Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-07-2012, n. 12457 Ricognizione di debito e promessa di pagamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto depositato nel gennaio 2005 la s.p.a. Burgio Costruzioni in persona del legale rappresentante B.G. e quest’ultimo anche in proprio proponevano opposizione all’esecuzione immobiliare intrapresa ai loro danni presso il Tribunale di Ragusa dalla Banca Agricola Popolare di Ragusa, rappresentando – per quanto ancora interessa in questa sede – che l’atto di ricognizione dei debito con rogito 29.12.1994 rep. 75178 per notaio M. Ottaviano da Ragusa e il successivo atto modificativo e integrativo, nonchè di costituzione di ipoteca con rogito 16.03.2000 rep. 98857 del medesimo notaio non costituivano titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 cod. proc. civ., n. 3, e assumendo, altresì, che l’importo del debito ivi riconosciuto con riferimento alla data del 31.12.1999 in ragione di L. 3.171.859.691, rinveniente da contratti di c/c bancario, era superiore al dovuto per l’indebita capitalizzazione di interessi anatocistici e commissioni.

Resisteva la Banca Agricola Popolare di Ragusa deducendo il carattere negoziale-sostanziale dei suddetti rogiti, rilevando in particolare che si trattava di operazione di rifinanziamento a medio termine.

Con sentenza in data 09.07.2007, il Tribunale di Ragusa rigettava l’opposizione all’esecuzione, condannando gli opponenti al pagamento delle spese processuali.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la s.p.a. Burgio Costruzioni e B.G., svolgendo tre motivi,illustrati anche da memoria.

Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte intimata.
Motivi della decisione

1. Il Tribunale – pur escludendo, in via di principio, un’inconciliabilità logico-giuridica tra l’efficacia della fattispecie dell’art. 1988 cod. civ., sul piano dell’inversione dell’onere probatorio e la sua valenza di titolo esecutivo, nell’ipotesi in cui risulti formalizzata nell’atto pubblico previsto dall’art. 474 cod. proc. civ., n. 3 – ha, tuttavia, affermato l’insostenibilità, nella specie, della qualificazione di mera ricognizione di debito e ha affermato, invece, il carattere novativo degli atti posti a fondamento dell’azione esecutiva, evidenziando, da un lato, la partecipazione agli stessi atti della Banca, come parte negoziale e non già come mera destinataria di una dichiarazione di scienza e, dall’altro, la richiesta di rifinanziamento con la corrispondente concessione della garanzia ipotecaria, quali elementi sintomatici del nuovo bilanciamento di interessi che con esso le parti avevano inteso soddisfare, attraverso la concessione della garanzia reale alla banca e la rateizzazione dei pagamenti ai clienti; di conseguenza ha ritenuto travolte le contestazioni in ordine al quantum debeatur relative ai pregressi rapporti bancari, sul presupposto che la fonte propria dell’obbligazione dei debitori siano i rogiti in questione.

2. Il ricorso, avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009), è soggetto alla disciplina di cui all’art. 360 cod. proc. civ., e segg., come risultanti per effetto del cit. D.Lgs. n. 40 del 2006; si applica, in particolare, l’art. 366 bis cod. proc. civ., stante l’univoca volontà del legislatore di assicurarne ultra- attività (ex multis, cfr. Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194), atteso che la norma resta applicabile in virtù dell’art. 27, comma 2 del cit. D.Lgs., ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che rilevi la sua abrogazione, a far tempo dal 4 luglio 2009, ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), in forza della disciplina transitoria dell’art. 58 di quest’ultima.

2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 474 cod. proc. civ., n. 3, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 cod. proc. civ., n. 5). Il motivo si chiude con il seguente quesito: "determina o meno violazione o falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., n. 3, ritenere e dichiarare che costituisce titolo esecutivo un atto notarile di ricognizione di debito, il quale si limita a produrre un effetto di mera astrazione processuale e non è generatore di alcuna obbligazione sostanziale".

2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1230 e 1362 cod. civ. (art. 360 cod. proc. civ., n. 3), nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 cod. proc. civ., n. 5). Al riguardo parte ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "perchè possa ritenersi sussistente una novazione ex art. 1230 c.c., il giudice di merito deve accertare in modo non equivoco la volontà delle parti di estinguere la precedente obbligazione ricercando la loro comune intenzione secondo il primo e principale strumento dell’attività interpretativa del giudice costituito delle parole e delle espressioni adottate dalle parti, la cui chiarezza e univocità (dimostrativa di un’intima e incontroversa ratio contrahendi) obbliga l’interprete ad attenervisi strettamente, senza sovrapporre la propria, soggettiva opinione all’effettiva volontà dei contraenti";

mentre, ai fini dell’indicazione del momento di sintesi ex art. 366 bis cod. proc. civ., seconda parte, evidenzia che "il Tribunale di Ragusa ha omesso di valutare il fatto controverso della esplicita manifestazione della volontà delle parti di non estinguere le obbligazioni oggetto della ricognizione di debito, nulla motivando al riguardo".

