Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Alcuni eredi di M.G. ( Gi. e C. M., Ma.Am.), con citazione del 26.1.2001, dopo che il Tribunale di Napoli aveva dichiarato l’inammissibilità di una loro precedente domanda, convennero innanzi allo stesso Tribunale la soc. XXX ed il Consorzio XXX, concessionario dei lavori di realizzazione stradale che avevano coinvolto con occupazione il loro suolo sito in (OMISSIS), onde ottenere la determinazione della giusta indennità di esproprio, del deprezzamento del relitto, dell’indennità di occupazione legittima con solidale condanna al deposito presso la Cassa DD. E PP. Si costituirono XXX e Consorzio e, riunito a tale giudizio altro proposto da altri due eredi M. ( S. e G. M.), nonchè medio tempore intervenuto il decreto di espropriazione (23.9.2003), il Tribunale con sentenza 31.5.2006, respinte le domande verso l’XXX accolse quelle proposte nei riguardi del Consorzio e determinò le indennità di esproprio e di occupazione legittima dovute agli eredi per le distinte proprietà espropriate.
La pronunzia venne impugnata dal Consorzio e a tale giudizio venne riunito altro proposto dagli eredi M. quali appellanti avverso la statuizione di estromissione dell’XXX (giudizio nel quale il Consorzio si costituì proponendo quale gravame incidentale le doglianze proposte nel primo appello principale).
La Corte di Appello di Napoli con sentenza 17.7.2009 rigettò l’appello del Consorzio e l’incidentale dei M. relativo alla legittimazione dell’XXX, accogliendo invece l’appello dei predetti eredi in ordine al quantum debeatur che rideterminò in melius rispetto alla pronunzia del Tribunale. In motivazione la Corte di Napoli, per quel che rileva, ha affermato che il primo giudice aveva fatto capo correttamente alle valutazioni peritali che, a loro volta, avevano valutato il valore venale dei beni sulla base del criterio sintetico comparativo e quindi aggiornato lo stesso sulla base dei dati ISTAT, che era del pari inconsistente la doglianza sul deprezzamento della parte residua, stimato nel 15% e non riferibile a pregiudizi generali ed indifferenziati, che era anche corretto il criterio di calcolare l’indennità di occupazione legittima in termini di interessi legali annualmente dovuti dal 1990 al 2003 sull’ammontare dell’indennità dovuta alla data dell’esproprio, nessun elemento emergendo a far ritenere apprezzabilmente mutato il valore del terreno nel periodo di occupazione legittima, che i M. avevano dedotto in sede di precisazione delle conclusioni la sopravvenienza della sentenza 348 del 2007 della Corte Costituzionale, invocando pertanto il superamento anche del criterio nella specie in primo grado applicato, quello della L. n. 2892 del 1885, art. 13 richiamato dalla L. n. 219 del 1981, art. 80, tale istanza era meritevole di condivisione (anche alla luce di Cass. 18844 del 2008) con la conseguente disapplicazione del criterio della dimidiazione e l’applicazione del criterio di cui alla L. n. 244 del 2007, che a nulla valeva contestare la indimostrata natura edificatoria delle aree posto che i criteri di cui alla richiamata legge del risanamento di Napoli non ponevano alcuna distinzione in proposito (artt. 12 e 13), che si procedeva pertanto al raddoppio delle indennità dal Tribunale liquidate in indebita dimidiazione.
Per la cassazione di tale sentenza, notificata dagli eredi l’11.9.2009, ha proposto ricorso il Consorzio con atto 8.10.2009 contenente otto motivi, ai quali hanno resistito gli eredi M. – M. con controricorso 18.11.2009. Non ha svolto difese l’XXX. Il Consorzio ha depositato memoria ed i difensori delle parti hanno discusso oralmente.
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che il ricorso, nei limiti appresso indicati, sia meritevole di condivisione.
Primo motivo: con esso il Consorzio lamenta la mancata applicazione della L. n. 2892 del 1885, art. 13 e della L. n. 219 del 1981, art. 80 nonchè la falsa applicazione della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89; ad avviso del ricorrente la specialità della disciplina di cui alla L. n. 219 del 1981, e delle norme da essa espressamente richiamate, le rendeva infatti insensibili tanto alla L. n. 350 del 1992, art. 5 bis (di conversione del D.L. n. 333) quanto alla loro incostituzionalità ad opera della sentenza 348 del 2007, come pervero affermato da costante giurisprudenza della Corte di legittimità la quale, a Sezioni Unite, aveva anche fugato dubbi di incostituzionalità di tale disciplina.
