R. n. 76 del 1995. Lamenta inoltre la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001. Ha errato la corte d’appello – sostiene il ricorrente – nel disattendere l’assunto circa l’esistenza di un divieto legale di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato (L.R. n. 45 del 1995, art. 32). Nè tale divieto legale può ritenersi essere stato derogato per i consorzi dalla L.R. n. 76 del 1995, art. 3.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione i falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in ordine alla condanna alle spese del giudizio di primo grado.

2. Il primo motivo del ricorso è infondato.

I consorzi di bonifica hanno natura di enti pubblici economici; ad essi trova quindi applicazione il D.Lgs. n. 368 del 2001, mentre il divieto di assunzioni a tempo determinato previsto dalla L.R. siciliana n. 45 del 1995, art. 32 (istitutiva dei consorzi bonifica) risulta derogato dalla normativa regionale successiva avendo la L.R. n. 76 del 1995, art. 3 espressamente autorizzato i consorzi a ricorrere alle assunzioni a tempo determinato ai sensi (e nel rispetto) della L. n. 230 del 1962. La sentenza impugnata ha poi richiamato l’ulteriore normativa regionale che ha sancito la proroga dell’assunzione a tempo determinato avvenuta in forza della specifica deroga di cui al citato art. 3: L.R. n. 16 del 2000, art. 2; L.R. n. 4 del 2003, art. 106; della L.R. n. 17 del 2004, art. 110; L.R. n. 4 del 2006, art. 1; disposizione questa alle quali può aggiungersi anche la L.R. n. 14 del 2010, art. 1, comma 2.

Con riferimento ad analoga fattispecie questa Corte (Cass., sez. lav., 14 luglio 2011, n. 15494) ha affermato che al rapporto di lavoro dei dipendenti dei consorzi di bonifica è applicabile la disciplina sui contratti a termine di cui alla L. n. 230 del 1962, e in particolare la prescrizione dell’atto scritto a norma dell’art. 1, poichè la disposizione dell’art. 6, che esclude dalla disciplina della stessa legge i rapporti tra "datori di lavoro dell’agricoltura e salariati fissi comunque denominati" (e – in base ad una necessaria interpretazione estensiva – tutti i lavoratori agricoli), è applicabile ai lavoratori alle dipendenze di imprese definibili come agricole a norma dell’art. 2135 cod. civ. (lavoratori per i quali, peraltro, operano le formalità procedurali e le prescrizioni dettate in tema di collocamento dei lavoratori agricoli dalla L. n. 83 del 1970), mentre gli enti di bonifica (anche se talvolta ricondotti dalla legge al settore agricolo ai fini previdenziali) non sono imprenditori agricoli, perseguendo fini economici non solamente agricoli, anche se con attività in parte strumentali all’agricoltura.

Quindi, quanto alla natura non agricola del consorzio può rilevarsi che anche in precedenza questa Corte (Cass., sez. tav., 8 marzo 2004, n. 4664) ha affermato che i consorzi di bonifica (anche se talvolta ricondotti dalla legge al settore agricolo ai fini previdenziali) non sono imprenditori agricoli, ed hanno natura industriale avendo per oggetto il raggiungimento di fini generali di carattere pubblico e trascendenti gli interessi dei singoli consorziati, ancorchè svolgano attività in parte strumentali all’agricoltura. Pertanto qualora oggetto dell’attività consortile secondo lo statuto di un Consorzio sia un’attività di natura industriale come la creazione e la manutenzione di infrastrutture, la produzione in giudizio dello statuto costituisce prova della natura industriale del medesimo Consorzio, dovendosi presumere una perfetta corrispondenza dell’attività consortile con l’oggetto sociale previsto dallo statuto. Cfr. altresì Cass., sez. lav., 27 ottobre 2000, n. 14232, secondo cui al rapporto di lavoro dei dipendenti dei consorzi di bonifica è applicabile la disciplina sui contratti a termine di cui alla L. n. 230 del 1962, non operando la disposizione dell’art. 6, che esclude dalla disciplina della stessa legge i rapporti tra "datori di lavoro dell’agricoltura e salariati fissi comunque denominati" perchè gli enti di bonifica non possono qualificarsi imprenditori agricoli, anche se svolgono attività strumentali all’agricoltura.

Rileva infine la richiamata normativa regionale siciliana che ha previsto te proroghe dei contratti a termine, così derogando al divieto di assunzione a termine posto dalla normativa regionale precedente.

Una volta ritenuta applicabile l’ordinaria disciplina dei contratti a termine, correttamente la sentenza impugnata ha verificato, con valutazione di merito ad essa devoluta, che non risultava il presupposto previsto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 per l’apposizione del termine al contratto di lavoro avendo il consorzio, attualmente ricorrente, fatto riferimento ad esigenze di personale, che di per sè non sono tali, per la loro genericità, da integrare il presupposto legittimante suddetto. Correttamente la corte d’appello ha rilevato che il generico richiamo a ragioni tecniche, organizzative produttive o a non meglio precisate esigenze di carattere straordinario non è di per sè sufficiente a motivare il ricorso al contratto a termine, che richiede invece che siffatte ragioni vengano in concreto esplicitate e puntualmente motivate.

In proposito questa corte (Cass., sez. lav., 27 gennaio 2011, n. 1931) ha affermato – e qui ribadisce – che in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore ha imposto, con il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, un onere di specificazione delle ragioni giustificatrici "di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo" del termine finale, che debbono essere sufficientemente particolareggiate così da rendere possibile la conoscenza della loro effettiva portata e il relativo controllo di effettività, dovendosi ritenere tale scelta in linea con la direttiva comunitaria 1999/70/CE e dell’accordo quadro in essa trasfuso, come interpretata dalla Corte di Giustizia (sentenza del 23 aprile 2009, in causa C – 378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C – 144/04), la cui disciplina non è limitata al solo fenomeno della reiterazione dei contratti a termine (ossia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi), ma si estende a tutti i lavoratori subordinati con rapporto a termine indipendentemente dal numero di contratti stipulati dagli stessi, rispetto ai quali la clausola 8, n. 3 (cosiddetta clausola "di non regresso") dell’accordo quadro prevede – allo scopo di impedire ingiustificati arretramenti di tutela nella ricerca di un difficile equilibrio tra esigenze di armonizzazione dei sistemi sociali nazionali, flessibilità del rapporto per i datori di lavoro e sicurezza per i lavoratori – che l’applicazione della direttiva "non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo". Cfr.

anche Cass., sez. lav., 31 maggio 2010, n. 13285.

La corte d’appello, con valutazione tipicamente di merito, non censurabile in sede di legittimità, ha poi precisato che non potevano trarsi concreti elementi di specificazione delle esigenze organizzative dagli atti deliberativi n. 1 del 2001 e n. 322 del 2001 da cui emergeva la mera esistenza di una scopertura di organico.

3. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso avendo la sentenza impugnata fatta corretta applicazione della regola della soccombenza: ai sensi dell’art. 91 c.p.c. la condanna al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio costituisce la normale conseguenza della soccombenza in giudizio e non è comunque contestabile in appello senza una preventiva dimostrazione della fondatezza delle ragioni risultate soccombenti in primo grado.

4. Il ricorso va quindi ne suo complesso rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 70,00 oltre Euro 4.000,00 (quattromila) per onorario d’avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012

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