2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 1988 cod. civ. (art. 360 cod. proc. civ., n. 3). Al riguardo parte ricorrente formula il quesito di diritto, chiedendo a questa Corte "se la ricognizione di debito costituisce o meno fonte autonoma di obbligazione e se, in caso negativo, determina solo l’effetto di astrazione processuale, non impedendo al dichiarante di contestare la validità della clausola recante gli interessi e la postergazione delle valute, di cui al rapporto contrattuale oggetto della ricognizione".

3. Il ricorso è inammissibile per un duplice ordine di considerazione.

3. La prima ragione di inammissibilità, valevole per tutti e tre i motivi – basati tutti sull’assunto del carattere meramente ricognitivo degli atti posti a fondamento dell’azione esecutiva – è rappresentata dall’inosservanza del disposto dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 6, che impone, a pena di inammissibilità del ricorso, la specifica indicazione atti e documenti sui quali il motivo è fondato, con l’indicazione della sede processuale in cui essi sono reperibili.

Invero l’onere della parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che, secondo una consolidata elaborazione giurisprudenziale costituisce il corollario del requisito di specificità dei motivi di impugnazione, risulta ora tradotto nelle più puntuali e definitive disposizioni contenute nell’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6 e art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4 (cfr. SS.UU. 22 maggio 2012, n. 8077 in motivazione).

Sull’ interpretazione dell’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, sono intervenute le SS.UU. di questa Corte con sentenze 2 dicembre 2008, n. 28547, affermando il principio, puntualizzato con sentenza 25 marzo 2010, n. 7161, secondo cui l’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso.

In definitiva, ai fini dell’assolvimento dell’onere indicato, è necessaria la specificazione dell’avvenuta produzione in sede di legittimità, accompagnata dalla doverosa puntualizzazione del luogo all’interno di tali fascicoli, in cui gli atti o documenti evocati sono rinvenibili. Nel caso di specie, invece, parte ricorrente – pur facendo ripetuto riferimento a due atti notarili posti a fondamento dell’esecuzione, di cui contesta la rilevata natura novativa – si limita a riportare alcuni stralci di frasi ivi riportate, assolutamente insufficienti per la soluzione delle questioni proposte, senza fornire alcuna delle indicazioni sopra precisate.

3.2. La seconda ragione di inammissibilità si rinviene nella violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., secondo i canoni elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte per la formulazione del quesito di diritto e per la "chiara indicazione" ivi previsti.

Invero il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve comprendere (tanto che la carenza di uno solo di tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso: Cass. 30 settembre 2008, n. 24339) sia la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; sia la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; sia ancora la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie; mentre per quanto riguarda il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, "la chiara indicazione" (c.d.

quesito di fatto) richiesta dalla seconda parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ., deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, da cui risulti non solo "il fatto controverso" in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ma anche – se non soprattutto – "la decisività" del vizio, e cioè le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, ma anche la "decisività" del vizio (cfr.

Sez. Unite, 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. ord., 18 luglio 2007, n. 16002; Cass. ord. 7 aprile 2008, n. 8897).

Va aggiunto che le Sezioni Unite – pur ritenendo ammissibile, in via di principio, il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto – hanno precisato che a tali effetti occorre che il motivo si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (Cass. civ., Sez. Unite, 31 marzo 2009, n. 7770).

3.2.1. Orbene tutti e tre i quesiti di diritto a corredo dei motivi all’esame si risolvono in astratte petizioni di principio, inidonee ad evidenziare il nesso tra la fattispecie concreta e il principio di diritto che si chiede venga affermato; inoltre manca il quesito "di fatto", necessario a corredare la plurima censura formulata con il primo motivo, mentre risulta inadeguato, per la mancata indicazione della decisività della censura, quello a corredo del terzo motivo;

peraltro la "non decisività" delle censure svolte con il primo e il terzo motivo, emerge solo che si consideri che la ratio della decisione impugnata è incentrata sul carattere novativo – non già ricognitivo – degli atti di cui trattasi.

In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di legittimità non avendo parte intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012

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