La censura è indiscutibilmente fondata . Rileva il Collegio che, rispetto alla pronunzia invocata dalla Corte di merito (Cass. 18844 del 2008), si è ben diversamente statuito con i successivi pronunziati a sezione semplice e, ancor più, con S.U. 2419 del 2011 e 9595 e 10130 del 2012, che, pronunziando su identiche questioni trattate dalla G.S.E. di Napoli, si fanno carico della apparente diversa impostazione seguita da precedente pronunzia del 2009 ed affermano che ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione (nella specie relativa a terreni siti nel comune di (OMISSIS)), il criterio stabilito dalla L. 15 gennaio 1885, n. 2892, art. 13 – che non da rilievo alla distinzione tra aree edificabili e non fabbricabili e che è per l’appunto espressamente richiamato dalla L. 14 maggio 1981, n. 219, art. 80 – continua ad applicarsi, anche dopo la declaratoria di illegittimità costituzionale della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis pronunziata dalla sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale, trattandosi di criterio, speciale, totalmente distinto da quello del citato art. 5-bis.
D’altra parte, il perdurare dell’applicazione di tale normativa , che determina un indennizzo inferiore al valore venale effettivo, imposto dalla decisione del 2007 e recepito, anche all’interno del vigente D.P.R. n. 327 del 2001, dalla L. n. 244 del 2007, art. 2 si giustifica in relazione alla particolare natura, temporanea ed eccezionale, degli interventi di cui alla L. n. 219 del 1981.
Al proposito la manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalità sulla "impermeabilità" della legislazione speciale del 1981 all’intervento della Corte Costituzionale (decisioni 348 e 349 del 2007 e 181 del 2011) ed alla conseguente introduzione dei criteri facenti capo al "valore venale", era stata già affermata dalle Sezioni Unite con la decisione 5265 del 2008. Con tale decisione era stata affermata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. 14 maggio 1981, n. 219, art. 80 sollevata per contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo della CEDU, nella parte in cui prevede un criterio liquidatorio speciale non dissimile (per il profilo dello scostamento dal valore integrale del bene) da quello adottato, in via generale, dalle disposizioni del più volte citato art. 5-bis e del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, commi 1 e 2, dichiarate incostituzionali con la sentenza della Corte cost. n. 348 del 2007 per contrasto con l’art. 1 Primo Protocollo CEDU, "come interpretato dalla Corte di Strasburgo", costituente "parametro integrativo dell’art. 117 Cost." quanto all’ivi prescritto necessario (ragionevole) allineamento dell’indennizzo al valore pieno di mercato del bene espropriato. Ebbene la sentenza Sezioni Unite del 2008, e sulla loro base le pronunzie a SS.UU. del 2011 e del 2012, considerato che secondo la stessa sentenza 348 del 2007 obiettivi legittimi di utilità pubblica come quelli perseguiti da misura di riforma economica o di giustizia sociale possono giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato effettivo, hanno affermato che ciò si verifica proprio con la L. 14 maggio 1981, n. 219, avente natura speciale, temporanea ed eccezionale, in quanto volta a porre rimedio alle conseguenze degli eventi sismici del novembre 1980 e febbraio 1981, e non assumendo rilevanza alcuna il fatto che il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, comma 1, come sostituito dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, preveda, in via generale, per le espropriazioni finalizzate ad attuare interventi di riforma economico-sociale, una riduzione (del 25%) più contenuta di quella consentita dalla legge del 1981: deve infatti ritenersi avere rilievo assorbente sia la specialità, temporaneità ed eccezionaiità della legge stessa, sia comunque, ed in linea di principio, il fatto che l’avanzamento, nel prosieguo della legislazione, del livello di garanzia di un valore costituzionale non comporta l’illegittimità della normativa precedente attestata su un livello inferiore di tutela.
Condiviso pertanto il riferito indirizzo delle Sezioni Unite, per il quale deve predicarsi la piena applicabilità della L. n. 219 del 1981, art. 80 e del richiamato L. n. 2892 del 1885, art. 13 e la inesistenza di alcun sospetto di incostituzionalità dei conservato criterio riduttivo per dimidiazione dell’indennizzo, si deve cassare la sentenza perchè faccia applicazione, nella determinazione della indennità di esproprio (ed anche al fine del calcolo delle indennità virtuali per il computo della indennità di occupazione), di detto criterio.
Secondo, terzo e quarto motivo: si duole il Consorzio, altresì, del fatto che, esclusa l’applicabilità del criterio "speciale" per effetto della errata disapplicazione, si sia anche ritenuta irrilevante la questione della natura – agricola od edificatoria – dell’area. La questione in realtà solo in parte resta assorbita nella cassazione della sentenza in accoglimento del primo motivo per il quale deve essere necessariamente applicato il criterio di cui alla L. del 1865, art. 13 e cioè, per tal incombente, deve essere accertato il valore venale dell’area come primo termine del computo.
Quanto alle censure, riproposte in questa sede (pagg da 23 a 29 del ricorso) e fatte valere in appello, dirette a contestare il quantum e più radicalmente gli indici per tale valorizzazione, appaiono non ammissibili quelle dirette a mettere in dubbio la affermata potenzialità edificatoria e ad allegare la natura agricola : esse sono tanto generiche (nulla dicendosi dello strumento urbanistico applicabile e della classificazione, alla sua stregua, delle aree) quanto non conducenti (anche alla luce del carattere oggettivo e non collegato a parametri del preteso valore agricolo dopo la sentenza di Corte Costituzionale 181 del 2011).
Sono invece fondate quelle (quarto motivo) dirette a contestare la plausibilità del criterio di stima sintetico comparativo fondato su atti del 1983-1988 e sulla automatica rivalutazione ISTAT al 2003 dei dati. La Corte di Appello ha risposto che altri atti successivi non vi erano e che le critiche del Consorzio al proposito erano meramente assertive e di valore, e non assistite da alcun elemento che facesse ritenere esistente un interesse "pratico" a contestare il criterio scelto, non comprendendosi cioè perchè mai l’utilizzazione di valori di atti di riferimento di 15-20 anni prima e l’applicazione ad essi della sola rivalutazione monetaria dovesse portare, necessariamente, ad un risultato maggiormente oneroso per l’espropriante. Orbene, il rilievo sul difetto di interesse non ha alcuna consistenza, posto che la denunziata incongruità della scelta di un criterio implausibile assorbe la rilevanza de risultato "pratico" della applicazione di un criterio corretto, risultato che ben può essere in fatto sfavorevole all’espropriante, che di tal risultato non potrà dolersi. Ma che sussista tale incongruità nella motivazione della sentenza è, come denunziato, di tutta evidenza alla luce del principio posto da questa Corte, per il quale " posto che il mercato immobiliare risente di variabili macroeconomiche diverse dalla fluttuazione della moneta nel tempo, anche se a questa parzialmente legate, e di condizioni microeconomiche dettate dallo sviluppo edilizio di una determinata zona, che sono completamente avulse dal valore della moneta, è inammissibile l’accertamento del valore del fondo espropriato attraverso la comparazione con il prezzo di immobili omogenei, oggetto di trasferimento, in un periodo diverso dalla data dell’esproprio, riportando poi il dato monetario a ritroso fino alla data dell’esproprio, con l’uso delle tabelle Istat; queste ultime riflettono le variazioni dei prezzi al consumo, ma non tengono conto delle quotazioni di mercato degli immobili, per cui l’andamento del mercato immobiliare richiede un’indagine specifica nel settore" (Cass. 17462 del 2011 e 14031 del 2000). E pertanto, qualora il giudice del merito abbia accertato la impraticabilità del metodo sintetico comparativo per il difetto di atti traslativi utilizzabili nel periodo prossimo all’esproprio, ben potrà abbandonare tale criterio (Cass. 9207 del 1999 e 10913 del 2003) e far capo al criterio, applicabile e plausibile, del metodo analitico- ricostruttivo. A tal principio si atterrà il giudice del rinvio.
Quinto motivo: lamenta l’immotivata affermazione, in condivisione delle risultanze di CTU, del deprezzamento dell’area espropriata ai fini del suo indennizzo L. n. 2359 del 1865, ex art. 40.
Il motivo è anch’esso fondato.
Questa Corte (Cass. 26261 del 2007) ha infatti precisato (massima) che, l’indennizzo di cui ala L. n. 2359 del 1865, art. 46 per la riduzione di valore dell’immobile, spetta se l’opera pubblica abbia realizzato un’apprezzabile compressione o riduzione del diritto di proprietà inciso. Ciò non si verifica ove siano interessate quelle utilità marginali che non trovano tutela nell’ordinamento come diritti soggettivi autonomi o come attributi caratteristici e qualificanti del diritto di proprietà quali l’insolazione, l’areazione, l’ampiezza della veduta panoramica. La sensibile compressione delle obiettive possibilità di utilizzazione del fabbricato può invece verificarsi (ed è quindi dovuto l’indennizzo) nel caso di riduzione della capacità abitativa, o nel pregiudizio subito dall’immobile per effetto di immissioni di rumori, vibrazioni, gas di scarico e simili, quando (e solo se) le stesse per la loro continuità ed intensità superino i limiti della normale tollerabilità, da apprezzarsi con i criteri posti dall’art. 844 cod. civ.. Nella vicenda sottoposta e decisa ut supra questa Corte ha affermato che la legittima costruzione di un asse viario a scorrimento veloce realizzato su piloni alti 15 metri in prossimità di un fabbricato non comporta automaticamente l’obbligo per l’espropriante di corrispondere al proprietario il predetto indennizzo. Il principio certamente applicabile all’art. 40 non è stato correttamente applicato dalla Corte di Napoli che, come denunziato, ha dato per certo il decremento del valore del relitto, senza indicare con esattezza quali ragioni specifiche, peculiari del fondo espropriato, rendessero plausibile il decremento, erroneamente assommando imprecisate riduzioni degli spazi antistanti (che neanche si precisa avessero cagionato difficoltà di manovra di automezzi) al dato ut supra irrilevante della vicinanza dell’asse viario sopraelevato. E pertanto, il giudice del rinvio dovrà, anche per tal verso cassata la sentenza, operare la propria valutazione astenendosi dall’incorrere nei sopra indicati errori argomentativi.
Sesto e settimo motivo: essi lamentano la violazione di legge commessa computando gli interessi, assunti quale corretto parametro dell’attribuzione dell’indennità di occupazione legittima, sull’indennità di esproprio quale determinata nel 2003 e quindi per ben tredici anni di durata della occupazione legittima, e ciò in presenza di quegli indiscutibili incrementi di valore "notoriamente" avverati che avevano indotto a rivalutare al 2003 il valore stimato a prima del 1990 Le censure sono fondate. Questa Corte (Cass. 16744 del 2007 e 9321 del 2008) ha affermato che il diritto all’indennità di occupazione matura al compimento di ogni singola annualità, per cui è a ciascuno di questi momenti che deve essere calcolato il parametro di riferimento che, allo stato, è quello del valore venale attuale del bene passibile nel tempo di variazioni dipendenti dallo specifico mercato immobiliare di riferimento. Ne consegue che, se la determinazione monetaria del valore venale del bene abbia subito variazioni apprezzabili nello sviluppo della occupazione legittima e registrabili alle singole consecutive cadenze annuali, ad ogni scadenza dovrà procedersi al calcolo virtuale della indennità di espropriazione fondata anche sul valore venale del bene, come tale soggetto a variazioni nel tempo. Tuttavia, la diversità tra la data di effettiva valutazione dell’immobile e quella di maturazione del diritto a percepire l’indennizzo per la scadenza dell’annualità di occupazione legittima non rende censurabile la liquidazione di detto indennizzo, ove non si dimostri un apprezzabile divario del valore del bene in tali rispettivi momenti. Nella specie è in ricorso chiaramente allegato l’apprezzabile divario essendo prospettata la radicale crescita di indici ISTAT in tal periodo (dal 1990 al 2003), sicchè la valutazione della Corte di merito resta viziata dalla evidente contraddizione tra l’affermazione della inesistenza di apprezzabili divari ai fini di assumere a base di calcolo l’indennità del 2003 per le indennità maturate anno per anno nei tredici anni precedenti e la decisione di attualizzare il valore del bene espropriato ai fini dell’indennità di espropriazione applicando gli indici ISTAT tra 1990 e 2003. Dovrà quindi il giudice del rinvio, determinata l’indennità di esproprio al 2003, in applicazione dei principii sopra esposti, scegliere tra la possibilità di: A) operare consimili determinazioni anno per anno dal 1990 al 2003 facendo applicazione del criterio prescelto anche in relazione a "blocchi" temporali di variazione dei valori dei suoli nei tredici anni o, se tal metodo sia dichiaratamente infruttuoso per irreperibilità di dati, di: B) devalutare annualmente l’indennità determinata per l’anno 2003 e sino all’anno 1990, quindi – ed in entrambi i casi – procedendo, sulle indennità virtuali annuali in tal modo determinate, ad applicare gli interessi legali dal dovuto.
Ottavo motivo: lamenta che la decisione di disapplicare per la sopravventa incostituzionalità sia stata assunta d’ufficio non essendo stato contestato in via di appello incidentale il quantum dell’indennizzo ma solo la esclusione della responsabilità di XXX. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo motivo.
Conclusivamente, la sentenza deve essere cassata per le esposte ragioni. La complessità delle valutazioni e dei calcoli necessari per la decisione del merito inibiscono la decisione in questa sede ex art. 384 c.p.c. ed impongono il rinvio – anche per le spese – alla stessa Corte, che provvedere alle nuove valutazioni ed alle nuove argomentazioni facendo applicazione dei principii e delle indicazioni rassegnate nella parte conclusiva – sottolineata – della disamina dei motivi.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini indicati in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia – anche per le spese di questo giudizio – alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012
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